“LA LIBERA ARRAMPICATA DI LUCA”. LO SPORT FATTO, RACCONTATO ED ILLUSTRATO ATTRAVERSO LA PENNA DI MASSIMO CAPITANI E LA CHINA DI LUCA ANDREOZZI
Ho visto per la prima volta Luca Andreozzi scalare a Monsummano. Avrà avuto 12 anni e scalava su dei gradi che io sapevo, non avrei mai potuto fare. Ho provato subito simpatia, riconoscendo il talento naturale per quel ragazzino biondo che si muoveva leggero sulla roccia. Con lui sono stato a Fontainebleau quando aveva 15 anni ed io 37. Non faceva che leggere Dylan Dog, giocare a poker – con in palio i pan chocolate, i dolcetti al cioccolato francesi – e scalare. Con Cristiano – Carchidio – ci divertivamo a fare la prova di forza con lui, la sera, tanto sapevamo che il giorno dopo, sulla roccia, ce le avrebbe suonate.
Ora che non scalo più, vedo ogni tanto Luca. L’ho visto a Torino scalare e primeggiare con i più forti d’Italia e poi gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa di sé, così che ora possa raccontarlo a voi:
L’INIZIO
Luca s’innamora dell’arrampicata fin da subito: “già quando ero piccolo guardavo il soffitto e protendevo le braccia, no so perché, ma volevo arrivare là, in alto. E quando dovevo andare al secondo piano chiedevo al babbo di non passare dalle scale, ma di arrampicare”. La voglia di andare in alto non è vista troppo di buon occhio dal babbo di Luca, Andrea. Lui che in alto, e parecchio, c’è stato – ed i rischi li conosce – prima con l’arrampicata ed ora con il parapendio. Ma quando è destino è destino, anche perché i bambini sanno essere insistenti.
La prima su roccia di Luca è a Vecchiano – quando ancora deve compiere i 6 anni – una storica falesia Toscana molto di moda negli anni ’80, basti pensare ai nomi delle vie: “Iena Plinsky, ritorno a Saigon ecc”. Luca con le vecchie scarpe del babbo, delle mithos di 6 misure più grandi, si diverte come un matto a salire in alto, a fare l’altalena e a correre in orizzontale sulla roccia come farà poi Matrix.
Da quel momento, la corda diventa la sua compagna di giochi, le gare il suo parco divertimenti con tanti amici con cui giocare: “l’ambiente delle gare, quella era la mia 2° famiglia”.
Luca inizia con le gare ad 8 anni e per la prima volta trova altri bambini che come lui condividono lo stesso gioco: “per me era il top, divertimento allo stato puro, arrampicavo sempre fuori, non toccando mai la resina e poi alle gare ritrovavo gli altri”.
L’ETA’ DELLO SCOMPIGLIO
Con il tempo, le cose però iniziano a cambiare. Cresce l’età dei ragazzi e, nelle gare, anche le aspettative e le invidie. Luca sente tutto questo come una pressione, come un non divertimento. Poi, alla vigilia dei mondiali di categoria, arriva la decisione della federazione italiana arrampicata. Luca Andreozzi non deve andare alla competizione iridata: “ero il primo in graduatoria nazionale e la federazione chiamò il secondo ed il terzo”. Alla competizione mondiale l’Italia sarà l’unico paese ad avere 2 soli elementi nella rosa, tutto il resto del mondo ne aveva 3: “al mio posto una casella vuota”. La reazione di Luca: sospendere le competizioni. Salterà 2 gare del campionato italiano, poi però torna all’attacco nell’ultima e decisiva gara: “avevo fatto due conti e avevo visto che nonostante tutto vincendo sarei stato comunque primo”. Le cose non iniziano bene, a complicarle arriva la febbre la sera prima della gara. Ma ormai è deciso, si va. Si va a Parma per l’ultima prova di campionato italiano.
“Ero l’ultimo a partire, tutti lì erano consapevoli di come stavano le cose e quello che c’era stato. A quel punto sentivo il rischio che il classico lieto fine del film si trasformasse in qualcosa di diverso, ma io ero comunque lì, per me stesso, per chi mi voleva bene e me l’aveva dimostrato e anche per gli altri. In qualifica avevo stretto i denti ed avevo raggiunto la finale con 37° di febbre. In finale parto per ultimo. Per vincere avrei dovuto fare meglio di chi mi precedeva ed era arrivato a circa ¾ di via. E’ stata una lotta, una vera agonia, ho scalato con la testa che mi martellava. Sono riuscito ad arrivare al passo chiave che precedeva la caduta del mio avversario, passarlo prendendo al limite l’ultima presa che lui avevastretto ed afferrarne una in più, per poi esplodere con la febbre e tutto il resto, portando però a casa la coppa che è ancora lì sulla mia scrivania”.
Luca molla la federazione, le gare e tutto quello che l’aveva deluso da campione. Quella decisione di aver tagliato con le competizioni, di non aver fatto quel mondiale e di non sapere come sarebbe finita se avesse continuato, lo perseguiterà per qualche anno. Ma ora – dopo che è passato un po’ di tempo – ha capito e sa che è anche merito di quella decisione, imposta da un’ingiustizia, se è diventato la persona che è, che voleva, riuscendo a vivere l’arrampicata con un altro spirito rispetto a prima.
APERTO-CHIUSO
In questo periodo per Luca sarà come essere un contatore del gas, orientato di volta in volta sulle due fasi. Infatti Luca ora scalerà solo all’aperto. In breve tempo il 16enne Luchino ripete tutte le vie di riferimento della Toscana, vie molte dure che molti toscani e non avevano provato per anni prima di venirne a capo (sempre che ce l’avessero fatta). In poco tempo quella brutta sensazione respirata alle gare si fa sentire anche fuori, come una gabbia che non permette a Luca di viversela come vorrebbe. Solo perché, ancora giovanissimo, è diventato fortissimo.
Luca prende la decisione. Chiude tutto e si mette a fare “la vita di un normale 17enne” senza gare, senza pressioni, senza più dibattersi fra invidie e aspettative, in poche parole senza quello che è diventata l’arrampicata.
L’attrezzatura viene stipata in garage, suscitando in lui sensazioni contrastanti per una parte di vita che non c’è più. In quel periodo Luca fa skate, suona il punk, stando ben attento al solo divertimento, pensa e si rilassa. Per 4 anni. Fin quando non arriva una chiamata del babbo…
UNA TELEFONATA
“Ciao Luca, so che ti scoccia ma sono ad Uliveto a provare un blocco, mi hanno bidonato tutti e non ho chi mi para, puoi venire a farlo?”. Luca arriva, aiuta il babbo e così – tanto per fare – si rimette le sue scarpette di arrampicata e prova un blocco. Ma quel blocco non ne vuol sapere di farsi salire, Luca non si schioda da terra. Quel blocco è impossibile! Come se non riconoscesse più il ragazzino prodigio ora che è un 20enne.
Quel blocco, che sembrava impossibile, libera la strada al ritorno di Luca all’arrampicata. Luca, infatti, si rimette in gioco e torna ad Uliveto deciso a farlo e lo fa in modo relativamente facile: “ma poi capisco che quel blocco da solo non significa nulla come prestazione in se stessa, è solo la via che mi riporta verso l’arrampicata, verso il semplice arrampicare”
RIINIZIO
“Non c’è niente di meglio che capire cosa ci mancava per essere felici”, così la pensa Luca dopo aver ritrovato l’arrampicata. È così che riinizia tutto, è così che si riparte in giro per l’Italia e l’Europa con la consapevolezza che si può scalare solo per divertimento e magari si può permettersi di non essere in giornata ed appendersi perfino su un 6A, tanto nessuno se la prende. Ora, non se la prende neanche Luca. Il suo vagabondare lo porta a Torino, al Bside, una delle sale Boulder più famose di Italia. Alla corte di Stecca, Luca Gianmarco e Marzio Nardi, quest’ultimo icona dell’arrampicata libera nazionale, il primo in Italia a salire Icaro il 1° 8A boulder nazionale: “quei ragazzi sono stati fantastici, ho vissuto lì per un anno, presentandomi a loro un giorno dicendo, voglio arrampicare” ed è così che Luca Andreozzi torna anche alle gare, ma con le sue regole “mi ero ripromesso che se realizzavo che non mi divertivo e lo stress avesse prevalso, avrei smesso subito, infatti: niente tabelle, niente allenamento specifico, semplicemente scalavo e poi mi presentavo alle gare. Con loro sono sempre in contatto anche se ora non sto più a Torino e ci tengo tanto a salutarli tutti – aggiungendo a quelli di prima – Guido e Luca “Bazooka”.
Con Cristiano e gli altri vecchi amici, siamo andati a vedere Luca al Bside a Torino gareggiare con tutta Italia. Arriverà secondo per spareggio dietro a Ghisolfi, salendo la finale al primo tentativo.
ULIVETO? HULIVETO, THANKS
Ma torniamo ad Uliveto, o Huliveto come lo chiama Luca per giocare con il nome del famoso sito di blocchi americano, Hueco Thanks. Per Luca è un posto magico e non solo perché lì c’è il blocco più duro in Toscana, il blocco più duro fatto da Luca, “tibiaepperone”. Ma di questo parliamo dopo: “non m’importa se trovi le siringhe nel parcheggio e quando sei a scalare senti il rumore delle macchine, per me Huliveto è un posto speciale”.
Non è stato facile parlare di gradi con Luca, in arrampicata il grado è un’altra gabbia, per certi arrampicatori il grado è così vincolante che determina una bella giornata da un giornata orrenda, sui gradi si riempiono forum e discussioni, i climber diventano come alcuni impiegati isterici che producono pratiche, gufano il lavoro degli altri, finendo per stressarsi credendo di essere bravi solo loro: “il grado è la prostituzione dell’arrampicata e, di questi tempi, si perde troppo tempo dietro ai numeri, ignorando o dimenticando le storie che stanno dietro ad un sasso, ad una via, ai personaggi che gli hanno dato vita e alle infinite sensazioni che può regalare un movimento, un’idea. Parlo di gradi ma voglio che si sappia come la penso” – di Luca ho sempre apprezzato il suo essere diretto. E comunque il grado proposto da Luca per quel blocco è 8b, vedete, gli arrampicatori il grado non lo danno, lo propongono, sia mai che qualcuno si arrabbi. Beh … comunque Luca parla di 8b dopo aver fatto Icaro ed altri blocchi di riferimento di quel grado e “tibiaepperone” gli è sembrato decisamente più duro. 8b è il grado su cui era orientato Mauro – Calibani – e tutti sappiamo che gradi ha fatto in giro per il mondo. E comunque si aspettano i ripetitori… chi lo desidera può mettersi in contatto con Luca.
MAGNIFICA OSSESSIONE
Comunque ora molliamo il grado e concentriamoci sul blocco: “quella linea sale centrale su di un enorme masso che ne prevede altre 2. È una linea che sembra naturale anche se credevo che nessuno l’avesse provata, poi invece ho saputo che per un po’ l’aveva fatta Mauro. In realtà l’avevo sottovalutata, pensavo di andare lì e muovermi. Credevo, vedendola da sotto, di aver già capito la sequenza dei movimenti ed invece non riuscivo neanche a partire”.
“E’ stata una vera ossessione, non ci dormivo la notte, quel sasso mi aveva stregato, tanto che avevo deciso di fare quella linea per forza, nonostante non riuscissi a capire come. Così ho iniziato a provarla con continuità, a volte mi parava Arianna, a volte la provavo da solo, comunque le prese che incontravo e che dal basso pensavo di tenere quando progredivo, sembravano disegnate o erano sempre troppo lontane. Continuavo a guardare quel blocco dal basso quando la sera avevo finito le forze e non capivo neanche come sarei potuto uscire. Poi ho deciso di calarmi dall’alto e provarlo dalla metà – il blocco è alto 5-6 mt e in cima ci sono un paio di spit – ma neanche lì trovavo appigli veri, nella fessura non mi c’entrava neanche il mignolo ed attorno sembrava intonacato, mentre il bordo era sempre più lontano. Ma nonostante tutto lo dovevo fare”.
La bellissima ossessione di Luca dura quasi un anno, non a caso i blocchi vengono chiamati anche problemi, dove il boulderista cerca la soluzione ad una serie di passaggi da interpretare, modulare, finendo per adattare il proprio corpo sulla roccia. Per questo devi prima capire il blocco, in ogni suo singolo passaggio e poi farlo tutto da capo senza sbagliare. Sbagliare niente. Il talento di Luca e di altri forti arrampicatori sta nel raggiungere l’obiettivo subito dopo aver capito i singoli passaggi, senza soffrire di ansie ed altre forme di debolezza cui soffrono tanti altri arrampicatori e quindi quando Luca esclama “ah ho capito” arriva il giro buono, questo è quello che ha colto Cristiano che ha familiarità con i momenti realizzativi di Luca. Ma facciamo raccontare come Luca è arrivato alla soluzione: “la cosa più difficile è stata trovare tutti i movimenti che mi portassero in cima. Poi, quando li ho trovati in basso ed in mezzo, rimaneva l’uscita e quella rimaneva un mistero, così ho deciso di piazzarci un lancio, anche se era un bel lancio… Poi ho provato il lancio e dopo qualche tentativo l’ho fatto. Così ora avevo capito tutti i movimenti, ora lo dovevo solo metterli insieme”.
LA PAURA VIEN LANCIANDO
Io però non vedo l’ora di sapere del bel lancio finale, per capire cosa sta al posto di quei 3 puntini: “che vuoi che ti dica, è un lancio a due mani difficile, in diagonale, quando prendevi il bordo partiva una bandiera orizzontale da paura e se non lo prendevi non era più una questione di paura ma di certezza, insomma senza mezze parole, mi cacavo proprio addosso. E poi in casa mia c’erano già il babbo ed il gatto che avevano la tibia rotta ed io, se avessi sbagliato il lancio, gli avrei certamente fatto compagnia, con l’aggiunta del perone, infatti il blocco l’ho chiamato proprio così, “tibiaepperone”.
Il giorno della liberazione è il 26 Gennaio 2014. Non è un giorno a caso perché Luca per quella data ha finalmente, dopo impegni vari, messo insieme 5 paratori contemporaneamente.
Luca è a casa, i 5 paratori e 6 crash pad lo aspettano sotto “tibiaepperone”, sperando di non sperimentarne l’efficienza. Prima di andare Luca prende sottobraccio i 2 cuscini del divano, non si sa mai. Gli antesignani dei pad, che usava per far blocchi all’inizio, faranno parte dell’arredo ad Huliveto.
Al primo tentativo Luca si ferma al lancio, o meglio lo imposta ma non lo fa. Vince la paura, l’umana strizza al pensiero di ospedali, barelle, ossa rotte e frasi del cazzo tipo “te l’avevo detto”.
Il secondo giro deve essere quello buono, infatti senza quel lancio tutto rimarrebbe incompleto, a metà e della magnifica ossessione rimarrebbe solo, l’ossessione di non averci provato. E cos’ì è.
Luca “Elle” Andreozzi-Tibiaepperone 8B (Huliveto Tanks) from Lorenzo Bona on Vimeo.
Avrete già capito che i blocchi sono il nuovo giochino di Luca e se Huliveto è il sito di boulder caro a Luchino, Fontainebleau è il sito caro a tutti i boulderisti del mondo. E comunque ora è il momento di parlare del Viaggio che nell’arrampicata è il mezzo per andare via dal proprio mondo materiale portando con sé solo quello spirituale.
Io già me lo immagino com’è andata, Raffaello, che fa lo stagista a Parigi, deve aver parlato con alcuni suoi amici blusard, tipo: “questa settimana vengono a trovarmi dei miei amici, uno di loro è forte, forte veramente”.
Comunque eccoli lì tutti e sei gli italiani che sbavano sui blocchi più belli del mondo, ed ecco lì anche i francesi che, dopo aver visto per un po’ i cugini subalpini, mettono in pratica la loro trappola nella loro foresta, rivolgendosi a Luca: “perché non vieni a provare un 7A, è qui vicino. Roccia bellissima – insistono – roccia bellissima”.
Nella domanda c’è già la risposta: “certo che ci vengo”; ma anche una constatazione sommessa, perché esiste la roccia non bella in questo posto?. Beh comunque il dado è tratto oppure rien ne va plus, o come si dice noi: ora so’ cazzi.
LA SOTTILE LINEA BIANCA
Luca prova il blocco, uno dei francesi prova il blocco con lui, poi raggiunge i compagni sui pud mentre Luca continua a provare cercando la giusta method; ma continua a non schiodarsi da quel 7A “che poi sarà 7A?, o questi mi stanno a prendere in giro?”. Luca si gira, il gruppetto dei francesi sta sempre lì sprofondato sui pud e così si guarda intorno e trova un altro blocco, un altro 7A. Magari questo è davvero un 7A. Luca sale il blocco e rinfrancato riprova l’altro, prova ancora; ma niente, niente da fare. Si gira e non trova più i francesi che, paghi dello spettacolo, lo hanno lasciato lì. Così non resta che fare due foto, dato che la roccia ed il movimento valgono davvero e poi andare a trovare altra roccia con cui divertirsi.
Siamo ai minuti finali quando Luca si accorge di una sottile linea bianca in basso, prima segnata ed ora quasi totalmente cancellata. Lì c’è un aggancio di punta fondamentale per stabilizzare la partenza e poi aver ragione di quel blocco. Ed infatti è così. Si passa. Si arriva in cima. L’ “italien” si fa fotografare con la presa d’uscita in mano, raggiunge i francesi e mostra loro lo scatto e la sua personale didascalia “con questa in mano è facile”. C’è ancora tempo per un 7C proprio lì vicino, i francesi tornano a casa senza vedere la realizzazione, ma le loro orecchie rimangono ancora in zona per sentire le grida di Luca in cima al blocco. Più tardi, lo stesso giorno, sarebbe stata la volta di “Rainbow Rocket”.
“RAINBOW ROCKET”
Fontainebleau è pieno di blocchi che fanno la storia del boulder mondiale, magnifiche realizzazioni, grandi tentativi, che fanno onore a chi c’ha comunque provato. Orribili ossessioni che fanno torto a chi non ha saputo reggere alla frustrazione ed ha preso a martellate quella presa che proprio non riusciva a stringere. È il caso della presa di Karma, fatta oggetto di martellate.
E quindi se magari vedete uno che corre urlando con le scarpette d’arrampicata ai piedi, a rotta di collo verso valle, potrebbe avere salito uno di questi blocchi. Se per caso avete avvistato un tizio che rispondeva alla dinamica di cui sopra in data …9 Maggio 2014… avete visto Luca, che dopo aver salito “Rainbow Rocket”, sfogava la sua gioia.
“Rainbow Rocket” è un blocco con un lancio enorme piede mano; se vedi la realizzazione del blocco, difficilmente capisci la method, infatti quando sei in aria il piede sinistro che in partenza era spalmato, spinge sulla presa che prima era per la mano; è così che si arriva in cima: “volevo mettere le mani su quel blocco, lo avevo visto in video e volevo provare quel lancio, amo i lanci”. È così che i 6 si ritrovano sotto a quel blocco, a proposito i 5 che accompagnano Luca sono: Cristiano, Chiara, Raffaello, Fabio e Riccardo. Sono arrampicatori che scalano su gradi medi, nessuno è a livello di Luca ed è difficile, se non quasi impossibile, che uno di loro faccia un movimento prima di Luca in modo da potergli spiegare il metodo; ma a Luca non importa anzi non gliene frega nulla, ed infatti alla mia domanda come ti trovi a scalare con loro. Risponde “Benissimo, sono i migliori”.
Quando arrivano sotto a “Rainbow Rocket”, a Raffaello scappa da ridere, tanto era impensabile la realizzazione. Cristiano mi dirà: “non avrei nessuna speranza se piantassi la tenda lì per il resto dei miei giorni”.
Luca inizia a provare, in pochi giri si rende conto che si può fare, poi arriva la “solita frase” consapevole: “Ho capito”. Il giro dopo Luca è in alto che balla “Rainbow Rocket”, poi continua la sua danza urlante giù per il bosco, mentre i 5 gridano come matti, in un concerto che solo lo sport visto e fatto dal vivo sa farti suonare.
Ci sono autori che leggendoli ti viene voglia di scrivere e personaggi che suscitano la stessa magia standoli ad ascoltare. Luca fa parte di quei personaggi, spero di essere riuscito a farvelo capire e se non ci fossi riuscito confido nelle sue illustrazioni.
Testo di Massimo Capitani
Illustrazioni di Luca Andreozzi
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