Nella foto che lo ritrae, mostrata dal fotografo australiano Keith Wilson, ha lo sguardo triste di chi porta su di sé la solitudine di una specie in via di estinzione. Ma non ci sono solo lui e gli elefanti africani, uccisi nella misura di uno ogni 15 minuti per trarre avorio e che tra 20 anni saranno scomparsi; tra gli animali a rischio di scomparire definitivamente ci sono anche microscopici insetti o le rane di una sperduta valle andina raccontate dal fotografo naturalista Emanuele Biggi nei suoi straordinari scatti. D’altra parte, negli ultimi 40 anni si sono estinte la metà delle specie selvatiche presenti sulla terra.
Siamo a Budoia, in provincia di Pordenone, al Bio Photo Festival. Qui dal 21 al 24 settembre si è tenuto un piccolo ma grande festival, unico nel suo genere in Italia, dedicato alla fotografia naturalistica. Giunta alla sua quarta edizione, la manifestazione ideata dall’editore Daniele Marson e dalla compagna Diana Crestan è un’occasione per entrare nella natura selvaggia da un punto di vista inusuale: quello di chi la guarda attraverso l’obiettivo.
All’interno del festival, che offre ai suoi visitatori conferenze e incontri ma anche uno spazio espositivo per le strumentazioni dedicato agli addetti del settore, vive Bio Photo Contest: un premio di foto naturalistica molto particolare perché, come spiega bene la Presidente Diana Crestan, è dedicato ogni anno a un bioma diverso. Un modo nuovo di proporre un concorso di fotografia naturalistica, ma soprattutto un invito ai fotografi a cimentarsi con l’ambiente e a conoscerlo prima di viverlo e raccontarlo attraverso le immagini.
Ecco perché tra foreste di conifere, aurore boreali su boschi innevati, renne e civette, si crea uno spazio molto ampio ben rappresentato dalle oltre duecento foto esposte.
Per i profani come me il festival è soprattutto un’occasione preziosa per incontrare queste curiose e incredibili persone che sono i fotografi naturalisti. Perché se è vero che dietro uno scatto di geometrie di libellule ci possono essere 2 anni di lavoro e di attesa, è vero anche che per fotografare una foca appena nata o un’orsa polare che allatta i suoi cuccioli ci possono volere ore passate a -30 gradi.
È proprio da Bosbomm che portiamo a casa uno dei più grandi insegnamenti di questi tre giorni friulani: dopo oltre 30 viaggi nella wilderness estrema dell’Islanda, il fotografo olandese si è cimentato in una sfida ancora più grande: raccontare la natura selvaggia nell’industrializzata Olanda. Ne sono usciti scatti affascinanti, viaggi di foglie autunnali nell’acqua, geometrie di ghiaccio, dettagli della natura che sotto lo sguardo del fotografo diventano quasi pitture astratte.
L’invito è chiaro: provare a cercare la wilderness dove siamo, coltivarla nel quotidiano. E poi certo, quando non basta partire per il prossimo viaggio.