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28 Marzo 2025

Della Bordella: ciò che non è ancora stato detto, intervista di Roccati

Una volta ancora Patagonia, una volta ancora con un gruppo, tra Argentina e Cile, e poi nuovamente Argentina. Chissà se Matteo è qui? Sempre pronto per nuove avventure. Mando un messaggio e scopro che in effetti è ai piedi del Grido di Pietra e in breve ci accordiamo per una cena ed è subito magia. Come sempre l’esploratore e straordinario alpinista Della Bordella, è prima di tutto Matteo, il ragazzo della porta accanto, una persona con un cuore grande come il fungo del Torre e altrettanto candido.

Ci siamo visti più volte a El Chalten che in Italia, eppure, come ognuna di esse, sembra di trovarci a casa, non solo per la bellezza del luogo, ma anche e soprattutto per il calore che Matteo esprime; accogliente, sensibile, una persona davvero squisita. Tra un bicchiere e un piatto, Matteo ci racconta della salita che sta per ultimare… Ci sentiamo pochi giorni dopo e tutto è compiuto; le interviste si avvicendano e così non può che scattare la prima domanda, quella ovvia…  e poi tutte le altre.

Ciao Matteo, mi piacerebbe capire qualcosa in più di questa incredibile esperienza. E’ già stato detto tutto?
Nelle interviste e negli articoli pubblicati della via al Piergiorgio è stato raccontato parecchio… però sicuramente non tutto.

Cosa pensi a pelle di questa ascensione memorabile?
Per me il Piergiorgio nel complesso è stata un’esperienza super positiva da tanti punti di vista: il luogo che è incredibile e dove si trova molta meno gente rispetto alle zona del Cerro Torre e del Fitz Roy, penso che in tutta la valle del Piergiorgio ci siano ancora tantissime linee belle da aprire soprattutto sulle altre pareti della zona, per cui da questo punto di vista molto molto più affascinante come zona delle altre raggiungibili da El Chalten, pensa che in tredici anni ero stato solo una volta a scalare in questa valle prima…

Ci sono altre cose che davvero ti hanno toccato?
Un’altra cosa particolare del Piergiorgio è stato lo stile di scalata che è totalmente diverso dalle altre pareti. Qui non si seguono le fessure, ma si scala in parete aperta, cercando di unire improbabili sequenze di tacche e lame. Guardando da sotto la parete, sembra sia follia salire da li senza spit, invece pian piano gli appigli si svelano sotto le tue dita man mano che sali. E’ impressionante quanto coraggio, esperienza e bravura abbiano avuto Maurizio Giordani e Luca Maspes 30 anni fa quando hanno individuato e salito al 80% Gringos Locos perchè essere i primi a salire da li, senza sapere a cosa vai incontro è chiaramente molto piu’ difficile.

E’ la salita più difficile o più impegnativa per te?
Sempre parlando di difficoltà penso che questa rientri senza dubbio nella top 5 delle mie vie più impegnative mai fatte in Patagonia, ma certamente non è la più difficile, se paragono Gringos locos a Brothers in arms mi rendo conto che quest’ultima sia senza dubbio più impegnative sia tecnicamente, che fisicamente, ma anche psicologicamente per i pericoli oggettivi che ci sono sul Torre e che invece sono molto più contenuti sul Piergiorgio. Ogni via comunque è unica nel suo genere e il bello di Gringos Locos è proprio l’arrampicata difficile ed esposta e la roccia incredibile.

Qual è la cosa più entusiasmante di questa salita?
La cosa più bella e più importante della via è senza dubbio come praticamente sempre succede, l’esperienza vissuta con i miei compagni Dario e Mirco. Dario, classe 2000 Accademico del CAI e aspirante guida alpina è esattamente la tipologia di persona ed alpinista che avevo in mente quando ho immaginato il progetto CAI Eagle Team: un ragazzo super serio, umile e con tanta voglia di imparare cose nuove, ma allo stesso tempo con un talento enorme, sicuramente sentiremo molto parlare di lui negli anni a venire. Mirco è stata veramente un bellissima sorpresa invece, classe 1993 e anch’egli Accademico del CAI. Mirco ed io ci conoscevamo già ed abbiamo tanti amici comuni, ma prima di quest’anno non avevamo mai scalato assieme. Ci siamo legati per la prima volta assieme sulla Poincenot ad inizio gennaio, quindi ancora sull’Aguja di Val Biois ed infine al Piergiorgio. La sua aggiunta al team non era pianificata prima di partire ma è stata la chiave di volta del successo, soprattutto perchè quest’anno la meteo non è stata certo eccezionale, ma nessuno di noi tre si è mai lasciato abbattere, ci abbiamo creduto in questa via fino in fondo ed è stato grazie ad un enorme lavoro di squadra se l’abbiamo completata.

Tu hai una cosa splendida che forse è un po’ il culto dell’amicizia. Se avessi “il Berna” con te, cosa pensi direbbe di questa salita? Ripensi mai a lui nel momento che sei in parete?
Berna mi aveva parlato un sacco di questa parete, perché l’aveva tentata nel 2007 insieme a Ongaro, Barmasse e Brenna. Ai tempi dei suoi racconti io ero un ragazzino e tante cose che mi diceva, faticavo a immaginarmele, poi quando mi sono ritrovato sotto il Piergiorgio mi sono venute in mente tante delle sue parole: mi diceva sempre che la linea di “Gringos locos” a suo avviso era la più bella e che se mai fosse tornato, sarebbe andato lì per salire quella. Non avevamo mai pianificato questa salita assieme, né onestamente i muri verticali e le placche erano il suo genere di scalata, però so quanto il Piergiorgio sia stata una parete importante per lui e perciò era impossibile non pensare alle sue parole. Penso ci avrebbe fatto i complimenti più sinceri e si sarebbe bevuto diverse birre per festeggiare.

Parli mai col tuo amico Fabio Palma di queste avventure incredibili una dopo l’altra? Cosa ti ha detto di questa e delle precedenti?
Fabio ha preso una strada ormai totalmente diversa dalla mia, si è dedicato ad allenare giovani talenti dell’arrampicata sportiva e lo fa in modo molto serio, come testimoniano i traguardi raggiunti. Ogni tanto ci sentiamo e ricordiamo i “vecchi tempi” del Wenden e delle vie assieme. Penso che queste grandi salite in Patagonia per me siano in qualche modo figlie di quel periodo folle del Wenden, che ha da un lato formato il mio carattere e dall’altro mi ha dato tanta esperienza e tanto autocontrollo sul genere di scalata in placca con protezioni distanti.

Anche se sei al contempo un uomo calcolatore/veterano e un “ragazzo” iper entusiasta, hai una famiglia. Come concili queste spedizioni con la vita famigliare? Ti mancano Arianna e Lio? Riesci a sentirli mentre sei via?
Per fortuna ogni tanto, come in Patagonia, riesco a portarli con me… fino al paese di El Chalten ovviamente, non sotto le montagne! Questo aspetto del condividere il viaggio rende l’esperienza ancora più ricca per tutto quel processo di scoperta che posso vedere nei miei figli ed inoltre, mi fa sentire come a casa, infatti definisco la Patagonia proprio come la mia seconda casa. A volte però come in Groenlandia non è possibile che loro mi seguano e certamente mi manca un sacco la mia famiglia ed il momento in cui ritorno a casa è sempre uno dei più belli dell’intera esperienza

Come spiegherai cosa fa papà a Lio?
Spero che aldilà delle mie parole, siano le esperienze che ha vissuto a spiegargli cosa faccio e a fargli capire nella vita quanto sia importante seguire una passione e dare il massimo per realizzare i propri sogni.

Se seguisse le tue orme, saresti contento?
Sarei più contento se trovasse la sua personale strada da seguire, unica ed originale, ma se volesse seguire le mie orme certamente non mi dispiacerebbe.

Hai già nuovi progetti in Patagonia?
Sì, fin troppi…devo solo scegliere quello su cui concentrarmi in futuro!

Riesci a spiegare cosa sia El Chalten a uno scalatori che non ha idea di quale universo ci sia qui? La sua atmosfera, cosa rappresenta, cosa si vive.
El Chalten è il luogo dove gli amanti della montagna si uniscono e festeggiano questa grande passione in svariati modi: quando è bello si va in montagna ovviamente, ma anche quando è brutto tempo non mancano certo le cose da fare, ci si conosce, si va a scalare in falesia, si fa festa, si parla e si discute di tutto, si abbattono le barriere sociali e si è tutti simili, accomunati dalla voglia di vivere avventure all’ombra delle più belle montagne del mondo

Tuo papà era uno scalatore vero, uno con la montagna dentro. Cosa reputi penserebbe di questa incredibile esperienza che è la tua vita?
Io penso e spero che sarebbe fiero di me e soprattutto della mia famiglia. La cosa che davvero mi manca ancora oggi è quella di non avergli mai potuto fargli conoscere la mia famiglia ed i miei figli, penso sarebbe stato un ottimo nonno.

Qual è il più bel passaggio di questa superba via?
Il primo tiro, il più esposto e pericoloso, con potenziale caduta a terra e poi l’ultimo, alle 3 di notte, congelati in cima, senza neanche aver realizzato tutto quello che avevamo fatto e col pensiero rivolto solo alla discesa.

Christian Roccati
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