Inizia questo 2017, incomincia un respiro alla volta, semplicemente pieno di tonfi, che siano quelli dei sordi passi nei boschi, oppure quelli delle nostre speranze, leggere per alcuni, elettriche e piene di bollicine, oppure pesanti per altri.
Il passo si fa quieto e senza tempo nei boschi, tra larici spogli che senza timidezza mostrano i loro muscoli addormentati e pini annodati, alcuni in forze, altri decaduti tra cortecce incluse e giovani virgulti pronti a soppiantarli. Armonia naturale o lotta insanguinata? Esattamente sinonimi.
Passeggio con Elena tra gli spiriti delle driadi di Viou: non devo andare in alcun posto, sono già arrivato; non è una consapevolezza, una decisione o chissà quale proposito, ma lo stato di fatto delle mie molecole.
Qui i respiri non si spostano perché già sono.
Inseguiamo lo gneiss di pietre metamorfiche che descrivono la storia dei ghiacciai che qui riposarono un tempo, formando valli e combe sospese. Le racconto dell’alpeggio in cui venivo a far merenda con i miei zii e delle vette con cui pettinammo le nostre anime attraverso gli occhi.
Abeti rossi nascondono altri fratelli che celano pareti e sogni; il Gran Nomenon, La Grivola… penso alla vita delle montagne che si mischia a quella degli uomini; ricordo del fabbro e del primo rampone a dieci punte, del nipote Laurent e dei due denti ferrati che iniziarono la novella della scalata sul ghiaccio.
Guardo il picco della decima ora, il mont Emilius, e ricordo i frati che ad Aosta cercarono la loro elevazione e poi la becca di Nona: un tempo il giorno era calcolato in ore romane che scandivano i momenti di preghiera e venivano identificate dal passaggio del sole dietro ai picchi, per questo numerati.
Quante altre cose rimembro nel riverbero dei ricordi, come onde dentro di me; la mia storia s’intreccia con quella dei miei avi in un ordito magico. Penso a zio Dante e alla nonna e alla ricerca delle stelle alpine, alle corse inseguendo la vita tra i crinali da bambini e a quelle scampando la morte, da ragazzini partigiani. Penso ai miei zii e a mio padre, mentre cammino con il suo zaino in spalla, di cuoio e tela, che centinaia di volte mi ha accompagnato nelle mie scalate e nelle più semplici traversate.
Mentre torniamo il respiro non si ferma e siamo noi ad arrestarci, scaldati da un tiepido e amichevole sole. Questo 2017 ha inizio e tutta la vita con lui. Scrivo un altro capitolo di un nuovo libro, una guida all’Islanda Segreta, e rileggo l’ultimo paragrafo che ho composto, per la biografia di uno dei più grandi arrampicatori italiani di sempre, il vulcanico Alberto Gnerro. Ancora una riga, ancora un passo.
Ho nelle orecchie la melodia intonata a pianoforte da Massimo, mio cugino, matematico in Lussemburgo, e il sorriso un poco stanco di Roberto, suo fratello, funzionario a Strasburgo. Mentre aspetto che Marco e mia sorella Valentina scendano di corsa dall’Alpe, guardo Elena.
Quante e di quali colori sono le trame di questa esistenza? Quanti respiri compongono la volta? Solo quelli che passano tra un “mi ricordo” e un “vorrei”. Cerchiamo risposte nella nostra mente in una realtà che non ne è fornita, perché non esiste alcuna domanda in natura, siamo solo noi a porla. In questo tutto esiste solo “è” e noi qui “siamo”.
Sono quindi sono, mai vivido come in questo momento.
Sono quindi sono.
Christian Roccati
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