Rispondendo alle domande di ExplorersWeb, il figlio di Ali Sadpara racconta quanto accaduto sul K2 e fornisce ulteriori dettagli sulla drammatica spinta alla vetta nel corso della quale sono scomparsi suo padre Ali, John Snorri e Juan Pablo Mohr
Nell’estate 2019, Sajid Sadpara conquistò il K2 diventando il più giovane alpinista al mondo a compiere tale impresa. Quest’anno, il 22enne, sognava di ripetere la salita in inverno. Purtroppo non è andata così. Il giovane pakistano è sopravvissuto a una drammatica discesa in solitaria della montagna, dopo aver visto per l’ultima volta suo padre, il celebre alpinista pakistano Ali Sadpara, oltre gli 8000 metri, insieme ai compagni di cordata John Snorri e Juan Pablo Mohr, dichiarati ufficialmente morti il 18 febbraio, dopo approfondite ricerche.
Tornato a casa, Sajid ha dovuto elaborare il grave lutto, destreggiandosi tra attenzioni pubbliche a lui sconosciute fino a questo momento e le richieste dei media che volevano ascoltare direttamente dalla sua voce, il racconto dei drammatici eventi accaduti sul K2.
I resoconti, non sempre corrispondono, come ad esempio, le ultime parole tra Sajid e suo padre, ai piedi del Collo di Bottiglia. Recentemente, la BBC, ha riportato che Ali avrebbe insistito affinché suo figlio continuasse la salita verso la vetta, nonostante i problemi con l’erogatore di ossigeno, quando invece – secondo il racconto di Sajd a ExplorersWeb – sarebbe accaduto l’esatto contrario.
Amici intimi di Ali Sadpara, Rao e Moirah Ahmad, hanno gentilmente tradotto le domande di ExploreresWeb a Sajid e trasmesso le sue risposte alla testata americana fornendo ulteriori dettagli sugli eventi del 4-5 febbraio. Gli Ahmad sono stati i portavoce dei Sadpara durante la spedizione e quindi possiedono conoscenze adeguate per raccontare la versione di Sajid.
Di seguito, ecco quanto pubblicato ieri da Angela Benavides su ExplorersWeb.
15 gennaio – La spinta nepalese al vertice
John Snorri e Ali Sadpara erano al Campo 2 per il secondo giorno. Avevano in programma di salire al Campo 3, ma previsioni pessimistiche e un forte vento li scoraggiarono dall’andare oltre. Tuttavia, mandarono Sajid a portare dell’attrezzatura al Campo 3.
Sajid raggiunse il Campo 3 inferiore a 7.000 m, dove incontrò Sergi Mingote e Juan Pablo Mohr. Mingote chiese a Sajid: “Ragazzi, non andrete al vertice con i nepalesi? Partiranno domani.”
Snorri e Ali non sapevano nulla dei piani nepalesi e lo scoprirono solo quando Sajid tornò a Campo 2, sotto la Piramide Nera, troppo lontano per unirsi alla spinta.
Quel giorno, Mingote scrisse dal Campo 3 giapponese che “due squadre forti con O2 [quella di Purja e di Mingma G] erano un campo sopra. Con le buone previsioni per domani, potrebbero tentare [la vetta] “, concluse Mingote, ricordando poi di aver visto Sajid, che portava l’attrezzatura di Snorri a C3.
Alla fine, Mingote augurò il meglio alle squadre di Purja e Mingma G.
Mingote non pubblicò altri post. Il 16 gennaio i nepalesi raggiunsero la vetta del K2 e Mingote morì tragicamente durante la sua discesa.
4-5 febbraio – La seconda spinta al vertice
Quasi 40 persone partirono per il K2 all’inizio di febbraio, approfittando dalla breve finestra meteorologica prevista per il 5 del mese. Malgrado le probabilità di raggiungere la vetta fossero basse e il ritiro di alcuni degli alpinisti da Campo 1, una ventina di persone raggiunsero il Campo 3 tra le 15:00 e le 20:00 ca. del 4 febbraio.
Colin O’Brady fu il primo, poi arrivarono i suoi sherpa con la sua tenda, seguiti da Juan Pablo Mohr, che aveva con sè una minuscola tenda per due persone, per sé e Tamara Lunger. Ali Sadpara portò la tenda che avrebbe condiviso con John Snorri e Sajid. A quanto pare, anche uno sherpa portò un’altra tenda.
Snorri e i Sadpara finirono per condividere la loro tenda con almeno altre tre persone, senza potersi sdraiare, cambiarsi, mangiare o sciogliere la neve per l’acqua. Soprattutto, non riuscirono a riposare prima della spinta finale. Per questo motivo, i tre partirono per la vetta più tardi del previsto.
Snorri, il più lento della squadra, partì alle 23:30. Ali, sempre veloce in montagna, lo seguì alle 2 del mattino. Entrambi utilizzarono O2 supplementare – ciascuno trasportava due bombole.
Sajid partì a mezzanotte, due ore prima di suo padre, poiché non utilizzava ossigeno supplementare. Voleva provare a conquistare il vertice senza O2 per il Pakistan, oltre che diventare lo scalatore più giovane a farlo in inverno (Sajid ha cinque anni in meno di Gelje Sherpa, giunto in vetta con il team nepalese tre settimane prima). Tuttavia, portò con sè una bombola di ossigeno per un’eventuale emergenza, più una bombola extra per Snorri.
Lungo la via, incrociò lo sloveno Tomaz Rotar, che stava scendendo; non era riuscito ad attraversare quello che descrisse come un “crepaccio inaccessibile di 2,5 m di larghezza” a circa 7.800 m.
Alla fine, Ali raggiunse Sajid e videro Snorri e Mohr sul bordo del crepaccio. Insieme, saltarono il crepaccio. Sajid è certo che non ci fosse la corda e che il salto fu molto lungo e “abbastanza spaventoso”. Ma non usarono, né fissarono funi.
Dove attraversarono il crepaccio?
Questa è una delle parti più confuse della storia. Sajid ha riferito che loro tre erano al corrente del crepaccio perché i nepalesi ne avevano parlato dopo aver raggiunto la vetta. Tuttavia, Mingma G spiegò che dopo non essere riusciti a trovare un modo per superare questo ostacolo sullo Sperone degli Abruzzi, lui e quelli con lui ritornarono quasi al Campo 3, dove presero una direzione diversa, seguendo – più o meno – la via Cesen. Trovarono un passaggio intorno al crepaccio con una rampa molto ripida sull’altro lato.
Mingma G notò che subito dopo il Campo 3 non c’era la corda, ma la linea attrezzata partiva da 250 a 300 m sopra il Campo. Poi proseguiva sull’intera via fino in vetta. Osservò che il crepaccio era stato attrezzato con una corda fissa.
Snorri, i Sadpara e JP Mohr potrebbero aver preso una via diversa, seguendo lo Sperone degli Abruzzi piuttosto che la Cesen, e quindi attraversare il crepaccio in un punto diverso, lontano dalle corde? Se fosse così, la squadra tornò presto sulla via principale, perché c’erano delle corde sul Collo di Bottiglia, ha detto Sajid, al suo rientro.
Il ritiro di Sajid
Sajid sostiene che mentre salivano, fu colpito da un forte mal di testa. Questo fu il motivo per cui suo padre gli disse di iniziare a usare l’O2 prima di procedere sul Collo di Bottiglia. Erano a 8.200 m ed erano le 10 del mattino. “Il sole splendeva, tutti stavano scalando e si sentivano bene”, secondo il racconto di Sajid.
Ma quando Sajid provò ad usare l’ossigeno, il suo erogatore si ruppe, facendo fuoriuscire l’ossigeno. Ali gli diede una radio e gli disse di tornare e attendere al Campo 3. Già con sintomi di AMS, Sajid ammette di non ricordare bene la discesa. “Verso mezzogiorno, mi ricordo di aver guardato indietro e di aver visto mio padre e gli altri in cima al Collo di Bottiglia, in procinto di iniziare la Traversata, ma non sono più sicuro se fosse reale o se l’ho sognato”, ha affermato .
In qualche modo, attraversò nuovamente il crepaccio. “Sono quasi caduto – ha raccontato Sajid – Ho saltato e solo uno dei miei piedi raggiunse l’altro lato.”
Il giovane pakistano riuscì a tornare in sicurezza al Campo 3 entro le 16 o le 17. “Non so perché ho impiegato così tanto tempo per arrivarci”, ha ammesso.
Fece del tè e contattò il campo base. Alle 19 il tempo peggiorò. Verso le 23, Sajid uscì e cercò di individuare delle luci sulla montagna, quelle di suo padre e degli altri, ma non vide nulla. La mattina seguente, il team dal campo base lo convinse a scendere, per salvarsi la vita.
“Non credo che siano stati male, si sentivano bene”, ha detto Sajid. “Deve essere successo un incidente.”
Bottle neck of K-2.
Boltaro glacier , largest in the world out side poles is visible deep down belowPubblicato da Sajid ali sadpara su Mercoledì 10 febbraio 2021
Ci vogliono circa cinque ore dall’inizio del Collo di Bottiglia alla vetta. Se tutto fosse andato bene, avrebbero potuto raggiungere la vetta entro le 15:00. Tuttavia, la chiamata concordata dalla vetta non è mai arrivata, né dai telefoni satellitari degli alpinisti né dai loro tracker InReach, che possono inviare messaggi SMS.
L’indagine effettuata dopo la scomparsa degli alpinisti ha rilevato che il satphone Thuraya di Snorri avrebbe tentato di fare una chiamata alle 19:00 di quel giorno. Ma come conferma Moirah Ahmad, la società di comunicazioni non è in grado di determinare il luogo da dove è avvenuta la chiamata né il numero che Snorri stava cercando di raggiungere.
Gli ultimi voli di ricognizioni sulla via, con l’aereo che trasportava telecamere a infrarossi, la ricerca via terra di quattro alpinisti del villaggio di Ali e Sajid … non hanno prodotto alcun risultato. Nessuna traccia dei tre scalatori.
Snorri, Sadpara e Mohr sono rimasti sulla montagna, lasciando a noi immaginare cosa possa essere accaduto sul K2. (vai al testo originale)