Sono sempre un po’ in imbarazzo quando qualcuno mi rivolge sempre le stesse domande, ed io una spiegazione convincente non l’ho. O almeno, questa spiegazione non è soddisfacente per i miei interlocutori. Questo per due motivi sostanziali: primo perché i miei interlocutori sono prevalentemente alpinisti e arrampicatori, secondo, perché costoro mi considerano naturalmente uno di loro. Ecco perché la domanda frequente “che salita hai fatto”, si aspetta sempre una risposta soddisfacente e positiva, dunque una salita “difficile” o almeno “interessante”. Per il mio interlocutore ovviamente. Difficile spiegare a chi è nel vivo della propria attività alpinistica, che quella fase, magari dopo trentacinque e più anni di alpinismo l’hai superata, e che oggi trai le tue emozioni da altre attività pur sempre legate alla montagna. Non posso negare di essere stato un alpinista e un arrampicatore e nemmeno di esserlo ancora oggi, anche se con uno spirito diverso. Tuttavia, io ho sempre “praticato la montagna” che è cosa ben diversa da ricercare sempre e solo la parete o la vetta, la prima salita, la ripetizione importante. Ho attraversato quella fase anni fa, perché, allora, faceva parte di un mio necessario percorso di conoscenza. Anche le prime salite che ho fatto hanno sempre e solo soddisfatto una curiosità personale, una voglia d’imparare dalla montagna e anche da me stesso. Dico questo perché il percorso di conoscenza del mio “io”, non è per nulla completo, e oggi passa magari da altri stimoli, non necessariamente rimanendo appesi alle corde. Certo, amo da alcuni anni arrampicare in solitaria sia sul ghiaccio sulla roccia, senza lo stress del “difficile” e magari non negli schemi mentali che qualcuno vorrebbe. Ho amici che da due anni hanno iniziato a cimentarsi con l’alta montagna, anche di buon livello, apparentemente con lo stesso entusiasmo e la medesima sete di salite che mi animava alla fine degli anni ottanta e per tutti quelli novanta. Dico, apparentemente, perché in realtà avevo iniziato ad andare in montagna e a praticare l’alpinismo ben da prima, cioè dalla fine degli anni settanta. In quel decennio iniziatico ho cercato di imparare il più possibile sulla montagna, non disdegnando anche l’escursionismo, imparando dalle prima passeggiate su cime verdeggianti, avvicinandomi al ghiaccio dell’alta montagna, scoprendo a piccoli passi e giorno dopo giorno le mie possibilità. Vivevo forse il tutto con lo stupore e la curiosità del ragazzino e non certo con obiettivi d’affermazione o con la voglia, dopo soli due anni, di compiere salite difficili. A me interessava la geologia, la storia alpinistica di un luogo, cultura e tradizione delle valli che percorrevo. Praticavo l’alpinismo? Certo, ma soprattutto “praticavo la montagna”. Oggi mi guardo in giro e vedo soltanto persone che hanno fretta di avere i titoli per insegnare qualcosa sulla montagna, siano essi istruttori, guide alpine o di altro genere. Ne conosco pochissimi che hanno voglia d’imparare con lentezza e umiltà, praticando la montagna non solo attraverso la tecnica, ma soprattutto attraverso la curiosità e la sete di conoscenza, comprendendo davvero quanto essa può offrire. Quest’estate ho riscoperto la bellezza di una giornata in un rifugio, senza necessariamente partire e fare una salita, la serenità della sera, la soddisfazione come gestore di cucinare qualcosa per gli ospiti. Poi, due chiacchiere dopo cena con gli alpinisti, dando loro qualche consiglio per quelle salite che ho compiuto numerose volte oppure che ho aperto io stesso. Quindi, ho rivissuto la bellezza di un tramonto all’Argentario all’inizio dell’estate, dopo aver percorso una via non difficile a picco sul mare. Un gradito ritorno anche sul “mio” Monte Bianco, lungo una bella via di una cima minore che solo venticinque anni fa non avrei preso in considerazione. E ancora, la bella esperienza della camminata a piedi nudi con l’amico Andrea Bianchi, assaporando un contatto con la natura intenso e profondo. L’autunno è alle porte, e con esso l’inverno. Già mi pregusto intere giornate nella totale solitudine in alto su qualche parete della mia valle, qualche viaggio lungo nastri ghiacciati, dove il bello non è tanto scalare quanto guardarsi intorno e scoprire il miracolo della natura che si rinnova. Se farò cose difficili e se verrò con voi a fare qualche salita? Non me lo chiedete. La “mia montagna” si costruisce un giorno dopo l’altro, seguendo stati d’animo e le emozioni del momento. E’ una “montagna tutta mia” che segue i ritmi di questa fase della vita. Non per questo, lo prometto, il racconto sarà meno intenso e le emozioni meno importanti di quelle che ho provato in passato sulle vie da “curriculum”. So che adesso, cari amici, forse non capirete. Alla fine, però, verrà anche il vostro momento. E allora sarà un’illuminazione…