Volete scoprire il trekking sulla “cinta muraria” più estesa in Europa?
E se vi dicessi che stiamo parlando del sistema di fortificazioni più grande al mondo dopo la muraglia cinese? E se aggiungessi che parte dal centro storico più vasto del continente?
Ebbene si, ci troviamo in Italia, a Genova, in Liguria.
Sembra incredibile, ma è la realtà e per capire davvero ciò di cui si parla, è necessario fare un tuffo nella storia. Analizziamo un’impressionante opera composta da 7 cerchie, indicativamente concentriche e oggi fagocitate dal circuito urbano, in parte conservate, e un sistema di torri e forti sulle alture.
La prima linea difensiva, secondo le ipotesi più accreditate, dovrebbe risalire al periodo compreso tra il VII e il V secolo a.C. identificata nell’area odierna dei vicoli del centro storico, conosciuti come Caruggi, che ancora oggi prende il nome di Collina di Castello.
Si tratta di un insediamento preromano con una forma ovale, che riferiamo all’area della basilica di Santa Maria, tutt’ora presente proprio nella zona più antica dell’agglomerato. Secondo convenzione un primo luogo di culto mariano sorse a opera del re longobardo Ariperto nel 658, su antiche rovine sacre.
Un’altra versione altrettanto tradizionale vorrebbe un insediamento di popolazioni autoctone, fortemente influenzate e in rapporti con popolazioni etrusche in espansione dall’area che oggi riconosciamo come la Toscana. Ciò che sappiamo con certezza è la distruzione del nucleo nel 205 a.C. a opera dei cartaginesi, considerando che il centro di allora era sotto l’influenza romana.
Anche in riferimento alla seconda cinta muraria, la storia si mescola in parte alla leggenda. Da un lato alcune ipotesi fanno risalire la linea difensiva all’epoca Carolingia, e nello specifico l’edificazione potrebbe oscillare tra l’848 e l’889, per altri le fortificazioni sono da legare al saccheggio della città a opera saracena risalente al 935 d.C. La linea di demarcazione di questo secondo contenimento, si identifica nel segmento compreso tra Porta Soprana, San Lorenzo e Piazza Banchi. Se entriamo nello specifico si possono identificare quattro porte: San Pietro, Serravalle, Castri e Soprana, e quattro torri, Castelletto, Luccoli, Castello e Friolente.
La terza cinta di mura è definita del Barbarossa, perché edificata durante il periodo dell’imperatore e delle guerre con i Comuni. La città decise di prepararsi a una difesa, con un primo spunto iniziale piuttosto celere, un rallentamento con l’allentarsi delle tensioni, una nuova accelerazione e la partecipazione della città tutta per terminare il lavoro. Il periodo comprende gli anni dal 1155 al 1159 e la descrizione deriva dalle cronache del celebre Caffaro di Rustico da Caschifellone, generale, politico e annalista. Con questa nuova linea difensiva, non molto elevata ma estesa, la città passava da 20 a più di 50 ettari, tra le porte Soprana e Sottana o dei Vacca, come demarcazione.
E’ importante ricordare che in questo periodo storico un elemento di fortificazione impressionante che caratterizza la città, sono le torri di protezione di cui Genova è costellata. Il podestà Drudo Marcellino promulgò un editto del 1196 obbligando al taglio di 20 metri delle 66 torri per evitare le tensioni nella lotta di potere tra le famiglie che le possedevano.
L’unica che fu risparmiata è la Torre dei Castro, erroneamente chiamata Torre degli Embrìaci. Guglielmo Embriaco “Testa di Maglio” è il leggendario comandante che contribuì alla presa di Gerusalemme del 1099, nella prima Crociata indetta nel 1095 da papa Urbano II a Clermont. Primo de’ Castro, fratello di Guglielmo e figlio del visconte Guido di Manesseno, è il capostipite della famiglia, vera detentrice della torre.
La quarta cinta risale al 1276 ed è identificata con le mura della Malpaga, che devono il proprio nome alle prigioni, che serviva sostanzialmente a difendere il quartiere de Il Molo.
La quinta cinta fu costruita in due fasi: la prima tra il 1320 e il ’27, con la porzione che collegava i quartieri nuovi di Carignano all’area di Luccoli e la protezione della Lanterna, e la seconda tra il 1346 e il 1358, con un linea difensiva edificata per proteggere le zone di Pré e di S.Agnese.
La sesta cinta risalente al 1536, contraddistingue il periodo di rivoluzione della città; Genova era caduta in mano ai francesi, anche a causa delle sue mura vecchie di 200 anni e inadatte al combattimento moderno con l’artiglieria basso medievale. Nel XVI secolo la Repubblica di Genova riuscì a liberarsi del dominio francese e a edificare delle innovative mura grazie al lavoro di Andrea Doria, iniziando il periodo di alleanza con la Spagna. La nuova linea difensiva caratterizzata da terrapieni di rinforzo e 19 bastioni, proteggeva sia dai monti, sia dal mare, evoluta in base alle nuove tecnologie.
La settima cinta fu edificata tra il 1626 ed il 1639 e viene ancora oggi chiamata “le Mura Nuove”. L’estensione originale era già di circa venti chilometri, di cui circa sette lungo la linea di costa. La genesi è una conseguenza delle mire espansionistiche dei Savoia, alleati dei francesi, a discapito di Genova, e degli Spagnoli. L’opera ultimata contava di 48 bastioni e 137 guardiole, un lavoro colossale senza pari in Europa.
Nonostante l’opera ingegneristica i tempi volgevano a una nuova fase e a nuove tipologie di guerra. Genova iniziò a cercare un equilibrio tra le alleanze e una neutralità, ma ciò non arginò la fame di conquista dei francesi verso Genova, un passo per l’espansione in Corsica. Nel 1684 Luigi XIV ordinò l’invasione della città, mandando 160 navi che si disposero in una fila compatta dalla Lanterna alla Foce, scagliando sulla città, inizialmente 6.000 bombe e successivamente altre 10.000. Il tempo dei muraglioni era finito… L’avanzata fisica dell’esercito però, fu contrastata dalle milizie urbane e dai volontari della Val Polcevera.
Piemontesi e francesi furono temporaneamente arginati, ma le battaglie ovviamente non erano finite; Genova fu coinvolta nella guerra di successione austriaca. La Superba aveva acquistato il Marchesato di Finale, precedentemente sotto il potere spagnolo, ma l’imperatrice austriaca Maria Teresa decise di passarlo sotto il dominio di casa Savoia. Genova entrò in guerra per questo motivo, fiancheggiando nel 1746 i regni di Francia, Spagna e Napoli. Nel settembre gli austriaci calarono con l’esercito sino alla Val Polcevera e i genovesi si arresero per via di una serie di errori di valutazione bellica e probabili politiche sbagliate. Nel dicembre dello stesso anno avvenne la rivolta cittadina, grazie alla scintilla di un ragazzino conosciuto come il “Balilla“, il cui vero nome è Giovan Battista Perasso. Durante uno spostamento, un mortaio austriaco restò impantanato nel fango e l’arroganza degli occupanti volle intimare ai popolani di rimuoverlo all’istante. Un ragazzino di 11 anni reagì, scagliando una pietra al grido di “comincio io?” e poco dopo fu “incendio”.
Per capire bene ciò che accadde successivamente è necessario un inquadramento geografico: alle spalle di Genova due torrenti principali hanno delineato le due vallate più evidenti, la Polcevera a ovest e la Bisagno a est, chiuse a nord dalla Valle Scrivia e a nord est dalla Val Trebbia.
La Val Bisagno è suddivisa in tre valloni principali: Geirato, da Molassana al Monte Alpe, Canate, da Cavassolo al Monte Alpesisa, Lentro, dalla Presa di Bargagli a Geirato. La Valpolcevera che si sviluppa sino al passo dei Giovi, è suddivisa anch’essa in tre valloni: Secca, da Manesseno, attraverso Pedemonte di Serra Riccò a Crocetta d’Orero, Sardonella, da Manesseno a S.Olcese, Rio Verde, da Pontedecimo sino al Monte Leco e ai Piani di Praglia.
Il crinale che fa da spartiacque tra queste due ampie aree, corre da nord a sud, cioè al mare, dove si trova Genova, e connette la Valle Scrivia e gli antichi ospedali medievali, alla città, come via di accesso e protezione. Questo sistema di piccole montagne, chiave di volta e collegamento di molteplici aree e vallate, è la linea su cui furono edificati i nuovi forti.
Mentre la Val Bisagno è completamente impostata su rocce calcaree chiamate “formazione di Monte Antola”, che si sviluppa tra Zoagli e Genova fino a oltre la Val Borbera, la Val Polcevera è una zona di raccordo tra le rocce metamorfiche, l’area chiamata “linea Sestri-Voltaggio”, e la suddetta formazione dell’Antola. Lungo questo allineamento da nord a sud, si trovano rocce di natura argillosa che creano un suolo fertile e crinali arrotondati e facilmente valicabili.
Spostandoci da sud a nord , appena alle spalle della città, possiamo identificare Forte Sperone: l’attuale struttura fu costruita tra il 1815 e il 1827, edificata su un antico baluardo, probabilmente risalente al 1319, riferito ai presidi del Monte Peralto a 522 m, relativi alle lotte guelfe e ghibelline. Un’ipotesi accreditata vuole la costruzione di una nuova fortezza nel 1530 rinforzata poi nel ‘600 a opera della famiglia De Mari, e dotata nel 1747 di artiglieria pesante durante il periodo di belligeranza austriaco nel 1747.
Nel crinale alle spalle dello Sperone era presente una ridotta, cioè una fortificazione costituita la palizzate e gabbioni ripieni di terra e sassi, la prima al di fuori delle mura nuove. Durante queste lotte venne edificato su questi resti il Forte Puin dal genio militare del Regno di Sardegna, contraddistinto dai Savoia, e fu interessata dai conflitti napoleonici tra il 1801 e il ’14. L’opera venne abbandonata sino al 1963, momento in cui l’architetto genovese Franco Parodi lo restaurò e ci visse sino al ’78.
Al seguito delle battaglie del 1747, nelle due prominenze ancora a nord, furono costruite le prime linee difensive, destinate alla protezione delle batterie da guerra. Queste fortificazioni furono impegnate nell’assedio del 1800 e tra l’anno successivo e il 1814 fu progettata l’edificazione di fortilizi, realizzati nuovamente dal genio militare Sardo. A partire dal 1830, in due anni, furono edificate due cinte murarie per proteggere le torri a pianta quadrata. Sul monte Spino, a 622 metri, si ergeva il Forte Fratello Minore, mentre sul Monte Sellato, appena più alto, il Maggiore. Quest’ultimo fu demolito all’inizio del ‘900, per installarvi sopra una postazione antiaerea tedesca attiva dal ’37.
Il più famoso tra i Forti è il Diamante che deve il suo nome, non alla forma che potrebbe essere riferita appunto a un cristallo, quanto invece al Monte omonimo su cui risiede. Fu edificato tra il 1756 e il ’58 su proposta dell’ingegnere francese Jacques De Sicre, assoldato dalla Repubblica. La sua esistenza era dedicata alla difesa avanzata del crinale nord, rispetto alle postazioni sud, a loro volta lo scudo bellico delle mura Nuove. La sua potenza era derivata dai suoi baluardi e per la sua posizione strategica, fu al centro dell’assedio del 1800 e dell’epica battaglia del 30 aprile.
Il generale austriaco Hoenzollern era riuscito a conquistare le postazioni dei Forti Fratelli e mirava a stanare il generale Bertrand, rintanato nel Diamante. Leggendario fu lo scambio tra i comandanti, degno di un film.
«Vi intimo, Comandante, di rendere all’istante il vostro Forte, altrimenti tutto è pronto ed io vi prendo d’assalto e vi passo a fil di spada. Potete ancora ottenere una capitolazione onorevole. Davanti a Diamante alle 4 di sera. Conte di Hohenzollern».
«Signor Generale, l’onore, che è il pregio più caro per i veri soldati, proibisce imperiosamente alla brava guarnigione che io comando, di rendere il Forte di cui mi è stato affidato il comando, perché possa acconsentire alla resa per una semplice intimidazione, e mi sta troppo a cuore Signor generale, di meritare la Vostra stima per dichiararvi cha la sola forma e l’impossibilità di difendermi più a lungo, potranno determinarmi a capitolare. Bertrand».
Egli riuscì a resistere e non cedere sino all’arrivo in soccorso del generale francese Nicolas Jean-de-Dieu Soult. Queste pagine sono di un’epicità degna di un film o di un romanzo per chi riesce a immedesimarsi.
Per descrivere davvero bene i forti secondo un percorso logico servirebbero moltissime pagine, ma è bene sapere che sono molti altre le linee difensive. Si può parlare dei forti Forte Quezzi, Richelieu, Santa Tecla, Belvedere, Crocetta, Ratti, S.Martino, S.Giuliano, Begato, Tenaglia, S.Giorgio, S.Benigno, Geremia e molteplici Torri di cui restano integre la S.Bernardino e la Quezzi.
Nello specifico, seguendo una linea trekking, dopo aver risalito i forti centrali è possibile raggiungere l’area della citata Torre Quezzi, edificata dal genio Sardo tra il 1818 e il 1823, per sopperire all’inefficienza del vicino Forte omonimo. Si può proseguire oltre sul Forte Richelieu, che deve la sua genesi all’ingegnere dell’esercito di Spagna Jacque de Sicre, edificato a partire dal 1747, intitolato al Maresciallo Armand du Plessis de Richelieu.
Si raggiunge infine il Forte Ratti, che, come il Diamante, prende il nome dal monte su cui fu stato edificato. Nell’assedio del 1800 la ridotta che era sulla vetta della prominenza, fu al centro delle lotte e per conseguenza fu progettata una grande caserma, realizzata tra il 1831 e il 1842 dal Governo Sabaudo. La fortificazione è posta alle spalle dei quartieri genovesi di Marassi e Bavari, facile accesso ai borghi di Sturla, Albaro e San Martino.
Proseguendo da Bavari al Monte Fasce, è possibile scendere sul crinale che porta a Quinto e intercettare i cosiddetti bunker. Si tratta del complesso delle batterie da guerra nate per contrastare le milizie marittime. Possiamo riconoscere la 200esima Batteria, da 152/45, e la 251esima, da 381/40, sul crinale sud di monte Moro, e in vista la 202esima, da 152/45, a monte di Portofino, e la 250esima, da 381/40, ad Arenzano.
La 200entesima aveva 3 piazzole con cannoni da 152 mm, due di esse coperte da guscio di cemento armato. Erano presenti anche due piazzole per arma automatica, un bunker con funzioni di osservatorio e una teleferica.
La 251esima era dotata di 5 piazzole per cannoni di calibro 90 mm, una casamatta con un telemetro, per il tiro direzionato nella contraerea. A metà del crinale che porta in vetta si nota una grande piazzola nata per ospitare un cannone da 381 mm.
Il 9 settembre 1943, il giorno dopo l’armistizio, il posamine Pelagosa andò in fuga oltrepassando la cortina difensiva oltre il porto di Genova. Appena superata la rete di mine, venne centrato dai colpi della batteria di Quinto, sotto il controllo delle forze naziste.
Oggi il Pelagosa è una meta per i subacquei che riposa a 32 metri sul fondale prospiciente al litorale di Quinto; non è possibile penetrarvi ma è visitabile all’esterno in medio stato di conservazione.
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