Nel 1978 – quando qualcuno aveva ancora i pantaloni corti – le Sezioni del Club Alpino Italiano della Provincia di Belluno decisero di darsi un “contegno” culturale.
Ci trovammo in quattro gatti, alpinisti e non, in un’osteria dell’oltre Piave cadorino dove gli spifferi d’aria entravano da logore finestre d’altri tempi, ma dalle quali si godeva una stupenda veduta sui boschi di Giovanni Paolo II che, allora, era solo un cardinale di Santa Romana Chiesa e non frequentava quei luoghi.
Ci guardammo attorno; tutta brava gente, tutti con belle idee, tutti masticavano un linguaggio sciolto ed erudito, tutti affabili, molti erano pure cari amici personali. Ma dove erano gli operativi? Cioè quelli che non partecipano alle strategie aziendali perché il loro posto sta sul piano di sotto dove si produce?
E’ bello constatare il proliferarsi di idee innovative, sentire i creativi, ascoltare coloro che propongono, che demandano, ma poi servono i manovali della cultura, gli appassionati che, al soldo del volontariato che tutto può (o che tutto potrebbe solo se si lasciassero da parte certi dannosi personalismi), si devono “arrangiare”.
Per il solo fatto di aver scritto qualche libruncolo e alcuni articoli su riviste specializzate, fui incaricato seduta stante di “dirigere l’orchestra” con il titolo altisonante di direttore editoriale de Le Dolomiti Bellunesi. Titolo inventato lì per lì, mentre il sottotitolo lo coniò Giovanni Angelini in persona: dalla Piave in su. Il prof. fu anche il primo articolista e fu la spinta a credere, a darsi “una mossa”. C’era il pericolo di irrompere negativamente nella sfera di competenza de Le Alpi Venete, celeberrima rivista regionale fondata nel 1957 da Camillo Berti un anno dopo la morte del padre Antonio e tutt’ora diretta da cari amici. Quei bravi fratelli maggiori non crearono nessun problema, mai! Anzi, furono sempre pronti alla collaborazione.
Ero giovane, appagato professionalmente, mi mancava solo quel qualcosa che servisse a rendere piene le giornate già piene di famiglia, di lavoro, di montagna, di alpinismo, di spedizioni, di libri. Fu l’inizio di una carriera che… non portò a casa neppure un centesimo, anzi… (cosa ovvia per un volontario). Ricevetti uno stipendio di preoccupazioni, un bicchiere di rosso di tanto in tanto (pagato da noi), qualche cena offerta da anima pia, pacche sulle spalle date vicendevolmente, ma anche una busta paga piena di grandi soddisfazioni.
Mi fu da subito compagno di cordata un personaggio straordinario con il quale ho poi condiviso trent’anni della mia vita e trent’anni di vita della rivista. Il suo nome è Loris Santomaso, beatificato su quel luogo del Cadore (forse lui avrebbe preferito una riunione in Agordino) come direttore responsabile, proposto niente meno che da Armando “Tama” Da Roit. Un altro stipendio alle stelle. Quelle che si vedono nelle notti d’estate.
Da allora la storia delle montagne bellunesi (e non solo) è passata fra le pagine del semestrale come la dolce brezza del conoscere. Impossibile elencare le migliaia di contributi ospitati nei 61 numeri pubblicati. Possibile invece, anzi doveroso, porgere da queste righe un ringraziamento a tutti i collaboratori, ai redattori, agli addetti ai lavori, agli stampatori…Soprattutto agli 8000 lettori e a tutti coloro che hanno creduto in noi.
Per festeggiare e festeggiarci abbiamo realizzato un volume con la firma di una quarantina di autori – ecco il perché del titolo La grande cordata, 500 pagine e centinaia di illustrazioni a colori – che daremo in omaggio ai nostri circa 8000 associati, agli amici ed ai collaboratori.
Trent’anni sono tanti, ma sono solo “metà del cammin di nostra vita”.