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11 Luglio 2016

La firma degli zoccoli

Sfogliando le bozze del libro che uscirà a ottobre, mi son capitati alcuni racconti che scrissi anni fa, che ho dovuto scartare. Considerando che questo blog è un angolo di condivisione fra amici, anche se purtroppo unidirezionale, ho pensato a inserirlo qui di seguito… Questo è uno dei tanti “dietro le quinte” possibili…

Non è un gran testo, infatti l’ho scartato senza dubbi, all’istante, ma è un bel ricordo.

asini nella notte

Ancora una volta in parete sotto uno spigolo, ancora una volta con Erne a ridere e scherzare, pur concentrati, mentre dipingiamo una nuova linea su una tela di pietra. Il palcoscenico è la Baiarda, o per meglio dire il complesso del monte Pietralunga e vicina la bastionata della Baiardetta; è la più classica e storica area alpinistica del genovesato, in Liguria.

Nel secolo scorso, per decine di anni, si allenarono su queste pareti generazioni di scalatori, sino al fiorire dell’arrampicata finalese, che le relegò a terreno d’avventura per amanti delle vie classiche in montagna. Dopo una parentesi di abbandono piuttosto approfondita, negli anni ’90, vi fu un breve ritorno grazie all’apporto del “Signore della Baiarda”, Mauro De Cesare.
In un mio vecchio libro cercai di dare un piccolo contributo alla divulgazione segnalando alcune belle scalate in quest’area. Vi furono nuove ripetizioni di importanti vie, ma di linee nuove non vi fu notizia.

E oggi? …Ancora una volta in parete sotto a uno spigolo, con una bella idea in testa e la voglia di realizzarla. Per giungere in questo punto ci sono molti modi e il più bello ed estetico è la via dei Camini. Si sale prima per blocchi e muri sempre più ripidi, sulla Parete delle Clessidre, e si attacca poi l’appoggiato, ma tecnico, Diedro del Tranviere. Si scalano infine una sequenza di diedro-camini rocciosi, su serpentinite, un minerale grigio che per morfologia ricorda appunto i serpenti. Si sbuca quindi sotto il grande diedro Gozzini, il torrione di vetta inciso al suo centro dalla grande spaccatura visibile da tutta la vallata.
La linea di salita corre verticale fino a questo punto e poi si frastaglia. È possibile attaccare a sinistra il citato grande diedro oppure spostarsi a destra sulle storiche vie dello Svizzero e delle Svizzere. Eppure, se si vuole proseguire dritti in verticale, considerando la cosiddetta linea della goccia, non si può che tirare su il naso e notare lo spigolo destro del Gozzini, proprio al centro del torrione.

Vi è una paretina centrale molto friabile definita logicamente “degli Svizzeri” che è stata attaccata più volte con un tratto in artificiale secondo le sue fessure che permettono di proteggere la scalata precaria con sparuti chiodi a secco. Tra quest’ultima e le fessure vi sono scaglie strapiombanti e una placca aerea, senza una conosciuta e chiara via che le solchi. Parliamo a lungo con Erne e sondiamo il campo. La mia idea è semplice: vorrei proseguire dritto per una linea in ottica montagnarda, come il luogo richiede, ma moderna, che sfrutti la placca verticale in prossimità dello spigolo. Vorrei dipingere una via al centro del dedalo di passaggi laterali.
Individuiamo il percorso, lo sondiamo e proteggiamo con i chiodi, ed ecco la genesi di due lunghezze pronte per una scalata armoniosa e aerea.
Ancora una volta in parete e ancora una volta pronto per liberare una via, per percorrerla senza mezzi termini. Con passi in equilibrio attacchiamo il diedro superiore; al suo centro vi sono vari chiodi resinati ossidati e immediatamente a sinistra su uno speroncino i nostri radi fixe inox. Saliamo in direzione del primo ancoraggio sopra ad alcuni blocchi. La linea ripercorre il filo dello sperone prima in verticale, poi verso destra.
Spostiamo gli appoggi da un piede all’altro, senza far cadere il nostro peso, ma adagiandoci sulla pietra come in un ballo. La linea dell’equilibrio scende sempre al centro del nostro corpo, come una bussola umana che ci permette di non perdere la direzione.
Inseguiamo verso destra una sequenza di lame, arrampicando con delicatezza, sino a uno strapiombo caratterizzato da una marcata fessura. Con passaggio aereo e atletico, nel vuoto, proiettiamo la schiena indietro, sporgendo fuori dal tetto, e ci ribaltiamo al di sopra, guadagnando una comoda cengia.

La sosta che abbiamo messo vanta due fixe, cioè due chiodi moderni, a cui è possibile collegare un altro ancoraggio resinato che viene usato di norma solo per il passaggio. Questa cengia infatti è utile a chi vuole raggiungere la citata Fessura dello Svizzero, il bel tiro che, a destra, permette di attaccare la cima. Il nome è riferito al suo primo salitore, Girtanner, è un gioco di parole che richiama alla celebre Fessura degli Svizzeri, la linea di salita che porta sul Gran Capucin, nel gruppo del monte Bianco.
Dalla sosta ci spostiamo a destra, superando un breve muretto protetto da un chiodo, e continuiamo ancora verso destra. Sostanzialmente aggiriamo in senso antiorario la friabile paretina per poi rientrare a sinistra più in alto, in centro placca. Saliamo quindi ancora per un risalto in leggero strapiombo, attenti a qualche lama instabile. Iniziamo una diagonale verso sinistra, su roccia migliore, risalendo in verticale il tratto più aereo del torrione e probabilmente dell’intero complesso. Attacchiamo infine un ultimo strapiombo abbastanza tecnico sino all’uscita dallo sperone: pochi metri di raccordo portano a un passo non protetto che conduce in sosta, vicino alle statuette di vetta.

Avevamo un nome in serbo da tanto per questa linea, che già due volte stavamo per adottare su altre vie. Battezziamo la piccola ascensione “Asini nella notte”; è soltanto una breve salita a due lunghezze, concatenabile con le quattro della via dei Camini, ma per noi resta una nuova avventura.
Sorridiamo anche se il tempo è cupo; ci godiamo il panorama, nuovamente parliamo sereni e rilassati. L’ambiente è quanto mai montagnardo, eppure, appena raggiungiamo il colle, guardando a sud, vediamo la linea di costa e ci troviamo al cospetto di uno sfondo davvero intenso. Siamo proiettati nella dimensione di un mare verticale che unisce l’acqua con il cielo, indistinti.
Il suono sordo dei passi scandisce la nostra discesa, mentre ricordiamo le tante storie di apertura con il ritorno in notturna, inseguiti dagli asini al pascolo nelle vallate limitrofe.
Asini che inseguono muli, ancora una volta in parete.

Christian Roccati
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