Marco Confortola, l’appassionato atleta che vola sulle pareti con i suoi sci, quando non le sorvola con l’elisoccorso o quando ancora non le osserva laggiù, dall’alto dei suoi 8000.
Ho avuto occasione diverse volte di parlare con lui, su un palco, al telefono, di fronte a una birra e sognando montagne, che fossero quelle solcate o quelle ancora sconosciute.
Lo scorso anno, in settembre, c’incontrammo per il meeting internazionale FinaleforNepal; Confortola fu uno degli scalatori che aiutò la nostra associazione in favore di quella grande area che era appena stata sconvolta dal terribile terremoto del 25 aprile. Dopo ben due ore di conferenza con una platea interessatissima che continuava nell’interloquire con lui, proseguimmo la serata insieme ad altri alpinisti, discorrendo sia di cime leggendarie come il Cerro Torre e il Kangchenjunga, sia di pareti locali. Marco si dimostrò una volta ancora il “montagnardo” che, seppur amante delle grandi sfide, è in grado di emozionarsi per la propria vallata o per le più piccole e vivide combe delle nostre magnifiche Alpi, con uno sguardo sempre attento ai giovani.
Ho voluto incontrarlo una volta ancora, per sentire le sue ultime avventure e svelare al grande pubblico un poco di quella parte umana di cui spesso la cronaca ci priva, confezionando indistruttibili super umani invece che uomini normali costituiti da carne e sogni invulnerabili.
Quale stata la ultima impresa?
Certamente il Makalu, il mio nono ottomila (8463 metri n.d.i.), la quinta montagna del pianeta. È stata una salita bella perché erano due anni che non andavo in cima a uno dei 14 giganti.
L’ultima spedizione nel mio progetto fu quella al Kange (Kangchenjunga, 8586 m n.d.i.) nel 2014. Mi dovetti fermare a 100 metri dalla vetta: rinunciai per un fortissimo dolore al piede sinistro. Tornato in Italia mi rivolsi al dottor Gianfranco Picchi, il luminare che mi ha operato ai piedi praticandomi una doppia amputazione. Ho scoperto in quell’occasione che durante l’ascensione un pezzo d’osso era uscito dalla sua sede, oltre il moncone… Il chirurgo mi ha risistemato una volta ancora operandomi d’urgenza a Padova nel giro di 10 giorni appena tornato in Valtellina. Per forza avevo male!
L’anno scorso son partito per il Dhaulagiri in Nepal, ma il 25 aprile è arrivato il terremoto disastroso, la tragedia che conosciamo. Abbiamo rinunciato al tentativo di salita alla vetta per scendere a valle e porgere tutto l’aiuto possibile alle persone sopravvissute, messe in ginocchio da questa catastrofe. Abbiamo rinunciato per aiutare e siamo rimasti altri 10 giorni in Nepal. Quest’anno finalmente siamo riusciti a “portare a casa”, il Makalu, il mio nono ottomila scalando senza ossigeno. Ho fatto squadra con Marco Camandona che aveva già salito altre 5 vette di questa serie.
Tornerai per Kangchenjunga e Dhaulagiri?
Il progetto è di continuare a “cacciare gli ottomila”… se ci avremo fortuna, cercheremo di chiudere il cerchio. È sempre difficile far collimare lavoro, sponsor e famiglia, ma l’idea c’è. Ne mancano 5… Chi mi sente parlare di norma pensa «ne hai già fatti 9, ci sei quasi». In realtà cinque ottomila senza ossigeno, sono davvero difficili da scalare, ci devono essere veramente tante cose che collimano.
In italia non sono tantissimi gli alpinisti che hanno chiuso la serie, con o senza l’aiuto di ossigeno a partire da Reinhold Messner, Silvio Gnaro Mondineli, Abele Blanc, Fausto De Stefani e Sergio Martini, Mario Panzeri. Inoltre ci riusciranno Nives Meroi e Romano Bennet quando faranno l’Annapurna; Nives sarà la seconda donna al mondo ad averli fatti senza ossigeno.
La domanda appare scontata ma, famiglia, lavoro e sponsor: quali sono i problemi?
Fanno parte della vita delle persone: uno che ha una grande passione deve far combaciare tutto. Faccio la guida alpina, sono tecnico di elisoccorso e sono formatore per la scuola TEC/Bosch in relazione al team building.
Faccio parte della squadra di atleti di “Allenarsi per il Futuro”, progetto , promosso da Bosch e Randstad. Il programma prevede una serie di iniziative di orientamento e crescita professionale per i ragazzi, proponendo a scuole e istituti una formazione pratica, attraverso tirocini o ore di laboratorio in azienda. Durante gli incontri in aula, attraverso la metafora dello sport e dei valori quali passione, impegno, responsabilità e costanza, l’atleta trasmette agli studenti l’importanza di compiere scelte professionali compatibili con le proprie attitudini, “allenando” il proprio talento per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Ho sempre parlato tanto ai giovani e sono loro ad aver cercato me. In inverno faccio anche il maestro di sci e …per passione scalo gli ottomila!
La famiglia è la mia forza, mi alleno e mi preparo, ma i miei amori sono la mia forza. A volte quando sono stanco e non ne ho voglia, mi riescono a incitare per andare a fare allenamento ed è una cosa grande; invece di tenermi lì, sanno quanto sia impotante e mi spingono e supportano.
Ho la fortuna di avere sponsor-amici che sanno cosa stia facendo. Tante goccioline riempiono tanta acqua; mi danno una mano anche per far conoscere lo sport nel mondo dei giovani. Anche questa è la mia forza che ringrazio pubblicamente.
Ci sono anche i marchi tecnici ad aiutarmi, come Scarpa, che mi ha rifatto più vote gli scarponi per sopperire al mio problema tutt’altro che semplice, con i piedi amputati: sono veramente dei signori! Ho Grivel, per piccozza e ramponi e Ferrino, che mi fornisce la mia “casetta” dove dormo mesi e mesi! Montura per l’abbigliamento e Level per i guanti, Mico per l’underware, Cebe per gli occhiali.
Qual’è il tuo prossimo progetto?
…quello di lavorare tanto! No, scherzo: allenarsi e tornare in Himalaya per un altro ottomila. Farò la stagione di guida e mi rimetterò a fare allenamenti duri per ripartire! Al momento non so ancora dove andrò, ma la voglia è quella di continuare sognando di farli tutti e 14!
Come ti alleni?
Ho la fortuna di vivere in un posto bellissimo, l’alta Valtellina, dove posso fare tantissime cose come corsa, mtb, sci nordico, salite alpinistiche in altezza a quasi 4000 metri. Amo fare tanto sci alpinismo perché anche se adoro correre, dopo l’amputanzione ho male se consumo molti km di corsa. Invece con lo sci alpinismo non ho questo problma. Dopo aver perso tutte e 10 le dita dei piedi nella tragedia del K2, nel 2008, dove son morte 11 persone, ho problemi fisici che affronto. Allenamendomi ho sovente mal di schiema, ma sopporto la sofferenza per raggiungere i miei sogni.
Raccontaci dell’esperienza in elisoccorso
Lo faccio da ben 17 anni e mi dà molta soddifsazione, perché aiuti veramente gli altri e lo fai in squadra. Sentirsi utili per persone che hanno difficoltà a me piace. Abbiamo raggiunto anche 8 uscite al giorno, significa che non riesci nemmeno a mangiare… significa continuare a girare e anche a livello sanitario non è semplice. Di norma in Valtellina si praticano 3-4 interventi al giorno; ma spesso andiamo anche al confine con la bergamasca e il bresciano.
La nostra équipe è formata da due piloti, medico rianimatore, infermiere, guida alpina (TE), il motorista (verricellista), e in inverno la cinofilia con conduttore e cane per le valanghe. È un grande servizio: poche persone hanno capito il valore dell’elisoccorso in Italia.
Non è l’unica tua scelta che comprende gli altri giusto?
Sono molto vicino al mondo dei giovani e delle persone in generle. Ho appoggiato Finale for Nepal, sempre collegando Allenarsi per il futuro. Abbiamo aiutato l’associazione con il nostro progetto, creato da Boch (Germania) e Randstad (Olanda). Il futuro del mondo è nei giovani e bisogna investire in loro. Come? Scuola e sport… e ciò consegue lavoro. Una forza che arriva da tutta Italia.
Christian Roccati
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