Questa foto del 1981 riassume tutta la magnifica confusione dell’afflato iniziatico della passione “alpinistica”: una cordata da cinque, anzi da sei calcolando che la corda scompare nel margine della foto e il fotografo è evidentemente un componente della ciurma. Potrebbe oggi (ma chissà, anche allora…) stimolare diverse riflessioni: l’errore tecnico (nessuno peraltro aveva l’imbrago), l’incoscienza degli adulti e la baldanza dei minorenni che li avevano trascinati in cordata, spinti da evidente spirito di emulazione enciclopedico (riviste di montagna ce n’era una sola in giro) e da sincera volontà di affermazione eroica. Il capocordata, io nella fattispecie (anni 16), avevo il compito di trovare eventuali crepacci, giacché avevo fatto un corso “roccia” (!) con le guide di Courmayeur ed avevo ricevuto in dono natalizio “L’enciclopedia dell’alpinismo e degli sport invernali” del mitico Fulvio Campiotti (che avevo letteralmente divorato sebbene fosse degli anni sessanta). Va detto che su quel ghiacciaio, piuttosto mite, tre anni dopo morirà un ventisettenne educatore torinese che, slegato, finirà in un crepaccio rimanendo assiderato. Il suo corpo sarà recuperato l’anno successivo. Potrei continuare con avventure simili, alcune al limite del grottesco “fantozziano”, come la mia prima arrampicata valsusina sull’Accademica a Rocca Sella. Partito da Porta Nuova con un mio compagno di classe di liceo, sfoggiavo già nell’atrio della stazione i miei nuovissimi scarponi rigidi “Dolomite” con pantaloni al ginocchio e calzettoni di lana rossi a contatto diretto della pelle (!!). Ci sbagliammo e scendemmo a Rosta, ben lontani dalla nostra meta e, vestiti da “aspiranti alpinisti”, traversammo la bassa Val di Susa da sponda a sponda, passando tra orti, villette, strade statali trafficatissime, gente incuriosita (per non dire altro). Dalla stazione ci vollero 4 ore per raggiungere l’attacco della tanto agognata via. Va da sé che scarponi nuovi e calze di lana mi avevano provocato due terribili abrasioni sui talloni, dolorosissime. Decisi allora di arrampicare con i soli calzettoni ai piedi! Avevamo una corda di 40 metri ma nessuna protezione ne moschettoni. Lascio immaginare quando gli scalatori “per bene” che avevano salito la “Gervasutti”, ci videro uscire in cima! Non avevo la macchina foto ma sul mio diario feci uno schizzo grossolano a matita che mi raffigurava mentre salivo il caminetto finale che porta alla madonnina di vetta. Follia visionaria di sedicenni. Oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se avessero dovuto recuperarci o se fossero esisti gli smartphone: gireremmo su Facebook a manetta e faremmo le gioie di qualche network particolarmente “bacchettone”.