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27 Ottobre 2019

Arrivederci e grazie

L’“arrampicata” in Val Grande di Lanzo è nata ai Torrioni del Biollé, nel 1965. Certo, l’anno precedente vi era stata la prima ascensione dello spigolo sudest del Bec di Roci Ruta. La particolare morfologia della parete, tale da conferirgli quasi la dignità di “montagna” nonostante sfiori solo i 2000 metri, aveva fatto rientrare questa scalata di Gian Piero Motti e Willy Fassio in una dimensione piuttosto “alpinistica”. In ogni caso si era trattato dell’unica salita possibile in quel momento, lungo la linea più debole e senza dimenticare che il Bec di Roci Ruta, localmente, aveva fama di essere insuperabile. Si prospettavano dunque ben poche altre possibilità di scalata perché il “Bec”potesse essere definito una “palestra”. Ci voleva una roccia più articolata, meno continua e soprattutto con maggiori possibilità. Fu allora che Gian Piero si ricordò di quelle rocce sopra casa sua. Le aveva viste la prima volta quando, in età giovanile, aveva risalito i salti delle cascate delle Unghiasse, legato con un cordino per il bucato e con un amichetto che si era fatto maldestramente trascinare. I torrioni erano apparsi invitanti e solcati da belle spaccature lungo le placche giallastre. In quell’autunno del 1965, così, era partito da Breno con gli amici Artero e Maffiodo, e sotto la parete aveva incontrato Renato, detto “Calandja” che faceva legna. Il montanaro era di casa poiché con il fratello Michele viveva all’alpe del Bec di Mea per sei mesi l’anno. Renato li aveva visti sparire poco dopo oltre un pilastro, con un traverso non facile. “Un brutto passaggio” – ricorderà anni dopo. Motti che aveva notato due belle fessure fuori misura che solcano la parete, portava con sé dei grossi cunei fatti con ritagli di tronchi, ed un chiodo a espansione. L’unico, che si doveva spendere bene. L’assalto è subito duro e i tre non possono permettersi un volo sul margine della terrazza che li vedrebbe precipitare direttamente alla base. Piantano quindi il chiodo e poi incastrano i tronchi. Alla fine di quella lotta dalle implicazioni poco etiche, e penalizzati dai pesanti e rigidi scarponi “Galibier” che indossano, daranno un grado fantasioso che riassume la visione di quegli anni: VI-. Nasce così la “Via della Fessura”, oggi un buon 6a+ protetto, che in scarpette, paradossalmente, ha un ingaggio ben maggiore rispetto a quello che trovarono i primi salitori. Dopo qualche anno, nel 1969, Motti che ha già collezionato il trittico del Bec di Mea torna con alcuni amici al Biollé. Tra questi vi è anche Gian Carlo Grassi. Il gruppetto traccia la linea più semplice e logica dell’intera struttura: la “Via del Camino” (V), poi, l’anno seguente Motti in compagnia di Pivano e Vittoni si congeda dai Torrioni del Biollé con una via di artificiale: la “Via del diedro” (A2), che sarà liberata dal sottoscritto nel 2001 con non poca difficoltà (7a+). Seguono venticinque anni di totale oblio, interrotti solo dal trapano e dai fix che Livio Berta piazza sulla “Via del Camino”, poi, sulla parete ovest, lo stesso apre una via che cerca il facile ma che ha il merito di segnare il risveglio del complesso roccioso. Quando nel 1997 arrivo al Biollé in compagnia dell’amico Francesco, non ho ancora il trapano ma solo spit da 8mm e un perforatore a mano. E’ con quel punteruolo che abbiamo appena finito di mettere i 130 spit che corredano la Parete del Roncet. Come attrezzatura siamo in ritardo già di parecchi anni, ma così è, e come negli anni ’80 saliamo il più delle volte arrampicando e chiodando dal basso. I voli e le sbucciature sono all’ordine del giorno. Tante volte, scornati, dobbiamo rinunciare dopo aver piantato solo due o tre protezioni. Quando finalmente arrivo alla fine del primo tiro, dopo aver messo 7 spit ne ho abbastanza, e mi appoggio alla sosta a fix della “Via del Camino”. Anche gli altri tiri non sono pagati a buon mercato, tant’è che utilizzeremo le soste della via classica per risparmiare altre fatiche. La via, però, alla fine è bella anche se facile (max 6b) ed è giocoforza terminarla quando la Via di Motti & C. diventa l’unica possibilità di proseguire. La “rapina” delle soste a fix già esistenti è forse un po’ irriverente. Mi viene in mente così un nome, altrettanto irriverente: “Arrivederci e grazie”. L’arrivederci in realtà è rimandato all’inizio del nuovo millennio in compagnia di altri amici, tra cui Nicola Ghiani, Renato Rivelli, Paolo Giatti, e soprattutto con un trapano Bosch. Una dopo l’altra nasceranno tutte le vie ora esistenti, la maggior parte aperte salendo dal basso. Tra queste, vi si trovano alcune tra le più belle fessure e placche di gneiss occhiadino della valle, come “Benvenuti a Topolinia” (7a), “Masoko Tanga” (6c+), “Risalita dall’Abisso” (7a) e Dispenser (6b+). Nell’opera di restyling delle vie della Val Grande, avviata con un progetto organico e l’uscita della topo – guida, non potevano certo mancare per importanza storica e per bellezza ambientale i Torrioni del Biollé. Con l’amico Umberto Lardieri, sono dunque ripartito proprio da quegli ultimi spit-roc del 1997, oggi più che mai anti-storici. Abbiamo leggermente corretto la via in alcuni punti rendendola più autonoma ed evidente, anche se l’ingaggio è rimasto quello di ventitré anni fa. Poi, dove la linea si unisce alla classica via di Motti & C. ho intravisto ciò che tempo fa mi era rimasto nascosto: la possibilità di continuare forse fino in cima scavalcando il grande spigolo strapiombante. I fix, però, erano finiti, le batterie pure. I friend mi hanno permesso di arrivare solo fino a un certo punto, oltre il quale il rischio di un volo sarebbe stato dalle dubbie conseguenze. La “visione”, però, adesso c’è. Quindi: “arrivederci”… e “grazie”.

https://www.ideamontagna.it/librimontagna/libro-alpinismo-montagna.asp?cod=216