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23 Febbraio 2017

BANFF 2017…o nero o bianco!

BANFFMountain Film Festival World Tour 2017…

Ogni anno questa parola smuove sogni e battiti negli appassionati di montagna, avventura e viaggio, quale che sia la disciplina che vivono, l’età o la condizione. Un lustro, cinque edizioni, ognuna diversa dall’altra; le ho seguite tutte, prima come partner del progetto e recensore a consuntivo, poi come astante. Anche quest’anno il festival mi ha emozionato e, con il grande cambio di temi e motivi che ha connaturato lo spettacolo, ha riattivato in me la grande aspettativa che avevo nel primo biennio.

Il tour 2017 mi ha stimolato particolarmente; ho raccolto molte decine di pareri per raggiungere un vasto campione e comporre questa semplice analisi, identificando due tipologie principali di reazioni, diametralmente opposte. A qualcuno il Banff è piaciuto estremamente perché ha portato un messaggio molto chiaro: chiunque io sia, posso vivere la montagna letteralmente a partire dalla porta di casa. Altri hanno avuto una grande delusione attendendo un tripudio di storie di superuomini in grado di fare cose estreme e adrenaliniche, pompati da musiche energiche.

Come sempre non esiste una sola verità, ma piuttosto una realtà su cui costruire pareri personali.
La fruizione di questi video lo dimostra, frame per frame.

thight loose

Tight Loose… Vorrei dire “un video unico”: un filmato semplicemente impressionante che riprende un team di sciatori estremi in grado di scendere canale per canale, in un’Alaska ai confini del mondo. Il video vuol festeggiare i vent’anni della Teton Gravity Research (TGR) una delle più famose case di produzione di video di sport estremi fondata a Jackson Hole nel Wyoming dai fratelli Steve and Todd Jones.
Atleti dalle doti impressionanti, alla prima luce del crepuscolo, iniziano a cavalcare la polvere al confine inclinato che separa la terra e il cielo. Pochi istanti, e anni di preparazione, permettono loro di vivere su una linea invisibile che mozza il fiato alla platea che virtualmente scende con loro a pochi centrimetri da slavine in corsa, di cresta in cresta.

Vorrei, ma non posso, perché se questo è il miglior film per molti, è semplicemente un “già visto” per altri. Al pubblico saturo di clip estreme e irraggiungibili è sembrato il movie meno appetibile e il più lontano da qualcosa che avrebbero potuto realizzare loro stessi.

Completamente differente la sesazione trasmessa da Trail Dog un movie che racconta le emozioni del piccolo villaggio di La Motte-d’Aveillans, nel sud est della Francia dove vive il runner vincitore del contest #MyTrailDog di Salomon, Gaëtan Ugnon-Fleury con i suoi cani, Pépite e Jolyn.

trail dog

Trama? Correre liberi, insieme ai propri amici; il filmato assomiglia a un diario di viaggio, senza date, appunti o ragionamenti; niente giochi, solo corsa e sentimento. L’elemento centrale oltre alla libertà? Il tempo che passa e si materializza nella fatica e nell’impossibilità di sostenere ancora e in tre un certo ritmo, di corsa e quindi di vita. Questa condizione idilliaca non durerà per sempre: pochi concetti semplici che racchiudono tutta l’esistenza, un balzo alla volta. Non siamo eterni, ma possiamo decidere come vivere il nostro tempo, come “sentirlo”, magari tra crinali e brughiere.
Un filmato che piace ed emoziona: unico difetto? Un poco in stile spot pubblicitario.

The Fledglings è l’opera che ritrae i climber professionisti  Cedar Wright e Matt Segal  alle prese con una nuova avventura, e per “nuova” s’intende completamente! Il motivo del filmato è il parapendio e non la scalata e perciò il tema non è più il perfezionamento delle proprie capacità di veterani, ma piuttosto la capacità di mettersi in discussione.

The Fledglings

Quanti di noi hanno dovuto incominciare una disciplina per le più svariate ragioni e guardando i campioni di settore li hanno immaginati come se fossero sempre stati così? Quando si vede un grande atleta ai massimi livelli che opera nel suo sport si avverte una sensazione di super sicurezza: egli è quasi il “protagonista che non può perdere”. Al contrario si perdona tutto al principiante e lo si incoraggia a migliorare: è nella sua natura l’errore. Sappiamo che sbaglierà fino a quando non sarà esperto e si slegherà dall’etichetta di beginner.
Che accade quando è l’esperto a diventare principiante?

Cedar Wright lo ricordiamo per innumerevoli opere a partire dall’edizione 2015 del BANFF insieme alla leggenda Alex Honnold alle prese con la scalata delle 45 torri nel deserto dello Utah, con trasferimenti in bicicletta. In The Fledglings torna a essere un novellino che deve imparare a pilotare un parapendio con il desiderio di decollare dal Pico de Orizaba che con i suoi 5610 metri è la più alta montagna del Messico.

Questo filmato è una macchina del tempo che ci mostra il Cedar di 30 anni fa, quando decise di diventare un climber professionista, proiettato in questa nuova disciplina nel 2017. Il messaggio è talmente chiaro che viene persino ribadito: essere un principiante non significa non poter arrivare a fare cose grandi, non significa non poter progettare e realizzare. Uno svolgimento semplice e spettacolare che sceglie i mezzi più amatoriali per la sua esecuzione, probabilmente per aumentare ancora il sentimento “home made”… Quest’opera ci consiglia di prendere le nostre scarpe e inseguire i nostri sogni.

Se per alcuni è proprio questo mix a renderlo uno dei filmati più interessanti, se non il migliore, per altri non è degno di nota proprio per questa naturalezza che non a tutti é piaciuta.

Northbound é l’opera che racconta l’avventura di quattro giovani skateboarder che decidono di andare in Norvegia, oltre il circolo polare artico, cercando di applicare il loro stile urbano sulla sabbia ghiacciata. Questo filmato propone la realtà di una natura selvaggia, reinterpretata secondo il caleidoscopio di atleti metropolitanti che letteralmente la plasmano.

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…ed ecco che compare una half pipe nel bagnoasciuga e una barca diventa il terreno ideale per figure freestyle. La fotografia e le atmosfere sono strepitose; si respirano due luoghi in uno, come se il fruitore stesse traducendo un’antica lingua in uno slang giovanile, mixando dimensioni che non interagiscono tra loro. Come ogni fiaba la realtà riporta il tempo a se stesso e la rampa di sabbia si trasforma in un castello che la marea abbatte.

Iran:a skier’s journey è esattamente il contrario di Northbound… Il cortometraggio racconta il viaggio degli sciatori Chad Sayers e Forrest Coots alla volta del medio oriente.

skiers journey

Il filmato segue i ritmi che il teatro dell’antica Persia propone; l’accoglienza locale abbatte i pregiudizi e i continui elementi che vengono appresi dagli atleti, che sono prima uomini, è una sorta di ricerca antropologica ed etnografica empirica. La regia di Jordan Manley suggerisce un continuo confronto tra le “cattedrali” della terra e quelle del cielo.

La scoperta di questa landa ha la stessa armonia delle pagine di un libro segreto che vengono sfogliate una alla volta. I protagonisti si troveranno a inseguire le linee di Madre Terra, seppur in vista di impianti moderni, soli o vicini ad altri contemporanei “asceti”. Sciando precipitano in una soluzione tra il nuovo e il vecchio, l’Iran al suo stato attuale e l’occidente, nello stesso luogo, nello stesso momento, nello stesso film. Chad e Forrest sono al contempo sci , arcaiche montagne innevate, attuale civiltà, ancestrali imperi: sono oggi, prima, domani e prima di loro. La neve e la pietra esistevano e ci saranno ancora quando l’uomo avrà smesso di solcarla o di costruirvi sopra.

Se in Northbound l’occhio umano viene applicato alla natura estrema, in Iran:a skier’s journey è lo sguardo della natura a mostrarsi al di sopra di piccole città che esistono da abbastanza tempo da sembrare eterne per l’umanità e che sono un battito di ciglia per la storia del globo.

The trail of Kazbegi è il movie che descrive l’avventura dei biker  Joey Schusler, il regista, e dei compagni Brice Minnigh, Ross Measures e Sam Seward. Il team decide di affrontare i sentieri del Caucaso, Georgia, in completa autonomia per 10 giorni.

Kazbegi

Si tratta di una storia semplice e travagliata tra piccole e grandi disavventure, ostacoli che si oppiongono al viaggio che in un modo o nell’altro continua alla scoperta di un luogo incredibilmente naturale e alla riscoperta di se stessi. Una clip più tradizionale che incanta per la magia dei paesaggi e calamita per la semplicità piacevole della sua storia: sembra quasi un bel romanzo classico, da godere in pochi minuti.

Doing it scared è un filmato che riprende motivi simili al precedente e un messaggio affine che viene però iper amplificato da una condizione di disabilità.

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Il climber inglese Paul Pritchard tentò la scalata del Totem Pole, un obelisco di roccia a pochi metri dalle coste della Tasmania; lo spettatore vede una torre verticale e vertiginosa che diciotto anni prima fu il teatro di un terribile incidente che lasciò il climber parzialmente paralizzato. Paul decide di tornare e salire in artificiale la stessa via, un itinerario che lo riconcilia con la sua paura.

Anche in questo caso il messaggio che viene trasmesso è positivo, accettazione e possibilità che danzano insieme conducendo al futuro; lo spettatore vive con il protagonista il suo riscatto e assimila inconsciamente la varietà della vita che meravigliosa si può realizzare: l’esistenza a portata per tutti.

Poumaka è il film di Andy Mann e Keith Ladzinski che presenta il veterano dell’arrampicata e dell’esplorazione Mike Libecki che parte per scalare una grande torre che sovrasta giungla polinesiana, appunto la Poumaka Tower. L’intreccio scaturisce con l’invito della campionessa americana di bouldering Angie Payne che si fa da subito voce narrante.

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Il film ha inizio con una scena drammatica in cui la climber si trova in una sorta di scenario surreale: sembra all’interno di una grotta terribilmente angusta, nella tempesta, di notte, eppure svariati elementi suggeriscono che è impegnata in una scalata… lei stessa si chiede come abbia fatto a trovarsi in quella condizione.

Viene presentato un unico grande flashback che racconta la storia sino a quel punto, una decisione importante che darà senso alla storia. Il messaggio offre nuovamente la possibilità per tutti, occasione che però va guadagnata grazie alla capacità di reinventarsi e andare avanti e avanti ancora, in una chiave del successo dettata dalla resilienza della propria mente, al di sopra di ogni cosa.

Ace and the desert dog è forse il filmato più semplice e più controverso se si parla di pareri contrastanti. L’opera dà voce al fotografo esploratore Ace Kvale e persino al suo cane, Genghis Khan. La coppia, per il sessantesimo compleanno dell’umano, parte a piedi dalla porta di casa per un trekking di 60 giorni che attraverserà i canyon del deserto dello Utahin nel wilderness totale.

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Questo filmato serve nuovamente la stessa tematica ricorrente in molte opere, distillandola al massimo con svariati elementi. L’avventura per tutti, l’avventura in ogni cosa, ognuna adatta a ogni persona. Non  ha alcuna importanza l’età, concetto presentato per via della ricorrenza, ma anche sospinto attraverso il fraterno Gengis… la voce fuoricampo del protagonista suggerisce che 60 giorni per lui sono un anno di vita per un uomo. Ogni cosa è relativa: non è necessario scalare o siglare record, basta andare, ulteriore metafora dell’evoluzione.

Ho sentito dire con due intonazioni perfettamente opposte: “…in fondo il protagonista è partito da casa sua, ha dormito in tenda ed è ritornato”. I mezzi sono esattamente questi, ma quale differenza, quale messaggio veicolano nelle diverse persone? Un concept opposto.

L’ultimo filmato proiettato nella rassegna è stato Danny MacAskill’s wee day out un breve video, ironico e impressionante, con il quale s’ipotizza il tipico giorno libero del biker Danny… alle prese con il suo passatempo in ambiente naturale.

Danny MacAskill gap from platform to railway track // Fred Murray / Red Bull Content Pool // P-20161010-00776 // Usage for editorial use only // Please go to www.redbullcontentpool.com for further information. //

…il filmato strizza l’occhio alla realtà presentando mirabolanti acrobazie ai limiti dell’umano. La sala intera trattiene il fiato e sorride a ritmo scherzoso dell’opera, ma nessuno riesce a credere a ciò che avviene sullo schermo sino ai titoli di coda che, più che un easter egg sono di fatto parte integrante del cortometraggio.

Il backstage è un continuo umanizzare il superuomo precedentemente dipinto. Ed ecco che la giornata tipica è in realtà un’invenzione, esattamente al contrario del reale Danny, che risulta più vero che mai. Nessun effetto speciale… solo tanto allenamento sino a raggiungere un livello tecnico di abilità ai limiti del possibile.

Come classificare il BANFF 2017?
Basta non farlo: a ognuno la propria libertà! …direi una metarecensione suggerita dal festival stesso.

Christian Roccati
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