Le escursioni fotografiche in montagna sono spesso accompagnate da due sensazioni che viaggiano su binari opposti tra le affollate vie dell’animo. Da un lato la speranza e l’immaginazione di incontrare la luce in straordinarie manifestazioni della sua bellezza, dall’altro la consapevolezza che è altrettanto possibile sperimentare il gusto amaro dell’aspettativa disillusa, peraltro sempre ampiamente mitigato dal fatto stesso di essere là fuori a contatto con la natura.
La fotografia mette in moto contemporaneamente cuore e ragione, creatività e logica, parte destra e sinistra del cervello entrambe attivate nella loro pienezza. Anche la pianificazione che precede ogni uscita, il ‘prima’, è attività che coinvolge sia la parte razionale che quella emozionale. Se vi è infatti un attento studio delle condizioni meteorologiche e della loro evoluzione nella scelta del luogo da esplorare, allo stesso tempo il driver principale è l’ispirazione da seguire, l’incontro con la Natura, l’emozione della scoperta.
Ma, come nella vita, è possibile stare seduti a pianificare all’infinito nell’impossibile ricerca di esercitare pieno controllo sugli eventi, consapevole che per raggiungere le proprie vette è invece necessario il coraggio dell’azione, il tuffarsi nella piscina della vita e giocare la propria partita. E questa partita sarà sempre diversa da come l’abbiamo pensata.
Siamo alla fine di un prolungato periodo di bassa pressione che sta pian piano lasciando spazio a condizioni anticicloniche, con un fronte nuvoloso che si sta spostando da ovest a est. Gli ultimi giorni hanno coperto il paesaggio dolomitico d’alta quota con 30-40 cm di neve fresca.
Immerso in una fitta coltre nuvolosa, inizio così la ripida salita che costeggia il fianco meridionale dello Sciliar, in Val di Tires. Il peso dello zaino con fotocamera, obiettivi e treppiede si fa sentire lungo la pendenza costante del sentiero che attraversa il bosco. Più salgo, più diventa scivoloso camminare sulla neve appena caduta, che mostra qua e là fresche impronte di camoscio. Tutt’attorno sempre e solo nuvole, la visibilità sulla vallata sottostante non raggiunge i 20 metri.
Periodicamente lancio lo sguardo verso il cielo nella speranza di cogliere qualche macchia diversa dal bianco compatto, qualche segno di apertura. Confido nella dinamicità del tempo e continuo la salita, pensando che non sto scalando la montagna, bensì le nuvole…
Ed ecco che all’improvviso le guglie del Latemar si mostrano per un istante, quasi subito ricoperte dal manto monocolore delle nubi. Passa un altro pò e tocca alle cime del Catinaccio giocare a nascondino tra i bianchi veli del cielo. Come fosse un preludio al concerto imminente, con i suonatori che accordano gli strumenti, il suono della luce inizia ad echeggiare pian piano ed il cielo si apre come un sipario mostrando uno squarcio di azzurro all’orizzonte.
Nuvole sotto, nuvole sopra, le cime dei lontani gruppi di Brenta, Adamello e Stelvio emergono luminose ed innevate, su di esse onde di nuvole s’infrangono cambiando forma continuamente e danzando tra i raggi di sole. Verso est la magica luce del tramonto dipinge di porpora le nubi sottostanti e di arancione le pareti dolomitiche del Catinaccio. Verso ovest il disco solare incendia il cielo in un tripudio di luci e colori.
Nell’emozione di quei momenti fugaci inquadro da un lato, poi dall’altro, cercando di dar spazio anche alla sfera razionale nella scelta dei parametri d’esposizione e degli accorgimenti tecnici. Ancora il mix di logica e creatività che scorrono insieme a cento all’ora in uno stato di flusso altamente appagante, dove sono tutt’uno con la terra e con il cielo, con la roccia e con le nuvole.