MONTAGNA: UN PROGETTO PER RACCONTARE UOMINI E DONNE CHE VIVONO LE TERRE ALTE
Un nuovo modo per raccontare la Montagna, le donne e gli uomini che vivono le Terre Alte, i fenomeni di reinsediamento e chi gestisce strutture turistico-ricettive.
Ci hanno lavorato Uncem Piemonte, alcuni studenti dell’Università di Torino, il Csi Piemonte e il Consiglio regionale. Un progetto presentato la scorsa settimana al Salone del Libro di Torino, nello stand Book to the future, nato all’interno del Piemonte Visual Contest, programma del Consiglio regionale e Topix per mettere a disposizione i dati pubblici e raccontarli ai cittadini con infografiche.
L’INFOGRAFICA
Per la montagna, l’infografica è stata realizzata dal Collettivo grafico torinese Boumaka, guidato da Francesco Carletto, e permette di scoprire in modo nuovo i rifugi alpini. Un percorso di approfondimento che ruota attorno alla frase di Goethe: “I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi”.
L’infografica descrive dunque i rifugi e presenta i gestori, considerati, appunto, dei discepoli.
PRESENTAZIONE
Questa sera, venerdì 23 maggio,alle 19 verrà presentata alla Storytelling night del Digital Festival di Torino (Talent Garden, via Allioni 3). Si può navigare a questo link.
“Lo storytelling consente di esplorare l’infografica – spiega Michelle Rocco, studentessa, autrice con Luigi Pisu dei testi, con la supervisione di Marco Bussone e Marialaura Mandrilli dell’Uncem – Facendo ruotare la corona delle vette è possibile orientarsi fra le cime piemontesi e scendere dal generale al particolare. Abbiamo intervistato cinque gestori di cinque rifugi riguardo questioni di diversa natura. Dai testi integrali sono state isolate le parti più significative, con attenzione particolare alle risposte in grado di mettere in evidenza aspetti sulla cultura di montagna e il lato più umano di una scelta di vita non comune. Ogni intervista, a seconda della collocazione geografica, dell’altezza del rifugio e delle caratteristiche strutturali dello stesso, fa sì che emergano spunti di riflessione differenti su tematiche diverse. La linea rossa che le unisce è la condivisione di una serie di valori che possono essere letti come “insegnamenti”, che da un lato possono essere interpretati come esempio da riproporre, dall’altro creare una coscienza e motivare ad avvicinarsi con più consapevolezza alla vita di montagna”.
RIFUGI ALPINI: UN NUOVO MODO PER SCOPRIRLI
Si parte dal rifugio Jervis sul monte Granero. Roberto Boulard, 57 anni, gestisce il rifugio da 35. “La mia vita è come quella di un qualsiasi pendolare – afferma – che sale invece che muoversi verso il centro della città”. Roberto descrive cosa significhi essere gestore: “Io e i miei colleghi ci definiamo sentinelle di un territorio abbandonato per troppo tempo”. E fa affermazioni importanti: “Vorremmo portare i giovani in montagna anche per farli lavorare, le possibilità sono parecchie e poco sfruttate”. Sulla rocca Ambin c’è invece il rifugio Levi Molinari. Il discepolo è Marco Pozzi, 62 anni, gestore da 13 anni. “Ogni anno – racconta – cerchiamo di migliorarci. Stiamo realizzando il primo sentiero in zona per ipovedenti, di comodissimo accesso per i disabili”. Tra le innovazioni apportate da Marco ci sono percorsi di visione notturna di caprioli e cervi grazie all’utilizzo di una termocamera. Sul Monviso c’è il rifugio Giacoletti gestito da Andrea Sorbino, 50 anni di età, 25 di gestione. “Ho quattro figli, salgono tutta l’estate in rifugio, l’ultima da quando ha venti giorni”. “Per stare in montagna ci vogliono passione e flessibilità”. Sul corno Stella si trova il rifugio Bozano di Marco Quaglia, 57 anni, 6 anni di gestione. È simpatico: “La montagna in una parola? È verticale!”. “Chi viene al rifugio – spiega – non ci chiede la connessione a Internet, credo comunque che se ci fosse ci offrirrebbe grandi opportunità”. Sul monte Gelas, infine, c’è il rifugio Pagarì gestito da 23 anni da Andrea Pittavino, 46 anni. “Siamo il birrificio più alto in Europa – racconta –. Abbiamo ottenuto il marchio Ecolabel europeo. Il nostro cibo è biologico e usiamo solo detersivi ecocompatibili”. Andrea ha scritto un intero libro per cercare di capire chi è il vero montanaro. Alla fine, ha concluso, che è montanaro chi sente la cultura della montagna nel cuore.
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