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25 Settembre 2017

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Alpi Occidentali · Aree Montane · Italia · Valle d'Aosta

Due fiamme sul ghiacciaio – Parte 2

Clicca qui per leggere la prima parte del racconto.

Giorno 2

Ore 24, scendiamo per la colazione. È sabato notte e stiamo per affrontare la vera e propria salita al Monte Bianco. Sorridiamo al pensiero che i nostri amici, probabilmente, saranno ancora alla cena alla quale eravamo stati invitati anche noi. Stiamo bene e ci sentiamo riposati, pronti a incamminarci nella notte guidati dalla sola luce delle nostre frontali.

Mancano una manciata di minuti all’una quando finiamo di legarci e partiamo in conserva verso il ghiacciaio del Dome. Superiamo crepacci di cui al momento possiamo soltanto intuire l’ampiezza, in un lento ma incessante susseguirsi di passi sulla crosta ghiacciata. Oggi mettere piede in certi luoghi è un’azione relativamente comune, qualcosa che non ha quasi nulla a che fare con lo spirito esplorativo dei primi pionieri. Eppure l’idea di avanzare nell’oscurità mi dona quel senso di sconosciuto e di dolce scoperta che devono aver provato anche loro, un atavico richiamo al selvaggio che continua a far parte dell’animo umano.

Superiamo la crepacciata terminale e poco dopo giungiamo al Col des Aiguilles Grises, siamo intorno a quota 3800 metri. Ci fermiamo e nell’occasione beviamo qualche sorso d’acqua, mentre sotto di noi le cordate continuano a salire. Il silenzio è interrotto solamente dal rumore del vento che soffia sulla cresta, ma sembra quasi di sentire muoversi le viscere più profonde del ghiacciaio sottostante.

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Riprendiamo la marcia, questa volta sul filo di cresta, aggirando poco dopo un tratto più ripido sulla sinistra. Giungiamo così alla punta rocciosa nota come Piton des Italiens, siamo partiti tre ore fa e abbiamo superato soltanto ora quota 4000 metri. Qui il respiro inizia a farsi più pesante così come le gambe, mentre le temperature diminuiscono man mano che saliamo e che il mattino si avvicina.

Mi giro verso Gianni che con un velo di preoccupazione nella voce mi chiede di avanzare lento ma costante, non si sente al massimo. Riprendiamo quindi a camminare lungo l’esile cresta in direzione del Dôme du Goûter, alternando i passi con piccole pause fino a quando non raggiungiamo la parte culminante di questo “panettone ghiacciato” intorno a quota 4300 metri. Il sole, ancora basso sotto l’orizzonte, sta iniziando ad alzarsi e a rischiare l’atmosfera. Per la prima volta dall’inizio di questa salita possiamo scorgere la vetta del Monte Bianco. Divorato dalle emozioni, un paio di lacrime iniziano a scorrermi dagli occhi, non riesco a credere a tanta bellezza, al fatto che il sogno di una vita sia realmente così vicino.

Scendiamo ora verso il Col du Goûter dove la via Italiana incrocia quella Francese. Le poche persone con le quali abbiamo condiviso la salita fino a questo momento iniziano a mischiarsi con le decine e decine di cordate provenienti dalla via Francese, conosciuta per essere quella più facile di salita al bianco. Nel frattempo le nostre pause sono diventate più frequenti, Gianni accusa segni di malessere e io mi sento impotente nei suoi confronti. Non c’è molto che possa fare per aiutarlo, ma nel momento in cui si accascia sulla piccozza e viene raggiunto da sforzi di stomaco, propongo di abbandonare la salita e di tornare giù. Mi risponde che le gambe girano comunque bene e decide di prendere il comando della cordata così da avanzare con il suo passo e di fermarsi al bisogno.

Raggiungiamo capanna Vallot, luogo che ha fatto parte della storia di tante imprese alpinistiche e che nel corso della storia ha salvato diverse vite umane. Ora che la luce è aumentata posso notare distintamente il viso di Gianni per la prima volta, nei suoi occhi c’è tutta la sofferenza di chi è a un passo da un sogno e non vuole mollare nonostante stia male. Ripropongo di scendere a valle, ma la riposta è quella di prima, continuiamo a salire.

Siamo all’inizio della cresta delle Bosses quando Gianni si accascia nuovamente sulla piccozza a causa del mal di montagna. Mi chiama a se e con parole piene di sconforto mi comunica che è arrivato al limite. Mancherebbe forse all’incirca un’ora alla vetta, ma senza esitare gli comunico che la scelta migliore questa volta è proprio quella di scendere. Il cielo inizia lentamente a infuocarsi mentre caliamo verso la Vallot, in silenzio, senza riuscire a trattenere le lacrime. Il freddo è intenso, tanto da farci rifugiare dentro la capanna senza la forza di scattare nemmeno una foto. La gente è buttata a terra dappertutto, l’odore è pungente, si ha quasi l’impressione di essere in un ospedale di guerra.

Rimaniamo all’interno del ricovero di fortuna per circa un’ora e mezza, mentre dalle piccole finestre si può notare l’esplosione di colori che sta avvenendo fuori. Gianni è accasciato a terra in preda al mal di montagna, io tremo come una foglia per via del freddo e non riesco a trovare la forza di uscire a godermi lo spettacolo dell’alba. Quando decidiamo di scendere verso il rifugio Gonella il sole è già alto. Percorriamo la pista di salita al contrario, riuscendo finalmente a godere dei paesaggi che al nostro precedente passaggio erano ancora avvolti dall’oscurità.

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Caliamo nuovamente sul ghiacciaio e sotto i 4000 metri Gianni ritrova le forze. In vita sua non era mai stato oggetto di un attacco di mal di montagna e il fatto di averlo provato sulla sua pelle proprio ora, sul Bianco, sembra davvero essere uno strano scherzo del destino. Proprio come i crepacci nascosti di un ghiacciaio il mal di montagna è qualcosa di infido, pronto a colpire chiunque senza tanti preavvisi.

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Due fiamme sul ghiacciaio - Simone Enei

Arriviamo al Gonella intorno alle 10 di mattina, dove ci fermiamo per poco prima di riprendere il lungo cammino verso valle. Mentre scendiamo il dispiacere per aver mancato la cima di un soffio si trasforma nella consapevolezza di avere ugualmente vissuto il nostro sogno. Poco fa eravamo lì, più vicini che mai a quella che fino ad ora ci era sempre apparsa come una puntina, immersi tra le cime più alte delle Alpi. Eravamo lì, ad alimentare la fiamma del sogno che ci arde dentro da sempre e che ora ha preso ancora più vigore. Questo è tutto ciò che importa.