Intervista alla guida alpina Gianluca Bellin. Contributo di Vittorino Mason
Mestiere antico quello della guida alpina. Seppure la prima guida ufficiale venga riconosciuta in concomitanza con la prima salita al Monte Bianco (1786), già da molto tempo c’era gente, esperta di montagna, che accompagnava viaggiatori e mercanti lungo i valichi alpini.
Allora, e così fino alla metà del secolo scorso, quasi tutti valligiani dediti anche ad altri lavori, spesso cacciatori che per necessità arrampicavano sulle crode trasformandosi in provetti alpinisti e guide di uomini facoltosi: medici, avvocati, notai e professori provenienti da tutta Europa, ma in particolar modo da l’Inghilterra.
Fare la guida per uomini illustri era motivo di vanto, oltre che di buoni guadagni, ma anche attività non priva di contrattempi e pericoli che si svolgeva quasi sempre nella bella stagione: l’estate, e non bastava per far fronte ai costi della vita.
Focalizzando l’attenzione solo nell’arco dolomitico non si può non ricordare i nomi di Michel Innerkofler (fortissima guida di Sesto), di Pacifico Zandegiacomo Orsolina (di Auronzo), di Francesco Lacedelli, Angelo Dibona, Santo Siorpaés, Pietro e Antonio Dimai (tutti di Cortina), di Giuseppe Stanislao Pellizzaroli (di Santo Stefano di Cadore), di Luigi Rizzi (guida della Val di Fassa) e più recentemente di Gabriele Franceschini (del Primiero, che accompagnò spesso Re Leopoldo del Belgio) e Bruno Detassis (di Madonna di Campiglio, il ‘Re del Brenta’).
Se fino a non molti anni fa questo mestiere era prerogativa quasi esclusiva di guide che abitavano in montagna, spesso alpinisti che univano la propria attività alpinistica a quella di accompagnare clienti su quella montagna o quella via, oggi, ma possiamo dire ormai da una ventina d’anni, non è più così.
Un numero abbastanza consistente di alpinisti, persone che vivono in città, ma amano e praticano la montagna, l’alpinismo ad alto livello, ha visto la possibilità di trasformare una passione anche in un mestiere. Ragazzi che si sono formati, hanno fatto il corso guide e oggi, pur abitando in città, pur non essendo nati in un paese di montagna, vivono di montagna.
In Italia ci sono circa 1400 guide alpine (numero provvisorio che può variare nel corso dell’anno), di queste una ventina sono donne, una presenza marginale che solo nel 1984 ha visto la prima donna, Renata Rossi della Valchiavenna, entrare a far parte nel Corpo Nazionale delle Guide Alpine.
Ma la professione di guida alpina in questi ultimi anni è anche molto cambiata: ha dovuto adattarsi ai tempi, alle richieste dei clienti, di un “mercato” del divertimento e del passatempo che ha imposto modi e stili diversi per approcciare e vivere la montagna. A questo si è aggiunta la necessità di vivere continuativamente di questo mestiere che, se prima si limitava all’accompagnamento del cliente in montagna, fosse una via alpinistica, una via ferrata o una spedizione in qualche luogo esotico, ora per vivere dignitosamente la guida deve essere elastico e saper adattarsi al bisogno facendo della propria esperienza e abilità motivo per spendersi in occupazioni collaterali, ad esempio organizzare corsi di arrampicata privati o per le sezioni del CAI, controllare e manutentare vie ferrate, organizzare corsi di sicurezza all’interno delle aziende e trasferirsi per brevi periodi in altre località, ad esempio sulle isole Eolie per accompagnare i turisti sullo Stromboli, al fine di poter svolgere la propria professione in modo redditizio.
Per approfondire il tema, più che accostare i tanti amici guide alpine, ho preferito contattare Gianluca Bellin, una guida che vive tra la pianura e le Prealpi Venete, un alpinista che grazie alla sua esperienza può davvero aprirci una finestra su un mondo ai più sconosciuto.
Nato a Bassano del Grappa cinquantadue anni fa, Gianluca vive a Semonzo, ai piedi del Monte Grappa. Avvicinatosi all’arrampicata sportiva e all’alpinismo agli inizi degli anni 90’, ha aperto poi una ventina di vie concentrando la sua attività nelle Dolomiti e Alpi Orientali, ma senza escludere importanti esperienze sulle montagne europee, dell’Asia e dell’America. Appena tornato da un viaggio per lavoro da un’isola greca, lo incontro a casa sua, ma dobbiamo cavarcela per mezzogiorno, alle 12.30 ha appuntamento alla palestra di roccia di Santa Felicita: bisogna tenersi sempre in allenamento!
L’intervista
Gianluca, da quanti anni pratichi la professione di guida alpina?
Da quasi vent’anni.
Cosa ti ha spinto a diventare guida alpina?
La morosa… fu lei, quando rimasi folgorato dall’arrampicata, che mi spinse a cambiare vita e a farne una professione. Per due anni avevo lavorato per una ditta che montava i tralicci delle teleferiche; mi piaceva stare in alto, sospeso per aria. Una sera, mentre ero in trasferta a Gressoney, un amico mi portò ad arrampicare in una palestra e lì, come misi le mani sulla roccia, capii quale sarebbe stato il mio destino.
Non potevo più andare avanti con quel cliché: lavorare di giorno e poi alla notte andarmi a divertire con le ragazze, lavorare cinque giorni e poi spassarmela al bar o in discoteca con gli amici. “Ma la vita è solo questo?” mi domandai. Io volevo di più! Il tatto, il contatto con la roccia mi aveva risvegliato: volevo diventare padrone del mio tempo!
Ci sei riuscito?
Non subito, ma lasciai quel lavoro con il proposito di arrampicare di più, ma nel frattempo andai avanti con due occupazioni: in fabbrica di giorno e cameriere in discoteca la sera. Ma intanto avevo cominciato ad arrampicare alla palestra di roccia di Santa Felicita. Ero orgoglioso e così arrampicavo da solo e slegato. Fu lì che un giorno Lorenzo Massarotto mi notò e mi propose di andare a fare una via nuova.
Dove?
Sulla parete sud dell’Agner. Il primo giorno andammo a dormire in una malga e il mattino seguente attaccammo la via. Lorenzo andava da primo, senza casco, io l’assicuravo. Era sul primo tiro quando vidi una scarica spaventosa di sassi passarmi oltre perché stavo sotto una rientranza. “Però, mi sembra molto pericoloso questo alpinismo!”. Quando poi lo raggiunsi in sosta lui aveva gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento e disse che per quel giorno era finita lì. Tornammo indietro.
Poi cosa hai fatto?
Ho continuato sempre ad arrampicare impratichendomi sempre più perchè vedevo che miglioravo di uscita in uscita. Poi, nel 1995, disoccupato, ma finalmente libero, con il compagno Paolo Benvenuti partii per l’America: destinazione Yosemite, due mesi ad arrampicare sulle vie classiche del Nose, del Half Dome, etc.
Tornato a casa però la morosa, sempre quella di prima, la madre delle mie due figlie, mi chiese: “vuoi andare avanti così, a fare il menestrello e il giramondo tutta la vita?”
Dovevo inventarmi qualcosa: diventare guida alpina! La fortuna volle che nel 1998 Diego Stefani, guida alpina del Cadore, mi invitò per una spedizione esplorativa in India. Lì ebbe modo di vedermi all’opera e spronarmi affinché facessi domanda per diventare guida.
Per uno della pianura è difficile diventare guida alpina?
Sì, molto! Perché non c’è la cultura di questo mestiere. Anche per un forte alpinista che vive in città e vorrebbe vivere solo in e di montagna, gli viene difficile pensare di riuscire a diventare guida: ti basti pensare che prima di me qui in zona c’è stato una sola guida, io sono arrivato vent’anni dopo, e a distanza di altri vent’anni se n’è aggiunto solo un altro, peraltro morto da poco. Capisci qual è il problema?
Qual è l’iter per diventare guida alpina?
Bisogna presentare alla commissione del collegio delle guide un curriculum alpinistico che deve comprendere ripetizioni di vie da primo fino al sesto e anche settimo grado, percorsi di scialpinismo, vie su cascate di ghiaccio e salite di alta montagna. Segue la selezione che prevede un esame orale e poi delle prove: un giorno arrampicata, un giorno scialpinismo, un giorno cascate di ghiaccio ed esercizi sui crepacci. Una volta passata la selezione si accede ai corsi. Considera che per avere delle agevolazioni fiscali io fatto il corso di aspirante guida nel collegio del Trentino. I corsi prevedono giornate teoriche ad altre di pratica sul campo, con un susseguirsi di esami e prove tecniche per un numero di tot ore, con la possibilità di distribuire le giornate fino a un tempo massimo di cinque anni. Per me sono state centodieci giornate e più altre dieci distribuite in quattro anni.
Quanto costa diventare guida?
Tanto! A quel tempo io ho speso circa ottomila euro, ma credo adesso la cifra si aggiri sui dodici, quattordici mila euro. Non tutti possono permetterselo, non tutti hanno il coraggio di investire così tanto per vivere e guadagnare con una passione.
Considera che terminato il corso non si è guide alpine, ma solo aspiranti e per due anni e mezzo non si può esercitare il mestiere nella sua completezza. E’ vietato accompagnare persone all’estero, ad esempio sul Monte Bianco, non si possono organizzare corsi, non si possono accompagnare le persone sulle vie oltre il sesto grado e oltre i quattromila metri. Poi, nel mio caso, la cosa che mi ha penalizzato molto, è che ero giovane e forte, nella fase migliore della mia vita, e non potevo sfruttare questa condizione per vivere appieno il mio lavoro.
Una volta guida è stato un problema farti conoscere?
Sì. Il problema di fondo è che qui a Bassano, proprio a due passi da una montagna che offre molte possibilità di lavoro, io ero l’unica guida. Poi dobbiamo sempre tornare al problema culturale: se uno nel 2000 voleva fare un corso di arrampicata a chi si rivolgeva? A una sezione CAI, naturalmente. Per me c’erano poche possibilità di lavorare e il paradosso era che invece le richieste per andare in questa o quella montagna erano tante, ma i più, almeno qui in pianura, conoscevano solo la realtà del CAI. Era come se io volessi vendere ghiaccioli agli eschimesi! Ti pare?
Considera poi che allora i social-media erano ancora in divenire, oggi le cose sono cambiate ed è molto più facile arrivare al pubblico. Per farmi conoscere facevo volantini e spargevo la voce che ero guida e soprattutto molto disponibile! Farmi conoscere come guida è stato davvero un grande problema, al punto che per vivere dovevo fare altri lavori di notte.
La svolta quando è avvenuta?
Nel 2008 grazie al testo unico del decreto 81 sulla sicurezza nel lavoro che obbliga tutti i lavoratori operanti in situazioni oltre i due metri di altezza ad avere una formazione. E chi poteva farla questa formazione? Le persone esperte e le guide rientravano in questa categoria essendo riconosciuto dallo stato come lavoro intellettuale alla pari di un ingegnere. Questo mi ha permesso di lavorare con le aziende e avere più opportunità di lavoro al di fuori della montagna. Ma prima, per sei anni e poter campare, nella stagione estiva mi sono trasferito a Pinzolo dove ho svolto la mia professione affiancando le guide del posto.
In un anno quante giornate lavori come guida?
La stagione più intensa è l’estate, poi c’è un po’ di flessione in autunno che riempio con i corsi di formazione alla sicurezza nelle aziende, poi c’è la stagione invernale con lo scialpinismo e le gite con le ciaspole. Come ben saprai, la maggior delle persone che lavorano hanno libero solo il sabato e la domenica, e in questi giorni concentro il mio lavoro.
Chi sono i clienti che ti contattano e cosa ti chiedono?
Nel mio caso, guida che vive in pianura, è più difficile pensarmi come la guida classica del primo novecento o attuale, ma che vive in un contesto quale le Dolomiti, ad esempio Ortisei, piuttosto che Cortina, lì il cliente ti chiede di portarlo su questa o quella cima, su quella o quell’altra via. Io devo pensare al mio bacino d’utenza e allora eccomi a proporre corsi ed uscite di gruppo, magari anche divertenti. Solo che sono io ad andare verso l’utente, sono io che continuo a vendere ghiaccioli, ma non più agli eschimesi, ma a persone assetate per il troppo caldo. Così organizzo corsi di arrampicata collettivi: indoor e in falesia, corsi di scialpinismo, uscite di canyoning, vie ferrate e altro.
Anche grazie ai social-media il nostro lavoro è cambiato. Io propongo un corso in un sito e le persone se sono interessate ti cercano e vi partecipano, non è più come una volta che si rivolgevano solo alle sezioni del CAI.
In base a cosa decidi di portare una persona che non conosci e che ti ha contattato per andare in una via ferrata, piuttosto che in una via alpinistica o su un quattromila?
Quando qualcuno mi contatta al telefono io ho delle sensazioni e già comincio a capire con chi ho a che fare. Lui mi chiede di portarlo in una montagna, allora attraverso delle domande specifiche sul grado di preparazione e le esperienze che ha fatto, decido se si può fare o meno. Ma se qualcuno mi chiede di accompagnarlo in una salita molto impegnativa e io deduco che lui non ha il grado di preparazione adeguata, anche se so di perdere un cliente, per salvaguardare la sua e la mia sicurezza, gli dico di no. Purtroppo si ha l’abitudine di considerare chi paga una guida come cliente. Per me è un aggettivo dispregiativo. Io lo definirei come un compagno di avventura che paga per vivere quell’esperienza in sicurezza!
Basta la conoscenza della montagna per riuscire a prevenire tutti i rischi? Pensando a quello che è successo l’estate scorsa in Marmolada si direbbe proprio di no!
No! Io cerco di limitare la maggior parte dei rischi, ciò che rimane è il così detto “rischio residuo”, ovvero quello è imprevedibile, imponderabile, ad esempio che possa cadere un pezzo di montagna mentre sto passando sotto. Nessuno può prevedere come e quando si muovono le forze della natura. Ti racconto questa: lo scorso anno ero a fare la guida allo Stromboli; come sai è monitorato e nonostante ciò lui ha tirato un botto, è esploso causando un morto nell’isola.
Qual è la dote più importante per svolgere bene questo mestiere?
La calma. Il mestiere della guida, le sue capacità, escono soprattutto nel momento dell’emergenza. È questo che distingue una guida da un altro alpinista. Garantire sicurezza e tranquillità.
Il tuo è puro mestiere atto a un guadagno o anche qualcos’altro?
Considera che tutti mi identificano come una guida alpina, ma io prima di tutto sono un alpinista e l’altro punto è che io non sono una guida alpina, ma faccio la guida alpina. Questo fa una grande differenza perché per me è un lavoro, ma un lavoro che mi piace e appassiona.
Cosa ti gratifica del tuo essere guida alpina?
Il fatto di poter gestire il mio tempo, la mia vita. Ma, per risponderti in modo quasi banale, vedere la soddisfazione dei clienti dopo una salita. Poi, altro fattore per me molto importante, è che il mio mestiere mi obbliga ad essere sempre in movimento, in natura, a scoprire luoghi nuovi, a progettare e ad avere continuamente degli interessi.
E qualcosa che non ti piace di questo mestiere?
Il fatto che mentre io accetto le mie responsabilità, gli altri, i clienti, non accettano le proprie. Ti faccio un esempio: se io consiglio, dico di fare o non fare un dato movimento e poi chi accompagno non mi ascolta e va a farsi male, sono io il responsabile e lui può denunciarmi. Siamo arrivati a un punto in cui se un cliente si allaccia male gli scarponi e inciampa dà la colpa a me: “Non me l’hai mica detto che dovevo fare il doppio nodo!”.
Una guida alpina è soggetta a dei test, a dei controlli da parte del collegio delle guide?
Diciamo che da sempre ci sono dei corsi di aggiornamento che un tempo constavano in quattro giornate in due anni, oggi sé stato trasformato in aggiornamento continuo, cosa che permette alla guida di espletare l’impegno dei corsi in giornate che decide lui. I corsi permettono di dare un punteggio che garantisce la continuità o meno della professione.
Oggi è più difficile diventare guida alpina?
Credo di sì. Pensa che in Italia ci sono “solo” e sottolineo “solo” 1400 guide mentre ci sarebbe da lavorare anche per il doppio, ma da sempre il livello di selezione ai corsi è sempre stato molto alto, proprio per far sì che escano delle guide super preparate e capaci di garantire un elevata sicurezza. Uno sbaglio però è stato fatto, ed è quello di non essere andati al passo con i tempi. Il “mercato” oggi richiede diverse specializzazioni che le poche guide non riescono a soddisfare. Per questo motivo sono nate molte associazioni e corsi facili per diventare accompagnatori. Oggi per una guida ci sarebbe molto da lavorare specializzandosi solo in canyoning, piuttosto che in arrampicata sportiva o ciaspolate. Invece per poter avere il brevetto di guida alpina bisogna essere in grado di saper fare tutto ad un costo di tempo e denaro troppo alti. Come fai chiedere a uno di Rovigo si saper fare scialpinismo come uno di Ortisei? Per non parlare poi di uno che vive in Sicilia o in Sardegna! Dove va a trovare il ghiaccio e la neve per specializzarsi nelle cascate, nella progressione su ghiaccio o nello scialpinismo? Bisognerebbe rendere più agevole e diversificato il modo per diventare guida.
Voi, guide di “pianura”, come siete visti dalle guide alpine che vivono in montagna?
Beh, ad essere un po’ maligni credo che loro, le guide che vivono in montagna, dicono che noi non siamo delle vere guide alpine. Ma è anche un preconcetto che nel corso degli anni è svanito. Poi è anche vero che se uno è bravo e capace, non ti domandi dove viva. In fondo c’è un grande rispetto tra noi; che tu sia francese, inglese, polacco, tedesco, è sempre bello riconoscere una guida alpina dallo stemma affisso alla giacca o il gilet e scambiarsi un saluto.
Si riesce a vivere con questo mestiere?
Sì, ma diversificando molto la mia attività, ovvero rendendomi disponibile a fare tutti i lavori in altezza; ad esempio se mi chiamano giù in Sicilia, è già successo, per pulire le vetrate esterne di un palazzo, io ci vado. Sono sempre allenato e pronto a partire: è questo che mi permette di andare avanti. Qui in pianura non potrei mai vivere facendo la guida classica.
Hai mai messo in preventivo un infortunio invalidante che metta a repentaglio la tua professione?
Come guida ho una mia assicurazione privata, due anni fa ho avuto un incidente importante con il parapendio e ho rischiato di non poter più lavorare. In ogni caso il pensiero fisso nella mia mente è quando devo determinare un prezzo per una escursione in montagna e tenendo presente più che la difficoltà tecnica, il rischio che calcolo ci sia per il mio cliente e per me.
Come coniughi i tuoi obiettivi alpinistici con la professione?
Non sarebbe un problema ricavarmi delle giornate solo per me, ma mentre da giovane avevo moltissimi obiettivi, oggi mi diverte di più vivere la montagna con tranquillità, senza tutte quelle fatiche e quei sacrifici che dovevo fare per aprire una via o realizzare una determinata salita. Quando Lorenzo Massarotto mi chiamava per andare ad aprire una via, avrei dormito sui sassi pur di seguirlo, oggi no. Sai, viene il tempo in cui è giusto anche assaporare la vita per quello che è, guardarsi attorno e non solo in alto…
Per te la montagna è solo alpinismo?
No, è avventura. Mi piacciono gli ambienti integri e più lo sono più mi ci ritrovo. Può essere un deserto o una collina, fa lo stesso se la natura trionfa. Poi, per esperienza diretta, devo anche dire che se sei appeso in parete, tutto preso da sforzi strenui, non hai né voglia né tempo per guardarti attorno, mentre se ti vai a fare una bella scialpinistica ti puoi godere il paesaggio e la natura.
Una guida alpina va in pensione?
La figura della guida alpina risulta iscritta all’albo dei liberi professionisti per cui, come gli altri dovrà maturare gli anni o i contribuiti lavorativi, se ci riesce… In realtà una guida alpina non va mai in pensione: come un alpinista, finché avrà la forza, le gambe che tengono e la voglia, continuerà ad andare in montagna. Pensare alla pensione sarebbe dire pensare a morire!
Vittorino Mason