Buongiorno! Buon 26 aprile.
Il sole è alto nel cielo, noi siamo in casa, pronti per uscire, in trepidazione, fra pochi giorni.
Buon 26 aprile a tutti.
Il 25 era ieri e oggi è il 26. La libertà di pensiero, fisica, sessuale, intima, progettuale, spirituale, artistica, fraterna …ogni libertà, non è di un giorno solo o di alcuni, ma è una condizione umana o dovrebbe esserlo…
Mentre lavoravo mi è capitato un pezzo, che redassi nel 2015, trascrivendo il mio discorso per la libertà che tenni alla commemorazione ufficiale del 25 aprile di quell’anno, dopo aver appena scoperto il terribile terremoto di Kathmandù.
Un lustro: è passato un lustro, e la libertà è ancora lì, ancora nostra.
Esiste e non può essere uccisa. Possiamo perderla, riconquistarla, ottenerla, evolverla, ma non può esser distrutta.
Queste parole hanno qualche anno, ma valgono sempre, perché ieri era il 25 aprile e domani sarà il 27.
“25 aprile… la Liberazione. Che cosa significa davvero?
Sono passati settant’anni da quando l’Italia ottenne la libertà, dalla guerra, da un regime, da leggi razziali, da credi prestabiliti. Settant’anni: ma cos’è davvero la libertà?
Nella mia famiglia ci sono stati partigiani comandanti e combattenti e uomini deportati in campi di concentramento. Che cosa fu per loro la libertà? Una cosa molto semplice: crebbi senza che mi fosse spiegato alcunché di politica e di guerra fino a quando non mi formai per mio conto un’opinione. Diventai grande senza che alcuno inculcasse una qualche idea nella mia testa.
Per la mia famiglia era importante che io potessi fare le mie esperienze e che potessi formare le mie idee, anche se esse fossero state diverse o contrarie alle loro. Avevano combattuto anche per questo: dovevo esser libero di scegliere, libero di pensare. Questo era il colore del sangue di chi aveva lottato, quello della libertà.
Oggi mi chiedo se siamo davvero liberi come si afferma o siamo schiavi come altri dicono? In questi mesi è in atto un processo a un grande intellettuale come Erri De Luca per aver espresso un opinione sulla TAV. Non voglio entrare nel merito, se essa sia giusta o sia sbagliata, voglio focalizzarmi sul reato: il suo errore è stato quello di esprimere un parere. In queste settimane inoltre l’Italia è stata condannata dalla corte europea per i diritti dell’uomo, per l’inadeguata legislazione in relazione a ciò che è accaduto alla Diaz e poi alla caserma di Bolzaneto durante i “fatti del G8 di Genova”.
Come si sta evolvendo questa nazione? Molto bene io credo… In altre epoche fatti come questi accadevano non come eventi straordinari, ma all’ordine del giorno. Noi abbiamo la libertà di indignarci, quindi si, siamo liberi. Ma quando lo siamo? Se combattiamo per la nostra libertà, senza farla sconfinare in quella del nostro prossimo, quando resistiamo, quando non ci arrendiamo, quando siamo partigiani.
Alle volte nel cuore della notte, leggo nei social forum i commenti di gente che inneggia al «quando c’era lui», con attribuzioni insensate e completamente inventate di scelte savie e onorevoli in un’epoca di terrore. Quando c’era il duce, nessuno avrebbe mai potuto scrivere il proprio parere liberamente su un social forum. Se tale è la concezione del passato sembrerebbe inutile stupirsi di altre cose.
Alle volte ad esempio, ascolto persone che si fanno un vanto della propria rassegnazione. Sono quotidiane frasi sterili sui politici come «sono tutti uguali». Osservando le persone sembra che per la società moderna conti solo avere il telefonino più alla moda, tifare per la migliore squadra di calcio, apparire come la più estetica modella. Avere e non essere.
Quando siamo liberi? Quando non ci accontentiamo di questo, quando ci stupiamo ancora. Ci alziamo la mattina e possiamo scegliere. Personalmente non possiedo un televisore, non ho una lavatrice funzionante né un aspirapolvere, ma ho due computer e un telefonino, semplice ma con accesso alla rete. Mi alzo la mattina e decido. Non sono al servizio degli oggetti, ma loro sono al mio servizio. Non scambio il mezzo con il fine. Possiedo le mie cose e non il contrario.
Vedo i ragazzini tutti uguali, con lo stesso zaino, gli stessi pantaloni, e mi rendo conto che per farsi accettare dal gruppo usano il sistema degli oggetti acquistati. Perché dev’esser questo il sentiero? Immagino un giovane forte e libero che sceglie lo zaino che più gli piace, non quello di moda, e che non sia deriso per questo; penso ai suoi coetanei che gli domandano cosa apprezza di quell’oggetto e di quanto lui possa arricchire loro con il suo punto di vista.
Non voglio un mondo in cui il diverso è fuori dal sistema, per il suo colore, la sua mente, le sue tendenze sessuali differenti da quelle della massa a patto che essa davvero conosca le proprie. Diversità globale e quindi arricchimento.
Come afferma una teoria non mia, se io possiedo una cosa e tu un’altra e ce le scambiamo ne avremo una a testa. Se invece ci scambiamo un’idea, ne possiederemo due ciascuno. La diversità, la scelta, il confronto, sono sempre un arricchimento. Un confronto vero, al di là della falsa libertà della tolleranza. Non penso esista parola più razzista di questa. “Tolleranza” il cui concetto equivale a “sono superiore a te e quindi tollero la tua inferiore diversità”. In un mondo libero tutti giudicano tutti e si prendono le responsabilità del proprio giudizio, da pari a pari, ma nessuno può permettersi di condannare un altro. Un mondo libero non ammette che un cittadino sia talmente superbo da arrogarsi il diritto di tollerare un altro.
Non voglio esser schiavo di bisogni indotti di cose inutili che prendono il controllo di me. Non voglio comprare l’ultimo cellulare che mi ruberà tempo e risorse e che poi dovrò difendere. Ho due computer perché sono il mezzo per scrivere i mie libri e fare ciò che mi piace. Mi alzo la mattina e scelgo, perché son libero. Provo e magari sbaglio, ma vivo.
Mi pongo domande per qualsiasi cosa; se vedo una macchina in seconda fila prima di pensare all’ineducazione o alla pigrizia del guidatore, mi chiedo se quel sito sia stato o meno dotato di parcheggi. Se vedo persone che scappano dai loro paesi in guerra o alla fame, mi chiedo prima cosa sia accaduto in essi e che cosa io possa c’entrare o meno con la soluzione …o con la nascita del problema.
Spesso invece, nel quotidiano, ascolto persone che prendono sempre la via più breve, la condanna facile, il non ragionamento. Gli individui che ascoltano sempre la propria parte invece che leggere un giornale e il suo opposto, per farsi una vera idea invece che tifare. Sono le stesse persone che si lamentano per la mancanza di occupazione per i propri figli e poi vanno a comprare in cineserie che sostanzialmente sostengono il tipo di sistema che ha distrutto i posti di lavoro citati.
Esser liberi significa alzarsi la mattina senza preconcetti e cercare di domandarsi sul mondo, scegliere, sempre. Esser partigiani oggi significa combattere per questa libertà. Significa credere che il globo possa ancora cambiare a partire dalla più piccola goccia. Donare il sangue, acculturarsi, partecipare a progetti umanitari, non inquinare, e mille altre piccole e grandi cose, il semplice dare una mano senza un tornaconto. Il mondo moderno permette la riqualificazione territoriale e umana, il circolare di vere informazioni. Tentare di migliorare il pianeta intorno a noi è un dovere e non un diritto. Lo stesso è credere in un sogno: anche questo è libertà. Avere il coraggio di capire che ognuno di noi ha il diritto a esser felice senza pensare che il futuro sia cosa impossibile.
Abbiamo diritto a esser felici e abbiamo il diritto a esser liberi.
Questo è il nostro momento per scegliere di esser migliori, questo è il nostro momento per esser partigiani, per esser uomini liberi. Ora tocca a noi: si può fare”.
Christian Roccati
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