-Allora, com’è andata?-
Sono in treno. In un Regionale che ferma in un tutte le stazioni. Ma proprio in tutte.
Sto tornando da Venezia. Da Gusto in Scena.
E anche se il viaggio è infinito, lo rifarei. Subito.
Decisamente.
C’ero andata per incontrare uno chef importante. Noto. Bravo.
Così bravo che vale la pena di cenare spesso, molto spesso, da lui.
Volevo vederlo lontano dal suo ristorante. In un ambiente neutro.
Per “leggerlo” meglio.
Così lo ascolto con attenzione.
Mi piace la sua concretezza. La sua pacatezza. E la sua semplicità.
Ma poi arriva Lui.
Scatenatissimo.
E pur non sapendo chi è, e cosa fa,
potrebbe essere un pittore, un rocker o un equilibrista,
me ne “innamoro”.
Immediatamente.
Perché è spiazzante. Disarmante. Anticonformista.
Lungo. Come può essere lungo un piatto. O un vino.
Complesso.
Intenso.
Con la sua casacca bianca. Ed una giacca nera sopra.
Che ancora adesso mi chiedo perché.
Forse il bianco gli sbatte?
O forse ha freddo?
O più semplicemente gli va così?
Come ammetto la folgorazione,
ammetto pure che non ho mai sentito parlare di lui.
E di nuovo mi chiedo perché.
E allora, mentre aspetto che inizi il suo intervento, lo Googglo.
Riccardo De Prà.
Ristorante Dolada.
Plois, Pieve d’Alpago.
Figlio d’arte.
Classe 1974.
Così scopro che siamo vicini geograficamente.
E pure cronologicamente.
E rosico doppiamente. Per non averlo conosciuto prima.
Comunque.
Lui inizia.
E io vengo calamitata dalle sue parole.
Abbandono l’iPad e mi dedico completamente all’ascolto.
Il tema del convegno è “Cucinare con… Cucinare senza… il sale”.
La prende un po’ larga, traghettandoci nel suo mondo.
Un mondo fatto di valori. Per il territorio.
E di tradizione. Perché “Il futuro è già nel passato”.
Ma anche di innovazione. Perché non possiamo più dire “Fea così perché lo fea me nona”.
Poi parla dei montanari. Dice che sono poco aperti. Ma molto affettuosi.
E qui mi perdo un attimo (lo ammetto) perché penso al mio fidanzato.
Ma mi ripiglio quando sento:
-E’ un casino essere figlio di un cuoco.
Mio padre è sempre stato molto severo con me.
Non diceva niente solo quando facevo tutto bene-.
E allora me lo immagino lì nella sua cucina, con il padre che da lontano, e in silenzio, lo osserva. Senza parlare.
Forse anche per questo 10 anni fa decide di intraprendere un viaggio in Giappone.
E’ un viaggio che racconta di sale. Che sa di sale.
E di passione per questa terra. Per la sua cultura. E per la sua cucina.
Riccardo ha la fortuna di lavorare per uno chef molto importante. Forse il più importante.
Anche se tutti i giorni gli fa fare la stessa cosa.
Rapa bianca e coltello. Coltello e rapa bianca.
Coltello e rapa bianca. Rapa bianca e coltello.
Così si ritrova immerso in un mondo strano. Ovattato. A tratti buio.
Dove parla solo con se stesso.
Per tre mesi.
Poi, un giorno, il maestro lo porta in giro per il Giappone.
Alla scoperta della cucina giapponese.
Quella delicata. Quella caratterizzata dell’equilibrio dei sapori. Quella della leggerezza del sale.
E così inizia a vedere dentro a quel buio.
Così inizia a vedere il buio.
Dopo questa esperienza di “purificazione”, rientra in Italia.
Con una nuova consapevolezza sui sapori. E sul sale.
E si incontra scontra con i suoi clienti. Quelli abituali. Quelli normali.
Che a volte non lo capiscono.
Ma dalla sua ha il bosco. Quello delle Dolomiti.
Che lo aiuta ad insaporire i cibi. E non solo.
Lo stesso territorio che si ritrova in questo piatto.
La battuta di cervo al sapore di bosco.
Per il profumo di bosco:
alcool, ginepro, muschio, corteccia di nocciolo, corteccia di abete, germogli di abete, pigne verdi di abete.
Distilla il liquido per catturare il profumo di bosco. L’essenza dell’habitat del cervo.
2 ore per ottenere 250 ml.
Per il burro di fieno:
burro di malga, fieno del secondo taglio (Dork).
Infusione a caldo.
45 minuti a 85 gradi.
Per la battuta:
polpa di cervo, pepe, aceto balsamico, glutammato di sodio, olio extravergine di oliva, crisantemi secchi.
Pulisce il cervo. Gli toglie la fibra nervosa.
E lo condisce.
E ce lo presenta su dei piattini tronchetto.
Graziosissimi.
E ci invita all’assaggio.
Chiedendoci di immaginare, prima di metterlo in bocca, che non sappia di niente.
Oggi dobbiamo ingannare il cervello.
Parole sue.
In questo modo percepiremo i sapori.
E sentiremo l’olio. E i fiori secchi. E il fieno. E il bosco.
I sapori li percepiamo.
Ma più di tutto ci arriva lui.
Che come un folletto inizia a salterellare in mezzo a noi. Spruzzandoci il bosco. Raccontandocelo. Facendocelo vivere.
Quest’uomo è adorabile.
Riesce a smuovere persino il mio vicino.
Un giovane sessantenne un po’ inamidato.
Che, per un attimo, abbandona la sua giacca e la sua cravatta e se ne esce con un:
– Beh, sto qua el se proprio forte. Al me fa piegar.-
E forse non c’è modo migliore per descrivere Riccardo De Prà.
Sto qua el se proprio forte.
Adesso voglio andare a trovarlo nel suo ristorante.
Sono sicura che questa mia prima (impressionante) impressione verrà confermata.
Il consiglio: liberatevi da tutti i vostri schemi mentali. E lasciatevi trasportare, anche solo per un momento, da questo chef in una nuova dimensione. La sua.
Ristorante Dolada
Plois, Pieve d’Alpago, BL
Tel. 0437 479141
www.dolada.it
info@dolada.it
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