Dopo la nevicata di ieri che ha deposto circa trenta centimetri di neve farinosa con temperature di poco sotto lo zero, oggi tutto è destinato a cambiare. E’ previsto, infatti, vento forte da ovest, il classico fohn che nelle nostre valli nord-occidentali (di sottovento) porta a un brusco innalzamento delle temperature, spesso con pioggia di ricaduta. Entro domani, poi, lo zero termico si porterà addirittura a tremila metri di quota. La settimana appena trascorsa è stata piuttosto fredda con temperature abbondantemente sotto lo zero, sufficienti a ghiacciare alcuni rigagnoli d’acqua di portata minima. Una ricognizione fatta lunedì, alla ricerca senza successo del primo ghiaccio, mi ha permesso di “binocolare” alcune pieghe nascoste della parete detta dell’”Invernou” e di formulare delle ipotesi. Non ho molto tempo a disposizione prima che la temperatura faccia il suo “lavoro” e le piogge della prossima settimana, purtroppo previste a quote alte, rendano vano ciò che il freddo ha in poco tempo costruito. Per non parlare poi dei pericoli oggettivi destinati ad aumentare sensibilmente per effetto del rialzo termico. Quando arrivo al fondovalle, la temperatura a 1200 metri è di due gradi. Dove sono diretto, è una stretta gola incassata tra le rocce strapiombanti, quindi riparata anche dal vento. Inoltre, è una zona notoriamente fredda. La gola muore contro una volta strapiombante scavata in un grande spigolo ed è perciò completamente protetta da eventuali valanghe. Penso che se non conoscessi ogni metro del vallone di Sea non potrei permettermi certe supposizioni e nemmeno muovermi con una relativa sicurezza. Per decine di anni, però, l’ho percorso d’estate e d’inverno, alla ricerca di vie nuove oppure semplicemente per appagare la mia curiosità, spesso da solo, come del resto oggi. Osservando il ghiaccio in alto ne ricavo una buona impressione: forse vale la pena di salire quel malagevole sistema di cenge e costeggiare per un tratto un canale che, se le condizioni muteranno, già domani non sarà prudente percorrere. Oggi però sono tranquillo, ho esaminato attentamente l’area e non mi aspetto problemi. Con le racchette salgo battendo traccia con fatica nella neve non ancora lavorata dalla temperatura, e passo in prossimità di alcune volte dove pendono minacciose delle “tende gelate”. Sono a distanza ragionevole e se dovessero staccarsi, non arriverebbero fino a me, infossandosi nella neve fonda e morbida. Costeggio il canale e supero la cengia inclinata a “Z” da cui ho visto che potrò scendere agevolmente senza usare la corda. Arrivo così all’attacco. Incredibilmente il ghiaccio è buono e solido sulla sinistra. Il rigonfiamento offre un bel salto di quaranta metri compatto e abbastanza largo, poi, una spianata nevosa anticipa ancora una candela, che a prima vista reputo troppo fragile. Attacco sulla sinistra, il ghiaccio è facile e la pendenza “classica”. In breve sono al terrazzo d’uscita ed esamino la candela: è davvero elegante e completerebbe la salita, ma non è davvero il caso in queste condizioni. Sento che la temperatura è aumentata di parecchio, come mi conferma lo stillicidio e il distacco delle stalattiti che bordano le rocce strapiombanti. Inoltre è iniziato a piovigginare. E’ necessario interrompere qua e scendere senza attardarsi troppo. Sarà per un’altra volta, con condizioni migliori. Quaranta metri di scalata valevano lo sforzo di salire fin quassù? Anni addietro, quando come la maggior parte degli scalatori ambiziosi ricercavo le salite di un certo tipo avrei detto di no, ma, oggi, essere qui ha un significato diverso ed esula dalla prestazione tecnica in sé. Saper rinunciare ascoltando quel “senso dell’ambiente” che si è costruito in tanti anni, è per me ogni volta una rinnovata conquista. La “sicurezza” non va ricercata come molti oggi professano, esclusivamente nell’uso massiccio della tecnologia, quella che ti consente di trovare sempre la strada ed essere ritrovato in caso di necessità. Pensare che la “techne” sia sufficiente oppure irrinunciabile è un gravissimo errore. E’ necessario recuperare uno stretto dialogo con la natura e sentirsi parte integrante di questa. Bisogna avere l’umiltà di partire dal bosco, per poi arrivare alle praterie e quindi alle grandi altezze o agli ambienti più aspri e severi. E’ un percorso lungo e spesso strettamente personale, una via di “liberazione” che non richiede fretta, ma pazienza e umiltà. Esso non deve tralasciare quegli aspetti della montagna che spesso riteniamo marginali, concentrati come siamo nelle nostre prestazioni. Sto divagando? Forse si, ed è ora di tornare.
Pilastro dell’Invernou: Vallone di Sea
“Buona la prima”, 40 m 3/II+
M.Blatto il 14 dicembre 2019, solo