Ho sempre pensato che l’alpinismo sportivo, professionale o dilettantistico, finalizzato esclusivamente a un risultato oggettivo spendibile in termini di sponsor, di immagine, quand’anche di esaltazione personale, sia una visione piuttosto limitata. Le grandi riviste specializzate, del resto, hanno terminato di suscitare interesse quando hanno perso il loro carattere divulgativo anche di “prossimità”, che proponeva un’avventura dietro casa e alla portata di molti, scandita però da spunti di osservazione, di conoscenza, di arricchimento culturale. Al contrario, si sono rivolte sempre di più alle imprese sportive di campioni visti come soggetti inarrivabili e inimitabili. L’alpinismo è uno straordinario strumento di conoscenza e, la scalata, un mezzo privilegiato di allargamento delle proprie visioni, sempre che non si ripieghi solo sul grado e sulla prestazione sportiva. In questo senso, credo che l’escursionismo sia potenzialmente più adatto a questo scopo, perché svincolato, almeno in massima parte, dalle componenti di difficoltà tecnica e di rischio. Andare a piedi è il mezzo migliore per osservare, conoscere e poi raccontare un territorio. Per la mia attività credo di potermi definire un alpinista, che peraltro in alta montagna si è sempre dato delle regole precise e delle limitazioni ma non è un caso che il 90 % di ciò che ho prodotto sulla carta stampata sia dedicato all’escursionismo “conoscitivo”. Del resto, secondo me, raggiungere una vetta a piedi e senza fare ricorso ad alcun mezzo tecnico, può benissimo essere definito “alpinismo”. Se dovessi indicare una figura di riferimento nel mondo alpino ma non solo, probabilmente non farei i soliti nomi scontati dei “grandi” dell’alpinismo ma quello di Alberto Maria De Agostini, esploratore-alpinista “a tutto tondo”, cartografo, geografo, etnologo, cineasta, fotografo, naturalista. Accademico del nostro Gruppo Italiano Scrittori di Montagna. Dobbiamo a lui il prestigioso Istituto Geografico De Agostini di Novara, che è stato il lievito dell’arricchimento culturale di intere generazioni e che in ambito “montano” ci ha lasciato opere enciclopediche come: “La Montagna” nella collana “Conoscenze umane”, un’edizione 1962 curata da Silvio Saglio e sotto la direzione “tecnica” di Maurice Herzog. Per poi arrivare alla celebre enciclopedia in otto volumi “La Montagna” con i due prestigiosi volumi in aggiunta sulla “Storia dell’alpinismo” curata da Gian Piero Motti e la “Storia dello sci”, direttamente dalla penna di Guido Oddo. La stessa enciclopedia fu ristampata e aggiornata con uscita a partire dal 1983 e sotto la direzione dei fratelli Boroli. Su queste pagine – inimitabili nonostante vari tentativi poco riusciti – in vent’anni hanno messo la firma i più bei nomi dell’alpinismo e della cultura alpina internazionale, e ricordo la trepidazione, negli anni ottanta, nel correre all’edicola per acquistare il fascicolo in uscita settimanale. Celebriamo e santifichiamo i campioni sportivi della montagna, talvolta tentiamo di imitarne le gesta e la via ma ci dimentichiamo troppo spesso dei colossi della cultura e della divulgazione, senza i quali saremmo (o siamo) tutti più poveri.