Dovunque si va, non si può fare a meno di incontrare persone intelligenti. È divenuta una vera peste. (Oscar Wilde)
In questi giorni, prossimi al trentennale della scomparsa di Gian Piero Motti, mi è tornata in mente la celebre e provocatoria frase “re e reucci di paese…”, ch’egli riportò nella monografia “Arrampicare a Caprie”, pubblicata sulla rivista Scandere del 1983. In quell’occasione, Motti faceva riferimento alle scorie del fenomeno del free-climbing che, frainteso, malinteso e masticato velocemente, aveva prodotto fazioni, schiavitù, dogmi, glorie e gloriuzze e, appunto, “re e reucci di paese”. In verità, i “reucci di paese” io li conosco fin da quando, ancora ragazzotto, ho iniziato ad appassionarmi di scalata ed alpinismo. Erano sempre lì presenti a ricordarti che eri troppo scarso, troppo poco coraggioso o addirittura troppo ricco quando riuscivi a comperarti un paio di scarpette nuove che loro invece non avevano. Loro erano i più bravi in aderenza, in strapiombo, in fessura, sui sassi; ti dicevano di guardare e di imparare, invito, questo, fastidiosamente falso, perché quando mostravi qualche timido accenno di aver imparato ti rimarcavano che non era vero. Peggio ancora, mettevano in dubbio ogni tua piccola conquista. Crescendo e macinando centinaia di salite, ti accorgevi però che quei reucci erano spesso rimasti un po’ indietro. Talvolta sparivano addirittura, oppure resistevano con la stessa voglia (semmai ancora più antipatica) di denigrare tutto ciò che facevi. Dal momento che è assolutamente vero che il mondo è fatto a scale, ancor oggi ti accorgi che risalendone una rampa, alla fine un reuccio lo incontri sempre. Più in basso si trova la rampa e minori sono i mezzi di cui egli dispone per riproporti sempre la solita cantilena. Viceversa, più sali in alto e più i reucci diventano onnipresenti e ricchi di mezzi. Nell’era dell’alpinismo globalizzato, costoro compaiono sui forum più seguiti a dispensare sempre e solo perle di saggezza. Avete mai notato? Sono gli stessi che sulle riviste scrivono gli articoli più intelligenti, pubblicano i libri più venduti, quelli che sanno sempre dove è giusto mettere uno spit e dove invece è un sacrilegio piantarlo. In ogni valle, dove ti giri te li ritrovi con il loro verbo esatto: lì hanno fatto la storia, là hanno scovato le linee più belle, scalato con i nomi più importanti, di cui sono i soli depositari ed eredi di pensiero. Guai poi se pretendessi anche tu di proporre o di elaborare una chiave di lettura diversa! Tuttavia (e questa è una realtà che non può essere sovvertita) le grandi verità non albergano lungo le vie delle grandi pareti, tra le pagine delle riviste importanti, sulle bocche di coloro che hanno sempre la pretesa di essere annoverati tra gli alpinisti del momento. Molto spesso, invece, si annidano tra le modeste rocce di una valle poco nota, corrono lungo le acque dei ruscelli e dei torrenti che sono le stesse di ieri, e percorrono quei medesimi sentieri che da ragazzi non ci siamo accontentati di scoprire ma che abbiamo voluto capire. Ci saremo riusciti? Chi lo sa. Ma almeno noi ci abbiamo provato davvero. E se, cari re e reucci di paese, avete pensato che lo abbiamo fatto per assomigliarvi, siete invece voi a non avere capito veramente nulla.