Non ho mai amato la caccia. Almeno, non quella che prevede l’uccisione di un animale. Questa mattina, nemmeno a farlo apposta, sono ai piedi del “Canale dei Cacciatori”. La neve farinosa caduta qualche giorno fa ha coperto appena le tracce degli amici che sono discesi di qui con gli sci, lo scorso week-end. La seconda discesa assoluta di questo canalone selvaggio e pericoloso, raramente in condizioni. Ventisette anni dopo la nostra prima discesa. Ricordo quel giorno di fine marzo, quando il canale era pieno di neve valanghiva e noi non eravamo certo dei “ripidisti”. Con i nostri sci lunghi ci destreggiammo tra i blocchi di neve che rendevano la discesa tutt’altro che semplice e lineare come deve essere invece stata in questi giorni. Era la prima volta che salivo ai “Cacciatori”, un luogo quasi leggendario che avevo sentito raccontare soltanto dai vecchi della valle. Serrato tra pareti minacciose, si narrava che tra i suoi ripidi declivi strisciasse minacciosa la “vipera nera” di Mombran, che a detta di qualcuno aveva addirittura potere ipnotico. Un giorno, Giacoulin, raccontò che di ritorno dalla caccia dovette aprirsi la strada a fucilate tra le vipere nere sibilanti. Lungo e ripido, il “Canale dei cacciatori” era la porta di accesso ai mondi sospesi di Marmorand, passando per le rocce dell’Invernou e il difficile Pas d’la Tchièvra (Passo della Capra). Qui, strisciare nell’angusto spazio inclinato a picco sul vuoto, con il fucile a spalle e trascinando il camoscio ucciso non era uno scherzo. Negli anni, le “vipere nere” non mi hanno mai ipnotizzato, almeno non come le alte pareti del Malatret o del Cerel. Quante corse, quante avventure, spesso concluse con prime salite o prime ripetizioni. Tante volte, mi sono limitato a salire al Gias Mombran e alle sue baite diroccate, sospese su uno spalto roccioso ricoperto di uno stretto fazzoletto di pascolo. La fatica nel salire il canale era ripagata dalla splendida solitudine visionaria che vivevo seduto lassù. Lontano dal mondo e da ogni pensiero non gradito. Ogni volta, prima di ridiscendere, sistemavo una pietra su quei muri diroccati. Là, dove vi era un tempo chi saliva ogni giorno a governare le capre. Vipere nere o no. Anche oggi, come spesso è accaduto, sono solo. Questo strano inverno ha voluto farmi in extremis un regalo, stendendo un nastro gelato sulle ripide rocce a strapiombo sul fianco del canale. Anch’io qui, in qualche modo sono sempre stato un cacciatore. Ho cacciato emozioni lungo pareti inesplorate, lungo ripidi pendii innevati e nelle strette pieghe ghiacciate della montagna. Oggi, un’ultima caccia forse, almeno in questo “stile”. Niente corda, nemmeno per la discesa. Nessun compromesso. Questo genere di “caccia” vuole armi leali. Il ghiaccio è ripido e sottile ma l’aria fredda mi rende la scalata sicura. Un camoscio, mi guarda dalla cengia di fianco, prima di tuffarsi nel canale. Sa che non sparerò. La mia caccia è un’altra. Ancora una volta sono quassù. Ancora una volta non tornerò a mani vuote. Fosse anche l’ultima caccia va bene così…
Vallone di Sea – Cresta di Mombran
“Cacciatori solitari”, III/4. Prima salita M.Blatto, solo.