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7 Ottobre 2016

La mano e la pietra

dscn0434Lavorare la pietra è un’abilità senza tempo. La pietra, insieme all’acqua, è elemento dell’origine. In un mondo prevalentemente di plastica, l’uomo moderno ha perso progressivamente la bellezza del contatto manuale con la pietra. E’ quindi di una poesia infinita pensare che, ancor oggi, vi siano persone che di quest’archetipica manipolazione hanno fatto il loro mestiere. Ci sono famiglie di mastri pietrai che hanno stampato nel proprio cognome quest’arte antica, tramandata di padre in figlio. La famiglia Losero in Val Grande, per esempio, ci racconta di generazioni di  “losatori” la cui abilità risiedeva appunto nell’individuare i piani scistosi micacei degli ortogneiss di cava locale, dividendoli in “lose” (lastre) con abili manovre da “scalpellino”. Anche i miei avi, nella Valle di Gressoney, esercitavano questa nobile arte. Nel mio cognome è impressa la parola “blatt” che in dialetto alemanno “titsch”, ha il significato di “lastra di pietra” (blattò) – (tachblattò – beola). Un antico albero genealogico, racconta che i miei avi scalpellini costruirono una frazione lungo la strada che sale a Gressoney- Saint-Jean (Greschòney Zer Chilchu). La chiamarono – ed è così tuttora denominata – Blatto. Non ho avuto, nelle generazioni più vicine a me, qualcuno che potesse tramandarmi questa nobile arte. Nel XVIII secolo i miei trisavoli emigrarono nella bassa valle della Dora Baltea Canavesana. La magia del contatto con la pietra è, però, forse impressa nel codice genetico di un individuo e non la si può cancellare. E così, ogni volta che afferro un appiglio o accarezzo una pietra nella scalata, sento un richiamo arcaico e misterioso. Lo stesso che mi conduce al cospetto di pareti da qualcuno ritenute inutili. Forse, è il medesimo richiamo che ogni giorno sentono i miei amici “losatori”.