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11 Maggio 2016

Alpinismo e Spedizioni · Vertical

FILIPPO FACCI IN ESCLUSIVA A MOUNTAINBLOG: 6 precisazioni sull’intervista a Simone Moro

facci

Filippo Facci è stato fra gli ospiti alla festa per i 10 anni di MountainBlog che si è svolta lo scorso 5 maggio a Trento, durante i giorni del 64° Trento Film Festival. Al centro delle polemiche per un’intervista a Simone Moro, pubblicata su Libero lo scorso 30 aprile, il giornalista ci ha inviato una lettera con sei precisazioni e alcune considerazioni relative alla tanto discussa intervista che MountainBlog aveva rilanciato così come le repliche, su Facebook, di Simone Moro e Tamara Lunger:

Spettabile MountainBlog,

ho atteso il termine del Trento Film Festival – cui ero presente, grazie a voi – per scrivervi e non interferire neppure minimamente alla giusta ed ecumenica celebrazione dell’ascesa di Simone Moro e Tamara Lunger al Nanga Parbat. Nei giorni precedenti, tuttavia, c’era stata qualche trascurabile polemica legata a una mia lunga intervista a Moro: quest’ultimo aveva scritto su Facebook che non gli erano piaciuti «il tono, il titolo e i virgolettati» e, pur premurandosi di considerarmi suo amico, aveva aggiunto varie considerazioni legate a un certo malcostume giornalistico di bassa quota.

Tra i risultati c’è che, anche tra i suoi fans e commentatori, qua e là, sono fioccati appellativi di «pennivendolo» (per me) o insulti al quotidiano dove scrivo (Libero) o al titolista dell’intervista, che ovviamente non sono io. Un collega della Gazzetta dello Sport, Alessandro Filippini, si è spinto a definirla «pseudo intervista» e ha sottoscritto una frase di Tamara Lunger («la piu grande cagata di titolo che ho letto») aggiungendo questo: «Penso che basti e avanzi sul giudizio che si può dare all’operato di chi firma l’articolo».

A futura memoria, mi limito a qualche precisazione.

1) L’intervista è interamente registrata (circa un’ora e mezza) con registratore ben visibile a Moro. Lo stesso registratore ogni tanto veniva spento ed era appoggiato sullo stesso tavolo sul quale aveva registrato altre due interviste a Moro pubblicate nel novembre scorso: una su Libero e un’altra su Icon, periodico legato a Panorama. Moro evidentemente non aveva eccepito circa queste lunghe interviste da me scritte e pubblicate con eguale stile.

2) Poiché tra le accuse rivolte all’intervista c’è quella di aver riportato «troppo», preciso che Moro mi aveva chiesto di non scrivere certe cose e io infatti – benché le abbia registrate – non le ho scritte: e non c’è stato bisogno di spegnere il registratore perché io non le riportassi. Sono moltissime, queste cose, e ritengo di doverle tenere per me. Gli avevo premesso che la mia intenzione, con l’intervista, era «rompergli un po’ i coglioni» e lui aveva accettato, replicando peraltro: «Bene, mi piace». Aggiungo che qualsiasi giornalista «normale», e non amico di Moro, probabilmente avrebbe viceversa pubblicato tutto, ma proprio tutto: è la ragione, normalissima, per cui di norma a fare certe interviste mandano degli «inviati» (come io sono) e non persone amiche dell’intervistato (come pure io sono, anzi ero).

3) Nessun contenuto dell’intervista è stato smentito, neanche nelle modeste parti inedite: anzi, qualcuna è stata confermata durante il Trento Film Festival. Più in generale, l’intervista per la prima volta riassumeva il quadro generale o aspetti che erano sparpagliati qua e là o, ancora, che erano conoscenza esclusiva degli addetti ai lavori. La considero tutt’ora una buona intervista, ed ero anche convinto, me ingenuo, che a Moro sarebbe piaciuta, come gli erano piaciute le altre mie.

4) Non sta a me difendere un titolo che non ho fatto, precisamente questo: «Senza la Lunger saremmo morti sul Nanga Parbat». I titoli sono quelli che sono, ma c’è da chiedersi se il titolo appaia così diverso da quello pubblicato da El Pais (Spagna) il 4 aprile scorso: «El gesto de Lunger que salvó la vida a sus compañeros en el Nanga Parbat». Insomma: se il maldestro resoconto sul «caso Lunger» è un po’ sfuggito di mano, come altri resoconti, non è detto che la colpa sia tutta e solo dei giornalisti.

5) Sui quali giornalisti, cioè i colleghi, preferisco non esprimermi: il caso di Alessandro Filippini li riassume tutti. Contattato personalmente, mi ha successivamente dato ragione, e mi ha riferito che un’altra persona (non Moro) però gli aveva riferito che l’intervista non era autorizzata. Filippini non aveva neppure verificato l’informazione. L’ammissione di colpa, un po’ tartufesca come tutto un certo mondo dell’alpinismo, non è stata però sufficiente a fargli cambiare una riga di quanto ha scritto sul suo blog: a oggi, la mia rimane una «pseudo intervista» e, così pure, la frase della Lunger «la più grande cagata di titolo che ho letto», secondo Filippini, «basta e avanza sul giudizio che si può dare all’operato di chi firma l’articolo».

6) Ne approfitto per ringraziare i tanti che hanno gradito l’intervista (i cui contenuti nessuno smentirà mai, state tranquilli) e per precisare che l’interruzione dei miei rapporti con Moro, data la situazione in cui mi ha messo, è dovuta a una mia iniziativa e gliel’ho comunicata il 3 maggio scorso. Tanto vi dovevo. Grazie.

Filippo Facci

4 Responses to FILIPPO FACCI IN ESCLUSIVA A MOUNTAINBLOG: 6 precisazioni sull’intervista a Simone Moro

  1. michele dalla palma ha detto:

    Da quasi mezzo secolo vivo in prima persona la montagna. Da quaranta la vivo da professionista. Da trenta esercito la professione giornalistica, con una specializzazione diretta verso gli universi montani e verso chi li vive e li frequenta. Dirigo, per meriti e non per carriera, la rivista che sul panorama editoriale italiano è da oltre tre decenni in primo piano e in prima linea nella promozione e difesa dell’ambiente e delle magnifiche attività ludico/sportive che in esso si possono vivere.
    Stimo, ma non amo, Simone Moro, l’ho scritto molte volte. Non condivido la visione “commerciale” di molte sue imprese, nonostante io abbia sempre sottolineato come siano frutto di grandi capacità ed esperienza.
    Ma veniamo al motivo di questo mio intervento: mesi fa mi sono pesantemente morso, e a lungo, la lingua per evitare di esprimere giudizi durante la farsa della “Conquista del Monte Bianco” da parte di un patetico e abbondantemente isterico “giornalista” (appellativo che, applicato a tale Facci, offende chiunque questo lavoro lo interpreti seriamente) “alpinista” (appellativo che, applicato a tale Facci, offende chiunque questa attività ami e pratichi seriamente).
    Tale Facci, esaltato da qualche sostanza presa da piccolo come il leggendario Obelix, si ritiene autorizzato a possedere e distribuire “verità” che scaturiscono dalla sua personalissima idea che qualsiasi fatto, qualsiasi frase, qualsiasi opinione possano essere distorti, manipolati, riassemblati per rappresentare non l’oggettività dei fatti ma il desiderio (frutto di evidenti e pesanti frustrazioni) dello stesso di essere, sempre e comunque, “contro”. Per lo stesso presupposto, il nostro si ritiene sempre e comunque autorizzato a offendere, in modo anche pesante e sempre eclatante, chiunque si permetta di fare degli appunti ai suoi deliri.
    L’articolo pubblicato su Libero a firma di tale Facci è una magistrale dimostrazione di come si possa esercitare in modo disonesto la professione giornalistica, giocando su “pruderie” caratteriali invece che sulla realtà delle cose e dei fatti. Mettendo in primo piano “beghe” (peraltro sempre presenti in qualsiasi azione umana) e “dispetti” invece che il vero e concreto valore dei fatti. Il Nanga, in qualsiasi stagione e con ogni coindizione, è un incubo che solo chi l’ha visto da vicino può capire. Questo, forse, andava raccontato. E chiunque si confronti col mostro, vincente o perdente, merita rispetto, e questo, forse, andava raccontato. La sua “coda di paglia” tale Facci la srotola gridando che è “tutto registrato” e nessuno può smentirlo. Siamo tutti sicuri di questo. Ma la “bravura” di chi vorrebbe raccontare di cose, fatti ed emozioni (che dimostra invece di ignorare), consiste nel mettere a fuoco e rendere chiari a tutti i punti importanti degli eventi, e non le piccole miserie che sono sempre presenti ove ci siano degli umani. Che invece tale Facci è maestro nel gonfiare e enfatizzare, con disonestà e furbizia “a prova di smentita”.
    Sarà anche vero che siamo nell’epoca in cui ognuno ha diritto di essere infame, ma siamo proprio sicuri di meritarci un tale Facci?

    Michele Dalla Palma
    Direttore Responsabile
    TREKKING&OUTDOOR

    • Filippo Facci ha detto:

      Che persona serena, questo Michele La Palma. Il mio ufficio legale sarebbe strafelice se gli girassi la sua lettera, ma io voglio terminare la mia miserevole carriera senza aver mai querelato nessuno: neanche se, assolutamente dal nulla, mi si definisse «patetico», «isterico», «distorsore», «manipolatore», «riassemblatore», «evidente e pesantemente frustrato», «delirante«, «disonesto» e addirittura «infame». Non ho capito perché, ma fa niente. A questa persona non interessa nulla di Moro, del Nanga Parbat, in realtà neppure di me: gli interessava parlarci un po’ di Michele Della Palma, noto giornlista che dirige una rivista per meriti e non per carriera. E sta bene, posso anche svolgere un ruolo sociale e fare da leva per lo sfogo esistenziale di queste personcine evidentemente serene. Non c’è problema. Gli auguro ogni bene.

    • Cavalli & Segugi forever ha detto:

      Accidenti Michele, quando ho letto che dirigi “per meriti e non per carriera, la rivista che sul panorama editoriale italiano è da oltre tre decenni in primo piano e in prima linea nella promozione e difesa dell’ambiente e delle magnifiche attività ludico/sportive che in esso si possono vivere per un meraviglioso istante” ho pensato che fosse “Cavalli e Segugi” e che tu fossi Hugh Grant. Poi ho capito che no, così non è. Peccato.

      PS: pare che di maestri nel “gonfiare ed enfatizzare” ce ne siano parecchi in giro, dovresti quindi sentirti meno solo.

    • eco83 ha detto:

      Premetto che per questioni politiche faccio fatica a leggere articoli scritti su Libero, e quindi per lo stesso motivo non condivido gli articoli del giornalista Facci. Detto questo, come persona, nella sua schiettezza, mi piace molto. Ho letto l’intervista e poi la replica di Simone Moro e sinceramente son rimasto perplesso. Forse Simone Moro é stato troppo ingenuo (se non vuoi far sapere certe cose, non le racconti ad un giornalista con un registratore davanti al naso) o forse troppo furbo (usa Filippo Facci, che é un noto “brutto e cattivo”, per far sapere a tutti quello che pensa di Daniele Nardi dicendo “cercò di seminar zizzania. Non diede un soldo, neanche la mancia ai cuochi, richiese indietro materiale, una tenda, addirittura i vestiti ad Alì Sadpara: dovetti dargli io una tuta d’alta quota…” per poi invece repiclare “Io voglio ringraziare, INDISTINTAMENTE, tutti…” e “Basta con le tifoserie pro o contro quello o questo. In questo modo portiamo il malcostume sportivo e di bassa quota anche nel nostro (di tutti) mondo della Montagna…” mettendo la pulce nell’orecchio a tutti quelli che si interessano di montagna). Raccontare che tutto é andato liscio come l’olio quando una persona é dovuta ritornare a casa (magari lo avrebbe fatto lo stesso, chissá) perché non era piú il benvenuto non é fare un giusto resoconto della storia. Le grandi imprese sono fatte anche di litigi e incomprensioni. Se Daniele Nardi, dopo essere tornato, si é lamentato della situazione un motivo ci sará stato, un’altra parte della storia andava raccontata. Non so chi ha ragione (e forse poco importa, tanto ci sará sempre chi tifa per uno e chi per l’altro) e non sono neanche un giornalista, ma l’articolo di Filippo Facci a me é piaciuto. Per il “mettere a fuoco e rendere chiari a tutti i punti importanti degli eventi…” ci hanno pensato i protagonisti, forse serviva qualcuno che raccontasse le parti meno romantiche di questa impresa (altrimenti i campi base sembrano delle isole felici). Tutti questi particolari non tolgono niente all’impresa ma sicuramente rendono i nostri eroi piú umani, nel bene e nel male.

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