Questa sera l’appuntamento è a Torino con l’amico e accademico Andrea Mellano, su invito di un gruppo di amici appassionati di montagna che si è dato il nome di “Compagnia della cima”. La serata, organizzata da uno di loro, un professore di educazione fisica che conosco da un po’ di anni, ha come scopo una cena – chiacchierata con due esponenti dell’alpinismo piemontese di diversa “generazione”. Ovviamente gli esponenti saremmo io e Andrea. Conoscendo lo spirito ispiratore degli amici della “Compagnia della cima”, che si rifanno agli insegnamenti di Don Giussani, l’incontro si presenta interessante, anche perché Andrea è un “agnostico rispettoso” ed il mio interesse in materia di “trascendenza” è parecchio contaminato e soprattutto molto intimista. Sono interessato agli scritti di Hans Kung, alla Teologia della liberazione, all’anarchismo cristiano, all’esoterismo evoliano e anche ad alcuni aspetti dello zen. Il mio alpinismo, inoltre, è sostanzialmente laico come ho già avuto modo d’esprimere nel mio saggio “Meta e sentimento nella scalata”. Ad Andrea mi accomunano 33 anni di storia dell’arrampicata sportiva italiana e torinese, la passione per un alpinismo di ricerca e di esplorazione e, soprattutto, l’idea che l’alpinismo sia “anche” un magnifico sport. Mi separano da lui quasi due generazioni e una certa componente più visionaria ed ideale del mio mondo verticale, pur senza dogmi rigidi e preclusioni di sorta. Potrei dire, in qualche modo, che ho lo stesso approccio alla montagna di quello che nutro nei confronti della religione. Ma questa sera, in questa bella struttura che è la “Piazza dei Mestieri”, opera meritoria dietro cui vi è pur sempre l’ombra lunga di Comunione e Liberazione, si parlerà sostanzialmente di esperienze alpinistiche. Ci accoglie una rustica tavernetta, con dell’ottima birra artigianale e cibo degno della più accurata cucina piemontese.
Andrea siede capotavola, io alla sua destra (gli faccio un pò da spalla). Di fronte una ventina di compagni della Cima (un’unica donna). La serata parte bene e l’atmosfera è amichevole e rilassata, dunque, tocca a me disegnare un “ponte” ideale tra il mio alpinismo “accademico” e quello di Andrea. La cosa mi riesce e pare convincente, poi, giustamente, l’attenzione è tutta per l’amico a cui vengono rivolte domande riguardanti per lo più sulla prima salita italiana dell’Eiger, di cui fu protagonista nel 1962 con Cavalieri, Airoldi, Solina, Aste e Acquistapace. Disarma la naturalezza con cui Mellano sdrammatizza quelli che furono i momenti più pericolosi e difficili delle sue scalate, cosicché i suoi interlocutori non s’accontentano del semplice: “salivamo perché ci piaceva e basta”. Attendo da un momento all’altro la “domanda delle cento pistole”, che puntualmente arriva. “Certo – interviene un convitato – è fuor di dubbio che, seppure inconsapevolmente, praticare della scalata e quindi dello sport sia un bisogno ancestrale dell’uomo di dedicare la propria riuscita, il proprio risultato a Dio…!”. Andrea strabuzza gli occhi, io guardo il convitato perplesso e con un po’ di severità, prima d’intervenire sostenendo che non occorre “idealizzare” necessariamente ed eccessivamente l’alpinismo e che il perseguire una via trascendentale verso il divino è fatto rispettabilissimo ma puramente personale. In ogni caso – continuo – il noumeno del mio “salire” è bello proprio perché è tale e senza la necessità d’una spiegazione. Sarò stato sufficientemente laico? Per fortuna, sono lo stesso amico professore e Don Angelo (innanzi tutto entusiasta alpinista) a riportare il discorso nell’ambito del recit d’ascension degno della migliore tradizione. Mi chiedono allora della mia esperienza post – Nuovo Mattino, delle “Antiche Sere” e già mi sento più a mio agio. La serata si conclude in un clima amichevole e molto piacevole, in cui prevale la passione comune al di là delle convinzioni e delle sfumature personali. La “compagnia” è stata tutto sommato interessante e ne sono piacevolmente sorpreso soprattutto in un periodo in cui ho definitivamente maturato che la categoria pseudo-sociale che in assoluto sopporto di meno è quella costituita dagli “alpinisti”.