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5 Febbraio 2018

Denis Urubko: “In alpinismo ogni piccolo dettaglio può salvarti la vita”

Denis Urubko in volo da Skardu al CB del K2, febbraio 2018. Foto: D. Urubko

Oggi, Denis Urubko ha raggiunto il Campo 2 (6.300 m) del K2.
Pubblichiamo parte dell’intervista  rilasciata dall’alpinista  alla redazione di Desnivel, lo scorso giovedì, mentre era ancora a Skardu. Urubko ha ricordato la sua prima invernale al G2

Denis Urubko stasera sarà al C2 del K2, a 6.300 metri di quota, con il polacco Marcin Kaczkan, suo compagno di cordata nella spedizione attualmente impegnata nel primo tentativo invernale sulla montagna più alta del Pakistan.

I due alpinisti “Stanno bene. Il vento è abbastanza forte ma sopportabile. I piani per domani dipenderanno dalle condizioni meteorologiche.”, ha comunicato  Krzysztof Wielicki (capo spedizione) sui social.

Denis Urubko con Krzysztof Wielecki al CB del K2, inverno 2018. Foto: D. Urubko

Così, dopo il salvataggio di Elisabeth Revol sul Nanga Parbat compiuto con Adam Bielecki e il supporto di Piotr Tomala, Jaroslaw Botor,  il grande alpinista di origine russa è ora pienamente reintegrato nella dinamica della spedizione. Purtroppo nulla è stato possibile per Tomek Mackiewicz.
L’elicottero è finalmente riuscito a volare da Skardu al Campo Base del K2 venerdì 2 febbraio, una data che richiama molti ricordi a Denis Urubko.

Giovedì 1 febbraio, la redazione di Desnivel è riuscita a parlare con lui mentre era ancora a Skardu. Con lui, hanno ricordato una delle sue ascensioni più celebri, realizzata proprio il 2 febbraio 2011: la prima invernale del Gasherbrum II, in cordata con Simone Moro e Cory Richards.
“Il 2 febbraio 1992 ho scalato anche il Klyuchevskaya Sopka, che è stata la mia più grande avventura per anni”.

Come sono stati questi giorni a Skardu?
Siamo stati molto bene perché sul Nanga Parbat abbiamo dovuto lavorare sodo e spendere molte energie.

Pronto a ritornare al K2?
“Sì, speriamo domani, perché le previsioni sono abbastanza buone, danno poche nuvole. A Skardu ora c’è bel tempo e i piloti ci hanno promesso che domani potremo tornare al Campo Base del K2. Proprio il giorno che segna il 7° anniversario della prima  invernale al Gasherbrum II …
Domani è il 2 febbraio e il 2 febbraio 1992 ho scalato in inverno uno dei vulcani più alti dell’Asia, il Klyuchevskaya Sopka, in Kamchatka. Questa è stata la mia più grande avventura per molti anni.”

Ti ricordi quella salita come la tua invernale più dura?
No, non la più difficile, ma ero così giovane … Avevo solo 19 anni, puoi immaginare. Ed è stato lungo, abbiamo trascorso 10 giorni lontano dalla civiltà, sciando attraverso le foreste, attraverso quella regione remota e selvaggia sul vulcano

La cima del G2 è stata incredibile. Ci siamo tutti abbracciati senza vedere nulla

Come ricordi la vetta del Gasherbrum II?
Mi ricordo che il nostro amico austriaco, Karl Gabl, ci ha chiamati e ci ha detto che in mattinata avremo avuto tempo favorevole, ma nel pomeriggio si sarebbe scatenato un uragano con venti a 100 o 120 km/h e le temperature sarebbero state molto più fredde… Con Simone Moro e Cory Richards abbiamo raggiunto la vetta esattamente alle 11:30, poco prima che arrivasse l’uragano e poi, naturalmente, abbiamo dovuto scendere.

Molto stress, molta pressione per arrivare in cima in tempo, giusto?
È stato difficile. Eravamo sulla parete est del Gasherbrum II,  era molto difficile procedere … Poi c’è stato  un momento molto critico, poco prima della cima, dove la neve era molto dura e abbiamo dovuto muoverci molto lentamente. Dovevamo stare molto attenti perché se uno di noi fosse caduto, gli altri non avrebbero potuto aiutarlo in quella zona, era molto difficile.

E poi è arrivata la discesa. Me lo ricordo prima di partire alla mattina, ho fissato la tenda con un chiodo di ghiaccio, pensando che forse sarebbe stato meglio così. Quando siamo scesi, abbiamo visto la nostra tenda sbalzata via dal vento, trattenuta solo da quel chiodo da ghiaccio. E’ stato un miracolo che abbia deciso di sistemarlo: la cima era incredibile. Ci siamo abbracciati tutti e tre in cima, anche se non riuscivamo a vedere nulla, perché tutto era coperto da tante nuvole. Ma eravamo sul tetto del mondo.

“In alpinismo e nella vita, ogni dettaglio può salvare la vita”

Quel chiodo da ghiaccio, forse ci ha salvato la vita … Nella vita e in alpinismo,  qualsiasi dettaglio può salvare le nostre vite. Devi solo guardarti indietro per accorgertene. Ci sono stati molti dettagli che hanno salvato la nostra vita: il tempo, la nostra pazienza, il chiodo da ghiaccio, l’essere sopravvissuti ad una valanga caduta  vicino al Campo 1 …

E’ stato difficile il momento in cui è caduta l’enorme valanga, quando già eravate vicino al campo base?
Sì, è stato complicato. Stavamo attraversano un’ampia area in neve profonda, con grandi crepaccci, al centro del ghiacciaio. Eravamo vicini al Gasherbrum V e sfortunatamente in quel momento è caduta una valanga.

“Il salvataggio? L’ho fatto perché ero in grado di farlo e perché qualcuno doveva farlo”

Urubko e Bielecki rientrano in elicottero a Skardu dopo il salvataggio di Elisabeth Revol. Foto: D. Urubko

In tutta la sua carriera Urubko ha partecipato a sei operazioni di soccorso sugli Ottomila.
“La verità è che sono molto orgoglioso di avere la forza e la capacità di poter aiutare alcune persone … sconosciute o meno. L’ho fatto perché mi sentivo in grado di farlo e perché qualcuno doveva farlo. Ad esempio, facendo riferimento al soccorso al Nanga Parbat, avevamo una forte squadra al Campo Base del K2 e chiunque di noi era in grado di partecipare al salvataggio di Elisabeth Revol, ma non tutti potevamo andare, solo quattro. Krzysztof Wielicki ha deciso che dovevano essere Piotr Tomala, Jaroslaw Botor, Adam Bielecki ed io i quattro da imbarcato sull’elicottero … Ero semplicemente nel posto giusto al momento giusto per aiutare qualcuno in difficoltà”

Qual è stato il salvataggio più difficile?
Naturalmente il più difficile e il più pericoloso, nel mio ricordo, è stato il soccorso di Marcin Kachkan [K2, inverno 2002/2003]. Si congelava, non avevamo nulla da bere, eravamo senza ossigeno a 7.800 metri … e in quel momento è stato necessario molto sforzo per aiutarlo perché non era più lucido, era al limite e si muoveva con molta difficoltà. Dovevo pressarlo,  pregarlo di fare qualsiasi cosa. Miracolosamente, avevo una compressa di Aspirina; sono stato in grado di preparare una tazza di acqua calda e dargli quella compressa di Aspirina … quel piccolo aiuto è stato determinante per farlo tornare. E’ stato il soccorso più difficile? Difficile da dire. Tutti i salvataggi sono molto rischiosi, pericolosi, è difficile dire… Naturalmente recuperare Tomasz Humar dallo Shisha Pangma [nell’autunno del 2002] è stato molto più facile che salvare Marcin Kachkan.

In Pakistan, forse il problema più grande sono gli elicotteri, giusto? In Nepal il salvataggio di Elisabeth e Tomek sarebbe andato diversamente?
“Gli elicotteri sono sempre un problema, perchè sono molto costosi. Quando la gente ha soldi, non ha problemi”

Però in Pakistan ci sono elicotteri militari …
I Piloti di elicotteri in Pakistan sono molto professionali, molto forti e molto bravi, e allora qual è il problema? “Gli elicotteri non sono il problema, il problema è sempre il denaro.”

“È molto semplice: se hai soldi, gli elicotteri si attivano immediatamente. Se non hai soldi, gli elicotteri non partono. Il business è business. Non appena darai i soldi per l’elicottero in Nepal, allora loro agiranno, ma prima di questo, nessuno farà nulla per te. E lo stesso accade in Pakistan. Nel Nanga Parbat si sono comportati in modo ammirevole: ho chiesto loro di lasciarci a 4.800 m, vicino al campo 1, e così è stato! E ‘stato incredibile l’atterraggio in un posto del genere … Gli elicotteri non sono il problema, il problema è sempre il denaro.”

Nanga Parbat, gennaio 2018: Bielecki con Elisabeth Revol in discesa sulla Kinshofer. Foto: Denis Urubko

Sei contento di tornare al K2?
I miei amici ed io siamo venuti in Pakistan per tentare il K2. Ovviamente siamo felici di rientrare nuovamente al Campo Base. Ho anche la soddisfazione di aver fatto qualcosa di positivo sul Nanga Parbat. Purtroppo abbiamo perso Tomek Mackiewicz, ma non eravamo in grado di raggiungerlo perché era troppo in alto ed era in condizioni molto critiche, ma siamo riusciti ad aiutare Elisabeth Revol, una donna molto forte e un’ottima alpinista. Mi sento molto bene, molto tranquillo, perché abbiamo fatto una cosa molto importante, e ora possiamo continuare la nostra avventura al K2.

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