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20 Luglio 2023

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Alpi Centrali · Alpi Occidentali · Alpi Orientali · Appennini · Aree Montane

Guide alpine italiane: “Notti tropicali in alta quota: attenzione alle escursioni su ghiacciaio e sulle vie di misto”

Foto arch. Guide Alpine Italiane

Notti in cui la temperatura minima non scende al di sotto dei 20 °C, sono un fattore di rischio importante a quote elevate. I consigli delle Guide alpine italiane

Giornate roventi e notti particolarmente calde, quasi “tropicali”. In alta quota, queste condizioni meteorologiche possono rendere instabili rocce, ghiacciai e tratti innevati, aumentando il rischio di percorrere alcuni itinerari.

Ecco i consigli delle Guide Alpine: informarsi in modo specifico non solo sulla zona ma sulle condizioni del percorso, e porre elevata attenzione anche su terreni che apparentemente sembrano non presentare problemi, soprattutto in presenza di ghiaccio e neve.

Le “notti tropicali”, termine utilizzato in climatologia per identificare le notti in cui la temperatura minima non scende al di sotto dei 20 °C, sono un fattore di rischio importante a quote elevate, perché comportano un indebolimento del manto nevoso e possono favorire fenomeni piovosi che accelerano la fusione della neve e provocano pericolose infiltrazioni d’acqua tra le rocce.

L’instabilità può riguardare sia itinerari impegnativi sia percorsi semplici su ghiacciaio, spesso affrontati da persone senza particolare esperienza.

Intervista alla guida alpina Mario Ravello

Mario Ravello, Guida Alpina della Valle d’Aosta e geologo, in questa intervista ci spiega cosa accade in alta quota quando fa così caldo e suggerisce alcuni consigli utili per gli escursionisti e gli alpinisti che si preparano a salire in quota nel periodo estivo.

Che conseguenze hanno le notti tropicali in alta quota?
A bassa quota l’innalzamento della temperatura non influisce più di tanto sulle condizioni ambientali, ma oltre i 3000, 3500 metri troviamo terreni innevati o ghiacciai dove il caldo può innescare una serie di processi di degrado connessi alla fusione del manto nevoso, fino a minare la stabilità dei pendii e della roccia. Quando lo zero termico si attesta sui 4600-4800 metri come in questi giorni, il rigelo notturno è praticamente assente, l’acqua entra nelle fessure della roccia provocando, a lungo andare, frane e crolli.

Quali sono gli itinerari più a rischio?
Gli itinerari cosiddetti “di misto”, dove si incontrano neve, roccia e ghiaccio vanno analizzati con molta attenzione. Per affrontare queste vie devono esserci dei fattori minimi di percorribilità che sono rigelo notturno e neve dura, altrimenti si può incontrare un problema di tenuta sia della neve sia della roccia: le misure di protezione che normalmente si mettono in atto quando fai queste salite potrebbero non bastare.

Cosa accade se manca il rigelo notturno?
Su itinerari poco battuti, magari esposti al sole, con rigelo scarso o assente diventa difficoltoso salire perchè si affonda, la neve è inconsistente o molle perché non ha fatto in tempo a compattarsi e si deteriora anche in profondità. Gli itinerari non sono affidabili ed è inutile, come fanno molti, cambiare semplicemente l’orario di partenza: se non rigela di notte, è inutile partire prima, l’instabilità permane.

Che cosa accade invece nei tratti di roccia?
L’acqua entra nelle fessure e provoca due effetti dirompenti: in prima battuta penetrando nelle fratture provoca una sovrapressione che porta a destabilizzare gli ammassi rocciosi circostanti e in seconda battuta l’acqua che penetra nelle fratture provoca il riscaldamento del ghiaccio, degenerando la sua funzione di “collante”. Si innescano processi che nel lungo termine possono portare a frane anche di grosse dimensioni. Parlo di acqua di fusione o anche di pioggia, che con temperature elevate cade anche in alta quota. Si innescano processi che nel lungo termine possono portare a frane anche di grosse dimensioni. La frana rappresenta l’evento finale di un processo di degenerazione della stabilità della roccia, ma i problemi per l’alpinista si verificano molto prima, quando la fusione della neve inizia a destabilizzare l’ammasso roccioso, soprattutto dove questo è maggiormente fratturato.

C’è qualcuno che monitora le condizioni in alta quota?
Non ci sono enti o strutture che fanno bollettini sulla percorribilità delle vie. L’unico sistema per regolarsi è valutare i bollettini meteo che indicano sempre dov’è lo zero termico ed informarsi bene molto bene sulle condizioni della zona, raccogliendo notizie specifiche sulla via che si vuole percorrere, in primis dalle guide alpine e i rifugisti locali, poi anche tramite i social. Se non si trovano informazioni specifiche, meglio lasciar perdere perché l’unica certezza diventa il caldo anomalo che è un fattore di rischio.

In questo periodo molti frequentano l’alta quota: quali suggerimenti utili dare?
Raccomanderei in particolare di non trascurare, in queste condizioni, le cosiddette “banali” camminate su ghiacciaio accessibili a chiunque, dove c’è magari una bella traccia che però risale a quando la tenuta della neve era buona. Se il manto nevoso è deteriorato da un caldo persistente, che permane anche di notte, i ponti di neve diventano sempre più fragili e possono crollare anche al passaggio di un singolo individuo interessando zone molto ampie. In questi casi, essere legato in cordata può non bastare.

E’ utile valutare delle varianti all’itinerario previsto?
Sì, su ghiacciaio ad esempio, è importante trovare la traccia giusta e non seguire semplicemente la più diretta per essere più veloci. Meglio controllare se c’è una traccia che aggira la zona crepacciata, anche se è più lunga, e se non si è in grado di fare queste valutazioni meglio affidarsi a professionisti come le guide alpine.

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