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8 Luglio 2010

Uncategorized · Alpinismo e Spedizioni · Christian Roccati · rischio

Piove Cenere

Di norma, quando parto per una qualche scalata, penso all’oggettivo pericolo che sto per affrontare. Lo valuto selettivamente, dato che cambia di obbiettivo in obbiettivo. A quel punto considero ciò che posso fare per arginarlo e mi trovo ad analizzare un quadro del rischio reale. Ci sono salite molto pericolose che però hanno un basso rischio, od al contrario ascensioni con pochi pericoli, ma con un grande rischio di incorrere in essi. Tutto sta a capire ciò che si sta facendo ed accettare o meno lucidamente la situazione. Nella cultura attuale, apparentemente, si diffonde il concetto che il pericolo non esista e sia arginabile, sempre. Ovviamente è un’illusione collettiva, per dirla alla Freud.

Quando si pensa ad un alpinista che percorre cinque metri prima di piazzare un chiodo, si sa che se lui lasciasse le prese si ritroverebbe a precipitare almeno dieci metri più in basso, e questo fa paura. Sembra inconcepibile nel tempo in cui viviamo. Basterebbe un piccolo malore perché lo scalatore scivoli o si lasci cadere. Eppure, al contempo, nell’attuale cultura è invece normale pensare di guidare una macchina: lo facciamo tutti, ogni giorno. Se mi trovassi in autostrada e lasciassi inavvertitamente il volante in una curva, mi schianterei. Basterebbero due starnuti consecutivi ed un po’ di luce all’uscita di una galleria. Certo, in caso di incidente esiste la cintura di sicurezza per un guidatore, ma allo stesso modo c’è la corda per un arrampicatore. Considerando il numero di vie che un alpinista affronta in un anno ed il numero di volte che un uomo sale in macchina e guida una vettura nello stesso lasso temporale, è facile capire dalla statistica chi sta rischiando di più. Inoltre nell’attuale civiltà occidentale, è normale aver paura di poter cadere scalando anche se c’è la corda, ma non è legittimo considerare come attività decisamente più pericolosa per esempio l’andare in moto.

Se arrampico cinque metri per raggiungere una fessura in cui piazzare un chiodo e rinviare la corda, sto rischiando su quella distanza. Se cado potrò farmi molto male, ma la mia corda entrerà in funzione e non mi staccherò dalla montagna. Non posso perdere concentrazione, né posso smettere la mia azione fino a quel momento. E se invece mi trovo alla guida di una motocicletta, magari in autostrada, posso forse perdere concentrazione o staccare le mani quando io voglia? Salgo su una motocicletta pur sapendo che non esiste corda in caso di errore.

Il bollettino di morti e feriti sulle strade è più o meno simile a quello di una guerra cruenta, ma è omologato dalla società e quindi va bene. Quello degl’incidenti in montagna è infinitamente più piccolo, ma è ottimo come dato tragico per confezionare servizi giornalistici ad hoc, e mette la giusta paura. Tutto funziona in questo modo, alle nostre latitudini. Si guida tranquilli perché è impossibile, secondo la mentalità diffusa, che ci accada qualche cosa. C’è chi ha paura di volare in aereo, ma non teme di guidare la macchina, perché ha l’illusione di avere il controllo. È un condizionamento sociale che ci porta a pensare che, seguendo determinate regole, non ci accadrà niente. È una falsa sicurezza che per altro ci allontana dalla capacità di discernere, caratteristica che ci rende esseri umani. Pensare a questo mi ricorda un evento accaduto qualche tempo fa.

L’estate è oramai al suo termine ed il crepuscolo serale arriva sempre prima. La volta si fa inchiostro, nera di tenebra. C’è chi esce pronto a divertirsi e chi lavora fino a tardi. Altri si sdraiano sul divano con l’ultimo quiz in tv, qualcuno prepara la cena, altri ancora magari fanno l’amore.

Quella di ieri non è stata una di queste serate.

Viaggiavo in macchina ed ho visto prima il fumo, poi le fiamme all’imbrunire. Il monte Fasce ed il suo contrafforte, il Moro, alle spalle delle case levantine, stavano di nuovo bruciando. Ogni anno accade almeno una volta. Sono andato avanti e indietro in macchina sulla riviera, due volte, per riuscire a capire la linea di fuoco ed il favore di vento… La cresta sud era un unico rogo. Se i lembi di fiamma fossero stati sottovento, l’incendio avrebbe avuto la forza di attaccare il crinale sud-ovest. Sarebbero stati guai seri, perchè la zona ponentina è caratterizzata dal letto di un torrente ed è quindi florida di piante, ovviamente. Il fuoco sarebbe divampato in poco tempo lungo la costa arrivando sino alle case.

Questa notte il rischio è stato davvero serio. Mentre giravo per la città, arrivando finalmente alla mia vecchia casa, dopo alcuni giorni tra le montagne, mi son guardato intorno. Ho osservato la gente, in pizzeria e nei locali, tutti tirati a festa per l’eccitante serata imminente, tutti molto tranquilli e sereni. Mi ha fatto davvero effetto questa situazione quasi allegorica.

Alle loro spalle ruggiva indistruttibile il “mostro”, bellissimo ed orripilante, il gigantesco incendio. La luna era gialla perché filtrata dalla cortina di fumo, lassù, fredda e lontana, ad osservarci.

Loro erano tutti in “ghingheri” e là dietro centinaia di vigili del fuoco a rischiare la vita, per tutta la notte, ora dopo ora. Mi guardavo intorno incredulo, tra gente che ride e scherza, e nel frattempo migliaia di piante, animaletti, insetti vari, venivano sterminati, bruciati vivi. La pineta sud di monte Moro poteva scomparire per sempre, lasciando il posto a felci e rovi, eppure la loro unica reazione era quella di fotografare la “cartolina”, nel migliore dei casi. La maggior parte non era nemmeno voltata verso l’entroterra, ma puntava il proprio sguardo sul mare, perché è vicino all’acqua che c’è la festa, il locali, la vita mondana, il giusto look.

Nella vita quotidiana il rischio non esiste più. Sembrava non importare ad alcuno di capire le possibilità di spostamento del fuoco, per essere pronti ad evacuare le abitazioni e magari ad aiutare i meno forti od abili ad abbandonare la propria casa. Forse qualche vicino vecchio od in difficoltà di movimento, avrebbe potuto necessitare di assistenza in caso di bisogno. In TV non hanno proposto una diretta sino a questa notte, quindi nessuno poteva conoscere un quadro della situazione. Eppure non vi erano persone allarmate. All’una, alle due, alle tre… Tutti erano nelle proprie case a dormire. Questo è normale, in un giorno normale, ma non lo è in un giorno così… Non era forse più ovvio guardare fuori dalla finestra, almeno minimamente inquieti, almeno in parte pronti ad intervenire?

Non dico che tutti dovessero esser pronti a dare una mano ai vigili del fuoco che stavano tentando di far qualche cosa e rischiando per la collettività. Anche perché aiuti non richiesti non farebbero che intralciare le operazioni… Mi son chiesto però come non abbia visto alcuno pronto a mettersi in gioco, che sentisse la necessità di esser in allerta. Vedendo le altissime fiamme ed il fumo, era ovvio il pericolo. Non vi era un dubbio sulla bandiera, causa o scelta politica, per la quale schierarsi. Vi erano solo le nostre vite, le nostre case, la nostra terra, la nostra gente, da difendere, tutti insieme.

Era una sensazione naturale, ovvia. Invece sembrava che il sentimento diffuso fosse l’apatia, tanto ci sono i pompieri, di default. Come se poi i vigili del fuoco non fossero normalissime persone con una divisa addosso?!

Era tardi, certo, ma in una causa di forza maggiore, tutti dormivano tranquillissimi, ed il crinale di monte Moro, a pochi metri in linea d’aria dalle case, bruciava. I primi palazzi erano davvero, davvero vicini al fuoco, eppure nemmeno questo ha impedito a tutti di dormire.

Questa mattina ho sentito commenti ovunque, di gente che si sta svegliando ora e si chiede se «l’hanno spento?» L’hanno spento: gli “altri” ovviamente, perché a “noi” non compete e non consideriamo nemmeno la possibilità che la cosa possa interessarci. Peraltro figuriamoci se possiamo esser richiamati ad un rischio quand’è il momento di far festa, di mangiare una pizza o di dormire.

Non è il nostro mestiere quindi non ci compete, è tutto dovuto, ed è normale che “loro” mettano in gioco  la vita… Anzi, il pericolo non viene nemmeno considerato, “loro” devono spegnerlo e basta, a “noi” non interessa il come, a meno che non ci siano pettegolezzi da fare o modelli in plastica da curiosare. A “noi” non può succedere nulla. È ovvio, dovuto e normale, che “loro” l’abbiano spento. Non poteva succedere che su quel crinale l’incendio avesse la meglio e bruciasse tutto, comprese le nostre case; questo a “noi” non accadrà mai.

Intanto i canader e gli elicotteri continuano a passare sopra le nostre teste e tutto è ricoperto da carboni e da qualche foglia bruciata. Chissà se a Pompei pensarono la stessa cosa?

Piove cenere. Di certo non può accadere.

Christian Roccati
www.christian-roccati.com

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