Guardo il nuovo volume di Marco Confortola e sorrido.
Per una volta, dopo tanto tempo, mi sembra di trovarmi nuovamente alla tavola di mio zio, come quando ero “bocia” e ascoltavo i discorsi degli adulti: montanari alpinisti, cacciatori, fungaioli, esploratori. Respiravo tutta quella magia antica, quel rispetto immenso per la Madre Terra e stavo bene.
Provai la medesima sensazione immergendomi nei primi libri di Mauro Corona; erano grezzi ed eleganti, duri e istintivi, cinici e sognanti, con quel pizzico di retorica che Guccini nel suo Addio, definiva il parlare dei «saggi ignoranti di montagna, che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia».
Oltre la Cima, questo il titolo del volume e la domanda sorge spontanea, come se avessi Marco qui di fronte: che cosa si trova al di là di quel punto? È questo ciò di cui mi vuoi parlare? O forse il titolo vuol dire altro? Forse vuoi raccontarmi che scalare, ascendere, camminare, non significa solo dirigersi verso una X immaginaria, dal punto A al punto B, dove pianterai la tua bandierina? Forse suggerisci che per comprendere davvero questa dimensione, bisogna andare un poco più in là con la mente.
Si tratta solo di arrivare in vetta o c’è in realtà molto, ma molto di più?
Confortola è un grande alpinista, lo sappiamo, ma è prima di tutto una di quelle anime definite da lui stesso come i “custodi della montagna” e in questo volume si mette a nudo; è molto più di un diario o una confessione, è un pezzetto di esistenza vissuto insieme.
«Tutto è cambiamento», questa la prima frase che stende su carta, e con la stessa, dona al lettore una chiave interpretativa del libro: apre la porta della propria anima a chi voglia essere suo compagno di avventura, anche solo per duecento pagine su una vita intera.
Nei due capitoli iniziali, ci ritroviamo nella sua “casa” e ci è permesso sentirne i rumori, gli odori, visualizzarne i sorrisi; potremmo quasi entrare nel bar di paese e ordinare “il solito”, «come se amici fossimo sempre stati», citando nuovamente “il Francesco”.
Le tematiche affrontate però, sono davvero ampie e non solo un sortilegio ancestrale che c’incanta e porta nelle vallate del Gran Zebrù. Non solo stiamo vivendo un inverno “antico” alla Mario Rigoni Stern, lontano e al contempo attuale, ma siamo anche proiettati in una meta-macchina del tempo. Marco affronta contemporaneamente le modifiche della sua stessa esistenza, il suo corpo che varia per il trascorrere degli anni e per gli eventi affrontati, e il teatro delle montagne che muta, perché esse sono soggette ai cambiamenti climatici, all’impatto antropico, e alle conseguenze dell’evoluzione della tecnologia.
La sua analisi però non si arresta ancora e corre come i suoi sci sulla neve, ponendo l’accento sul cambiamento stesso in quanto tale. Esso contagia ogni cosa che esiste, dal macro, l’universo e le concezioni metafisiche, pur con linguaggio divulgativo e con esempi pratici, al micro, il minuto di ognuno di noi. Ripenso a Jonathan Swift e alla terza parte de I Viaggi di Gulliver, in cui si nominano gli immortali chiamati Struldbrugs, che condannati a vivere in eterno, alla fine saranno isolati da un mondo che va sempre avanti e non aspetta nessuno.
Confortola nel suo stesso libro è giocatore e pedina. Comprende il progresso, ma anche la nostalgia di un mondo che sembrava infinito, eterno, unico, in cui giusto e sbagliato erano ovvi, e che a sua volta aveva nostalgia di epoche remote. La dimensione attuale non cambia proporzionalmente, ma è soggetta al mutare esponenziale del tutto, probabilmente diretta verso la sesta estinzione di massa.
Marco però non smette mai di sognare e di aver rispetto… Non è un cinico arreso alla mera materialità, il suo raziocinio lo porta a migliorare il Pianeta attorno a sé, a scommettere ancora e ancora sulle sue avventure, calibrando bene i suoi rischi, puntando al sole, ma con la testa sul collo e senza ali di cera. Spesso ci appare come un fanciullo ancora in grado di stupirsi, il ragazzo della porta accanto che prova a salvare vite mentre fa il soccorritore, a migliorare altre esistenze col suo modo d’essere guida, e a provare vera passione e amore, restando sempre prima di tutto marito e padre.
Ricordo ancora quando lo incontrai la prima volta, parecchi anni fa: dovevo intervistarlo per la manifestazione di sostenibilità e beneficienza, Finale for Nepal, organizzata dall’amico comune Carlo Mamberto. Marco si pose con me, con lo stesso saluto che mi rivolge ora, dopo tanti anni. Mancavano ore all’intervista e chiacchierammo del più e del meno, di fronte a una birra, e mi resi conto di quanto realmente era interessato alla causa. Molti alpinisti utilizzano certi concetti per marketing: per lui era tutto semplicemente vero, mentre sfumacchiava un sigaro, nella breve pausa tra due spedizioni.
Le pagine continuano a svolazzare alla brezza del deserto e le parole trovano il loro posto nella mia mente… Durante l’anno, per mestiere, sono spesso sulle montagne himalayane, ma in questo momento mi trovo dalla parte opposta del mondo, nei vulcani cileni oltre l’Atacama. Le righe si susseguono e io sono di colpo trasportato al cospetto degli 8000 con nostalgia. Comprendo i progetti, le rinunce, il freddo, il caldo, la sete, la paura, il desiderio di rivalsa, la frustrazione… Anzi percepisco le frustrazioni: quelle di un mondo fatto di persone che giudicano dal divano o che pensano realmente che le montagne si possano comprare, come se fosse mai stato vero che basta pagare per salire o che sia ovvio e scontato trascorrere mesi lontano da casa, rischiando la vita, “tanto lo hai deciso tu, mica te lo ha ordinato il medico”.
Il libro tocca direttamente e indirettamente molti fra questi temi, che per alcuni sono gossip o lontani topic, mentre per altri sono vita, motivo di lavoro, sussistenza, speranza.
Gli scrittori possono essere tante cose: lui è coraggioso.
Parla dei suoi piedi a cui mancano le dita, delle vie di salita in alto e della quota, delle difficoltà e del terrore. Affronta il tema del ritorno del lupo, tocca la sensibilità di chi ama la natura endemica e selvaggia, ma evidenzia anche le problematiche che devono affrontare gli allevatori. Lancia provocazioni legittime a chi parla come un leone dal solito e comodo sofà, ma evidenzia anche la necessità di un mondo genuino che si sta perdendo. Cita la manipolazione dell’essere umano, anche se usa il vocabolo “reintroduzione”, quando oramai è noto che non c’è stata alcuna reintroduzione del lupo, si tratta di un’espansione naturale di animali autoctoni, nel loro territorio. Ma quale impatto hanno? Sono pochi? Sono tanti? Quali vantaggi? Quali svantaggi? A discapito di chi? Le persone comprendono cosa sta accadendo e cosa ne pensa chi vive nelle vallate?
Marco si espone, dà il suo parere personale su un argomento che incendia molti animi e questo lo può esporre soltanto a critiche… eppure non si nasconde, non cavalca la moda: dice ciò che pensa, prova a comprendere ogni parere e afferma con consapevolezza che probabilmente questo lo metterà nei guai, ma pazienza.
Affronta il tema della fusione delle nevi, prova a spiegare con metodo divulgativo ciò che i suoi occhi hanno visto e ciò di cui parlano le più grandi eminenze, come Claudio Smiraglia. Il mondi del “comblotto” e del “negazionismo” sono sempre in agguato, ma Marco è uno dei custodi della montagna, e questo fa parte della sua “missione”.
Il racconto continua: descrive i suoi tentativi agli 8000. Quelli andati bene, per aver raggiunto la vetta o per esser tornato a casa integro, e quelli andati male. Descrive i suoi tentativi appunto, qualunque esito abbiano avuto e il perché, cioè la sua vita, il suo progettare e realizzare, non il suo vincere o aver ragione a ogni costo; queste due tematiche infatti, non rientrano nemmeno nella narrazione. Al centro vi sono le avventure, le persone, gli affetti, i sogni, il rispetto, l’etica, la vita.
Leggo l’ultima pagina di questa cronaca di pensieri e poso il libro. La mia frontale illumina il velo della tenda che si è congelato internamente ed è pieno di sabbia al di fuori, nell’oscuro mondo esterno. Chiudo gli occhi e mi chiedo: cosa ci sia dopo.
Come andrà avanti questa storia? Cosa farà Confortola arrivato a questo punto? Che ne sarà della sua vita e dei suoi 8000? Cosa accadrà alla storia del mondo, all’esistenza umana? Quale sarà il prossimo cambiamento? Cosa deciderà di fare Marco ora?
Non posso che domandarmi: cosa ci sia oltre la cima?