Rieccoli gli “esperti”, i commentatori, inesorabili e puntuali ogni qual volta accade una disgrazia in montagna. Impietosi, appartengono a una categoria piuttosto variegata e trasversale che va dall’omino della strada, all’alpinista che se va bene ha preso una volta nelle vita due piccozze in mano, al giornalista, al professionista, al blogger. “Non dovevano essere lì…”, “le temperature erano troppo alte”, “E’ stata una scelta azzardata”, “Non bisogna rischiare in quel modo“… Gianni Comino, guida alpina e fuoriclasse indiscusso sul ghiaccio, morì sfidando in solitaria la seraccata della Poire, l’amico e guida alpina Ezio Cavallo, pioniere dell’ice-climbing, precipitò a Bard per il rialzo delle temperature su una cascata di bassa quota, Gian Carlo Grassi, maestro di tutti noi, fu tradito dalle temperature alte, gli amici Mauro, Diego, Angelo, furono spazzati via da una slavina alla Grand Hoche, pericolo piuttosto individuabile dal basso per via delle cornici da accumulo. Eppure erano molto esperti. Chi accetta di misurarsi con il ghiaccio verticale e con l’alpinismo in generale, accetta appieno e in modo incondizionato tutte le regole del gioco, compresa la possibilità di morire. E’ una scelta individuale, libera, dove il confine tra il rischio eccessivo e quello ponderabile è spesso poco definito. I commenti, di qualsiasi tipo, sono chiacchiere inutili. Finché in quest’attività saremo liberi di scegliere se oltrepassare quel confine oppure no, i morti meritano una sola cosa, silenzio e rispetto.