Gli uomini sono buoni coi morti quasi quanto son cattivi coi vivi.
Questa foto del 28 febbraio del 1967, che mi ritrae fuori dal negozio di Courmayeur con un nostro commesso, riattiva lontani ricordi. Ho i pantaloni corti ma in quel periodo a Courmayeur faceva un caldo anomalo. Si respirava aria di primavera anticipata. In quel giorno la Strada Regionale di fronte al nostro emporio era semi-deserta e ciò quasi strideva con l’immagine che avevo avuto negli occhi la settimana prima: la via bloccata, presidiata da una folla muta di courmayeuren e villeggianti, increduli e in lacrime. La salma della grande guida e maestro di sci Gigi Panei, perito sotto un’“anomala” valanga con un suo atleta, giungeva con la Funivia del Checrouit ed era caricata su una Renault bianca. Io non ho memoria dell’episodio in sé perché ero troppo piccolo, ma quella folla inconsueta ed enorme davanti a casa mi è rimasta impressa come una fotografia. In quei giorni tutti piansero a Courmayeur, guide, abitanti e villeggianti. Come spesso era capitato altre volte in paese. Piangevano i miei zii, si commuoveva mia madre, piangevano il Dottor Bassi e il parroco Pession. Pochi giorni dopo – ricorda mia zia – un ragazzo ventenne inesperto e con scarpe inadatte cadde dalle rocce dello Chetif. Ancora una volta l’intera comunità si strinse intorno al defunto e asi suoi parenti, anche se non era un grande alpinista o una grande guida, anche se la morte era frutto di un’imprudenza. Si piangeva e ci si commuoveva perché allora eravamo “montanari”, non importa se nati in montagna, residenti, villeggianti o di passaggio. Una morte è comunque tale, e il fatto che capitasse tra le nostre amate montagne toccava e segnava ancora di più. Oggi, anche di fronte agli incidenti e addirittura ai morti in montagna, certamente in aumento, trovo deprimente leggere decine di commenti del tipo: “Io li lascerei crepare lì”, oppure “Dispiace, ma se la sono cercata”, o ancora “Da irresponsabili morire così” (!). Una morbosa ricerca della “colpa” che non si ferma nemmeno di fronte alle tragedie. Sì, un tempo eravamo solo dei “montanari”, semplici, ingenui, con il senso della e della solidarietà per chiunque. Senso etico? Non so, non avevamo certo letto Kant ma, in coscienza, era la cosa più naturale del mondo.