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L’Himalaya e il Karakorum possono essere un sogno ma anche il palcoscenico del dramma. Il K2, in particolare, è una montagna bellissima, un’immane piramide di roccia dalla forma perfetta che sembra salire a toccare il cielo. Un unicum, nel panorama mondiale delle altissime terre del pianeta. Difficile, per un alpinista che l’abbia visto almeno una volta nella vita, non progettare – sempre che possieda le capacità tecniche e l’energia necessaria – una scalata sulle sue pendici. Di sicuro il “Chogorì” (così i Baltì chiamano la gigantesca montagna che sorge nella regione dell’alto Baltoro) doveva aver rapito anche la mente di quanti erano arrivati al campo base ai piedi del suo versante pakistano, nella primavera-estate del 1986. Erano in tanti, quella volta a volerlo scalare. Chi per lo Sperone degli Abruzzi, su cui si sviluppa la via normale di salita, chi per una via nuova. Tra le tende raggruppate sul ghiacciaio Godwin Austen, alla base della seconda montagna più alta della Terra, si aggiravano italiani, francesi, spagnoli, americani, polacchi, tedeschi, coreani. Grandissimi nomi dell’alpinismo e personaggi poco noti, tutti accomunati dalla stessa passione. Ma prima il tempo, poi una grande valanga, e infine una bufera che pareva non voler finire mai portarono morte e distruzione sui fianchi del K2. “K2, sogno e destino”, di Kurt Diemberger, è una vivida testimonianza di quella tremenda esperienza, che vide la scomparsa di ben 13 alpinisti nel giro di poche settimane. In quell’occasione, lo stesso Kurt se la cavò per il rotto della cuffia. Perse però la sua compagna di cordata, bloccata dal maltempo sulla Spalla della montagna, e molti cari amici. Il video non si limita a raccontare i fatti, ma cerca anche di far luce sui motivi e sugli errori degli alpinisti in alcuni momenti del loro “assedio” al K2.
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