Con il dolore che si prova per la perdita di un padre, ho saputo questa mattina della scomparsa dell’amico Spiro Dalla Porta Xydias, avvenuta questa notte a Trieste. La notizia non mi ha colto d’improvviso. Sapevo che le condizioni di Spiro si erano lentamente aggravate dopo il nostro ultimo incontro, quest’estate a Trieste. In quell’occasione, Spiro sapeva in cuor suo che con i suoi 99 anni quello sarebbe stato probabilmente il nostro ultimo colloquio. Come un padre, allora, volle assicurarsi che la battaglia etica per un alpinismo “ideale” sarebbe proseguita con il mio impegno all’interno e fuori dal nostro Gism. Accademico del Cai, presidente Onorario del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, regista e prolifico scrittore di 67 libri di montagna, Spiro era un pezzo di storia dell’alpinismo e della cultura alpina italiana, avendo da privilegiato osservatore e protagonista attraversato diverse epoche. Lui, che aveva conosciuto Emilio Comici e che come Comici aveva eletto la Val Rosandra “paesaggio dell’anima”, nel Campanile di Val Montanaia aveva scolpito con l’arrampicata e con il cuore il “Ponte alato” per la sua “scalata all’infinito”. Gli strinsi la mano per la prima volta nel 1998, quando, a Cervinia, fui chiamato da lui a ricevere la segnalazione al Premio Nazionale d’Alpinismo e Cultura “G.De Simoni”, premio che poi avrei vinto nel 2002. Lo confesso: fui allora parecchio a disagio nel presentarmi di fronte a quella tribuna d’onore dove sedevano alcuni dei maggiori protagonisti dell’alpinismo italiano e tante guide che avevano fatto la storia del Cervino. Spiro seppe però aprirmi subito la porta di quella casa ideale che per me sarebbe poi divenuto il Gism. Troppo distanti come età, non riuscimmo mai ad arrampicare insieme ma egli volle legarsi idealmente con me in una cordata letteraria, nell’unico libro scritto a “quattro mani”. E insieme avevamo costituito in seno al Gism la sezione Alpinisti Testimonial, un gruppo ristretto di alpinisti di ieri e di oggi che riallaccia profondi legami con l’afflato iniziatico della nostra accademia, nel cui mappa genetica vi è l’alpinismo come fatto ideale, spirituale e artistico, fin dal lontano 1929. La più grande preoccupazione di Spiro, infatti, era che questo modo d’intendere l’alpinismo sopravvivesse ai cambiamenti del nostro sodalizio, anche dopo il suo “abbandono”, e che gli alpinisti più attivi, soprattutto a livello esplorativo, divenissero i portavoce di un’attività che non può essere intesa soltanto come uno sport. Per questa battaglia, in ambito accademico, si era speso fino a quest’estate partecipando a conferenze, tavole rotonde e scrivendo pubblicazioni, mostrando una tempra, una lucidità e una grandezza morale fuori dal comune. Caro Spiro, ricordo il nostro unico screzio al Film Festival Montagna di Trento, alcuni anni fa, che ci portò a un breve periodo d’incomprensioni e di confronti anche accesi. Perché gli alpinisti sono un po’ così: orgogliosi e convinti d’aver sempre ragione. Le “cordate” in montagna sovente si sciolgono e ciascuno potrà trovare altri compagni, fare nuove scelte, percorrere altre strade. La nostra cordata “ideale” però, caro Spiro, amico e maestro, sopravvivrà stanne certo. Ora nella tua “scalata all’infinito”, come desideravi sei tornato in testa alla cordata.