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22 Maggio 2024

Ambiente e Territorio · Alpi Centrali · Alpi Occidentali · Alpi Orientali · Appennini · Aree Montane

Orsi, lupi o uomini? Nelle nostre montagne ci sono gli spazi per una convivenza con i grandi carnivori?

Lupo alpino ©Vittorino Mason

Risponde Davide Berton, coordinatore del Gruppo Grandi Carnivori del Club Alpino Italiano

Contributo di Vittorino Mason

Negli ultimi vent’anni si è assistito a un graduale e continuo ritorno dei grandi carnivori nelle montagne italiane, specie quelle del nord Italia che fruiscono dei corridoi naturali con le vicine e confinanti montagne di Svizzera, Francia, Austria e Slovenia.
Lupi, orsi, sciacalli dorati, linci, ma anche lontre e castori sono ormai parte del territorio montano e non solo. Se da una parte la presenza di questi animali può destare stupore e meraviglia, come a richiamo di un antico e ancestrale rapporto con il mondo selvaggio della natura, ispirando rimandi di bellezza nostalgica e pagine di Jack London, dall’altra queste presenze preoccupano e destabilizzano gli “equilibri” moderni del vivere la montagna.

È innegabile che la vista di un orso, di un lupo o di una lince, non può che far piacere all’occhio e all’animo di una persona sensibile, specie se fotografo naturalista, ma la presenza dei grandi carnivori sta causando anche molti problemi e conflitti d’interesse. La fame e la ricerca di cibo inducono questi grandi carnivori a perlustrare paesi e borgate di montagna provocando paura nella popolazione, mentre nella stagione dell’alpeggio diventano quasi una calamità per allevatori e pastori che lamentano attacchi di lupi e orsi. Non passa settimana che qualcuno non denunci la perdita di un capo di bestiame sbranato da questi predatori, ma poi ci sono gli attacchi, per fortuna rari, alle persone. L’ultimo, in ordine di cronaca, mortale, quello dell’aprile dello scorso anno nella quale fu coinvolto un giovane trentino che correva in Val di Sole.

Così la paura aumenta e sembra che l’unico pericolo per l’uomo siano gli orsi e i lupi, quando invece dovrebbe preoccuparsi di ben altro. Sembra un paradosso: non abbiamo paura di sfrecciare a ad alta velocità con una moto o un’auto, ma la presenza di un lupo o di un orso ci terrorizza a morte al punto da volerli sterminare tutti dimenticando che loro, il lupo, l’orso e la lince, nelle nostre montagne c’erano già molti anni fa.

Orso. ©Vittorino Mason

Nel frattempo si sono formati due schieramenti opposti: chi è per l’abbattimento di orsi e lupi, a prescindere che siano o meno problematici, e chi si schiera apertamente a favore degli animali, ad esempio gli animalisti integralisti che difendono il loro diritto ad esistere a dispetto dell’uomo.
È chiaro che la convivenza con gli animali predatori è molto difficile perché l’uomo parte dal presupposto di sentirsi padrone dell’universo e al di sopra di tutte le leggi. È lui stesso il facitore delle regole e tutto deve girare attorno ai suoi bisogni. Gli animali sono subordinati all’uomo. Se danno fastidio gli eliminiamo, se ci fanno piacere li teniamo (vedi cani e gatti, ad esempio…).

Si pone così anche il problema etico e morale su chi abbia il diritto di abitare e vivere il pianeta Terra. Se l’uomo possa prevaricare su tutto e tutti, se abbia il diritto a difendersi e difendere la sua proprietà, se come paese abbiamo abbastanza spazi naturali per ospitare gli animali selvatici, come invece possono vantare la Slovenia e soprattutto la Romania, domandarci se il ritorno dei grandi carnivori sia solo un problema oppure rappresentare anche un’opportunità e se è vero, come diceva lo scrittore Edward Hoagland, che “Una montagna con sopra un lupo è una montagna più alta”. Infine, chiederci se vogliamo gli animali solo negli zoo, chiusi in gabbia, buoni solo per un selfie o se invece è preferibile che ci sia anche una fauna selvatica ad arricchire di bellezza e sogno le nostre vite.

Leggi e regolamenti non aiutano, dibattiti e incontri per cercare intese, invece di trovare comuni denominatori e punti d’incontro, portano spesso allo scontro lasciando il problema irrisolto. Non si riesce a giungere ad una decisione condivisa che tuteli la vita e il lavoro in montagna, ma allo stesso tempo anche il diritto ad esistere di questi grandi carnivori.

Per conoscere più a fondo la situazione dei grandi carnivori nel nostro Paese, ma soprattutto per affrontare tematiche poco o per niente discusse, abbiamo pensato di interpellato Davide Berton, colui che è stato tra i promotori del Gruppo Grandi Carnivori CAI e del quale è il coordinatore nazionale.

L’intervista

Davide Berton. Foto archivio personale

Davide, com’è nato il Gruppo Grandi Carnivori del CAI?
Il gruppo è nato dalla base, attraverso l’azione di un nucleo di soci appassionati e competenti che già da tempo seguivano lo svilupparsi della questione nel territorio.
Nel 2015, al momento dell’adesione del CAI come supporter al progetto LIFE wolfalps si è pensato concretamente di creare una realtà solida e strutturata all’interno del Sodalizio che potesse lavorare su questi delicati temi e dare il proprio contributo al difficile percorso che il ritorno dei grandi carnivori ci ha messo davanti. Non si è voluto concedere solo un logo, un simbolo a sostegno di un progetto, ma un vero supporto attivo, costruttivo, autonomo e se necessario critico all’azione del progetto stesso.
Nel 2017, dopo innumerevoli attività svolte e crescente interesse all’interno del CAI il gruppo è stato istituzionalizzato durante l’assemblea dei delegati di Napoli.

Qual è la posizione del CAI rispetto al ritorno dei grandi carnivori?
La posizione del CAI è molto articolata ma in sostanza è una visione moderata che mira a trovare un punto di equilibrio tra interessi umani e la necessaria tutela e salvaguardia di specie fondamentali e particolarmente protette dalle normative esistenti.
Nel dettaglio il cuore della posizione ufficiale del CAI su questi temi è il passaggio presente nel documento di riferimento (delibera del CC n. 45 del 22 ottobre 2016):
“…Il Club Alpino Italiano valuta con favore il ritorno dei grandi carnivori in Italia, coerentemente con quanto sancito nell’articolo 1 del proprio statuto (…. la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale).
Considerando possibile la convivenza dell’uomo con i grandi carnivori, auspica il loro stabile insediamento e la ricostituzione di popolazioni vitali e socialmente accettate, in grado d’interagire compiutamente con le altre componenti eco-sistemiche anche nel rispetto delle attività agro-silvo- pastorali tradizionali…”
Importante il passaggio dove viene esplicitato “popolazioni vitali e socialmente accettate” che sta ad indicare che il CAI lavora perché siano salvaguardate le popolazioni delle varie specie – come da normative vigenti – e che queste siano in buona salute, capaci di autosostenersi nel tempo e nell’ambiente naturale dove esse vivono compiendo appieno il proprio ciclo biologico.
Detto questo risulta di pari importanza che le stesse popolazioni di selvatici insediate nell’ambiente naturale italiano siano socialmente accettate da chi vive e lavora in montagna e quindi che la contrapposizione sociale oggi sempre più esplosiva possa essere -con azioni serie e pragmatiche su vari ambiti (informazione laica, ricerca scientifica, prevenzione e rimborsi dei danni, gestione) – tenuta a livelli che permettano un equilibrio e davvero una possibile coesistenza.

Quello del Gruppo Grandi Carnivori Cai è solo una rappresentanza da salotto oppure siete impegnati concretamente sul campo per diffondere e difendere il diritto dei grandi carnivori ad avere uno spazio e un ruolo nell’ecosistema?
Bisogna essere onesti sino in fondo un po’ “da salotto” rimarremmo sempre perché non veniamo profondamente toccati nei nostri interessi economici personali. Detto questo noi del CAI ci spendiamo in modo notevole, mettendoci la faccia e molto tempo libero, partecipando direttamente nelle occasioni in cui siamo invitati o chiamati in causa collaborando convintamente ed attivamente perché possa esserci un futuro dove esista un equilibrio tra fauna selvatica ed attività umane, ma per quanto si faccia e si cerchi di essere pragmatici il percorso è in salita. Non rimaniamo certamente dietro le quinte ma cerchiamo di organizzare incontri formativi e divulgativi, mostre per i nostri soci; partecipiamo a convegni e tavole rotonde, usciamo con comunicati stampa che affrontano le tematiche più calde, partecipiamo e collaboriamo con ricercatori e tecnici attraverso monitoraggi e censimenti in pieno spirito di volontariato. Inoltre dove possiamo ci mettiamo anche il lavoro manuale, aiutando gli allevatori che ne fanno richiesta (all’ente preposto…non al CAI) per costruire recinti anti predazione fissi e mobili e ricerca capi dispersi.

Lince in inverno ©Vittorino Mason

Lince a caccia ©Vittorino Mason

Quali sono i fattori che hanno contribuito al ritorno dei grandi carnivori?
È un processo lento, facilmente intuibile ma che a volte sfugge ai più.
Nella seconda metà del ‘900 la presenza e la pressione dell’uomo nei territori montani rallentò di molto e spesso si interruppe bruscamente (soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale). Importanti trasformazioni economiche e sociali portarono a grandi fenomeni di migrazione con flussi di persone verso le vicine pianure, le grandi città e anche oltreoceano, in conseguenza di un nuovo modello di sviluppo economico, prodotto dall’industria emergente e dal tramonto dell’agricoltura tradizionale di montagna.
La diminuzione della pressione antropica innescò un rapido processo di inselvatichimento degli habitat fino ad allora legati alle attività di sfruttamento. Tutto ciò determinò il ricostituirsi di importanti corridoi ecologici per lo scambio e il passaggio della fauna ed una decisa ripresa demografica e territoriale delle popolazioni di selvatici, in particolare di ungulati e successivamente dei loro predatori naturali.
Questo processo è stato favorito da alcuni ulteriori eventi decisivi come la promulgazione di leggi nazionali ed internazionali che tutelano i grandi carnivori ed altre specie animali; la creazione di aree protette (Parchi Nazionali e Regionali, Riserve); una notevole attenzione nella gestione faunistica – anche con operazioni di rinforzo e reintroduzione – soprattutto di ungulati; una nuova cultura naturalistica e scientifica con un approccio più ecologico ed attento a tutti gli aspetti dell’ecosistema naturale.
Oggi il fenomeno è decollato a tal punto – soprattutto per il lupo che ha riconquistato in modo naturale tutto il suo areale storico – che serve riflettere, capire ciò che è successo e vedere di ritrovare o mantenere equilibri che rischiano di saltare se tutto venisse lasciato a sé tesso in un territorio antropizzato come il nostro.

Parchi e riserve italiane, che non sono aree recintate, sono sufficienti per fare da habitat ai grandi carnivori?
Certamente parchi e riserve hanno avuto ed hanno un ruolo notevole e fondamentale nel processo che ha portato a questo ritorno che sino a pochi decenni fa era insospettabile. Sono zone di elevata naturalità dove in buona parte i processi ecosistemici possono svilupparsi senza eccessivi disturbi dell’uomo. Tra questi territori protetti l’aumento del bosco ha creato dei collegamenti naturali che permettono a prede e predatori di spostarsi agevolmente tra di essi. Detto questo parchi e riserve non bastano perché i selvatici non conoscono i confini che noi uomini ci siamo dati e naturalmente essi si muovono in base ad esigenze trofiche, di habitat di dinamica di popolazione specifico per ogni specie, soprattutto quando questi territori “destinati” alla natura risultano saturi, le nuove generazioni di selvatici si spostano fuori da queste aree per tentare la loro “avventura” e vediamo oggi concretamente come essi sappiano adattarsi molto bene anche a situazioni molto antropizzate.
Chi pensa che la fauna selvatica debba rimanere solo dentro a dei confini ben precisi o in aree recintate per non interagire con gli interessi umani poco ha compreso di dinamiche naturali e dell’importanza che ciò continui ad avvenire perché le specie rimangano vive e vitali. Noi uomini possiamo solo accompagnare e gestire al meglio queste dinamiche per diminuire i conflitti. Nulla di più.

Sei in grado di quantificare le presenze dei grandi carnivori in Italia?
I numeri di questi animali sono in continuo cambiamento principalmente perché in fase di espansione ed è difficili poter dare dei dati precisi perché basati – seppur su studi e censimenti seri – comunque su stime che già risultano superate al momento in cui vengono emesse. Nessuno può pretendere di riuscire a contare tutti gli esemplari di una certa specie su un territorio vasto ed articolato com’è quello italiano.
Detto ciò possiamo certamente dire che l’orso bruno marsicano sottospecie unica al mondo e presente solo in centro Italia (Abruzzo, Lazio, Molise) conta su circa 60 esemplari che necessitano la massima tutela ed attenzione. L’orso bruno europeo che vive nelle Alpi attualmente presente principalmente in Trentino Alto Adige (soprattutto Trentino Occidentale con il nucleo riproduttivo), ma anche in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed occasionalmente Piemonte conta oltre 100 esemplari circa.
Per il lupo il dato più recente che possiamo citare e che certamente è già superato perché vecchio di 3 anni è quello uscito dal monitoraggio nazionale del lupo del 2021 dove ISPRA divide in due la popolazione: quella peninsulare e quella alpina, si stima una abbondanza della popolazione nel primo caso di 2390 (forbice 2020-2645) e nel secondo di 950 (forbice 822-1099) per un totale di 3307 (forbice 2945-3608).
Le linci invece sono il grande carnivoro più raro in Italia e sono attualmente presenti con pochi esemplari (qualche unità), soprattutto nel tarvisiano e qualche sporadica presenza tra alto Piemonte e Valle D’Aosta. Va detto che è in atto un progetto molto articolato di rinforzo della popolazione alpina in modo possa formarsi un ponte tra le popolazioni dinariche e quelle svizzere dove attualmente esiste ancora una popolazione riproduttiva.
Lo sciacallo dorato, che è un canide in fase di nuova colonizzazione del territorio italiano, mai registrato nella nostra penisola prima degli anni Ottanta del secolo scorso è presente con circa 350 esemplari.
Interessante segnalare anche l’espansione numerica e territoriale di gatto selvatico e lontra.

Coppia di lupi peninsulari ©Vittorino Mason

Lontra in attesa ©Vittorino Mason

La letteratura e il cinema offrono molte occasioni e spunti per approfondire le tematiche legate alla presenza dei grandi carnivori, ma sembra che, tanto siamo affascinati dal leggere e vedere orsi e lupi, quanto siamo spaventati, Non è un paradosso?
È vero ma va detto che, quando siamo comodamente seduti in divano questi animali affascinano e conquistano e quando invece ci troviamo realmente in ambiente naturale ove vivono liberamente anche i grandi carnivori ci sentiamo spesso… per così dire vulnerabili… delle prede. Ce l’abbiamo scritto nel nostro DNA e questo si tramuta a seconda della nostra sensibilità, formazione, conoscenza e storia personale in paura se non terrore oppure in fascino ed emozioni profonde che ci regalano un valore aggiunto personale ed ambientale indubbio. Vanno rispettate entrambe le percezioni, quello che conta è avere ben chiaro che in natura non esiste il rischio zero e non possiamo pretendere di essere sempre in sicurezza anche quando ci muoviamo in ambiente. Certo serve prendere tutte le precauzioni del caso e in territori molto antropizzati mettere in atto anche una attenta gestione dei casi di animali problematici, ma oltre a questo non possiamo pensare di imbrigliare la natura a nostro uso e consumo anche se siamo abituati a farlo sempre ed ovunque. Anche noi siamo natura e dobbiamo riuscire a rapportarci con essa gestendo le nostre emozioni, qualsiasi esse siano nel rispetto anche delle altre specie.

La paura e la diffidenza verso l’orso e il lupo sono solo un retaggio delle storie tramandate e della narrativa favolistica?
Senza dubbio questo ha accentuato alcuni aspetti, ma è anche sostanza…lo vediamo dove la presenza di questi animali è più abbondante perché ritorniamo a vivere esperienze dimenticate, ci troviamo a confrontarci con problematiche che ritenevamo superate, archiviate per sempre. Dobbiamo rimetterci in gioco con una serie di azioni e di comportamenti ben precisi e ragionati. Il rapporto con questi animali sarà sempre complesso e di diffidenza ed è giusto che questa diffidenza esista se si tramuta in prudenza che ci fa ragionare, valutare e mettere in atto quanto necessario per poter accettare la presenza di questi animali in territori ancora potenzialmente vocati nonostante la nostra presenza diffusa e capillare.

Richiamati dalla presenza di cibo negli ultimi anni abbiamo visto lupi, orsi, cervi, volpi, cinghiali e altri animali selvatici, entrare anche nelle città. È inevitabile?
Come già detto i selvatici sono spinti nelle loro scelte da fattori ben precisi tra cui la ricerca di un territorio libero, dal reperimento di cibo (se facile ed accessibile ancor meglio), questo comporta anche che certe specie si spingano anche ai margini o addirittura all’interno del tessuto urbano anche di grandi città, soprattutto dove la morfologia del territorio è articolata e dove la presenza del bosco e di aree seminaturali compenetrano in quelle urbane.
Orso nei paesini di montagna, lupo e sciacallo dorato anche nelle città di pianura sono oggi giorno sempre più frequenti. Una corretta gestione dei rifiuti urbani è quanto mai urgente e necessaria perché la fonte alimentare data dalle nostre immondizie è l’attrattiva maggiore per questi animali che poi abituandosi a frequentare certe aree entrano in contrasto con i nostri interessi, che sia un investimento con l’auto, un incontro ravvicinato, un’interazione inaspettata e in situazioni particolari di via di fuga precluse, una predazione di un gatto o di un cane d’affezione ecc. ci pongono davanti ad una realtà nuova a cui non eravamo abituati e che dobbiamo in tutti i modi evitare succeda. Detto questo personalmente ritengo che qualsiasi selvatico vada dissuaso anche in modo energico a frequentare abitualmente paesi, periferie o anche centri di città e deve essere fatto seguendo protocolli condivisi e scelte tecniche in modo rapido ed efficace. Casi limite che mai si possono escludere anche con animali apparentemente innocui come, ad esempio, un cervo vanno evitati il più possibile con grandi carnivori.

Orso. ©Vittorino Mason

Lince, spesso non la vediamo, ma lei ci vede ©Vittorino Mason

L’orso, il lupo, la lince e lo sciacallo dorato sono solo un problema o possono rappresentare anche una risorsa per l’ambiente?
Se parliamo di ambiente e di ecosistemi naturali, animali come orso, lupo, lince ecc. che si sono evoluti in natura in migliaia di anni assumendo il ruolo ecologico al vertice della piramide alimentare non possono mai considerarsi un problema, anzi sono un segnale di salute e di vigore del territorio che porta equilibrio tra prede ed habitat.
Se invece guardiamo questa affermazione dal lato economico, inteso come lo pensiamo noi uomini a volte banalizzandolo, allora la prospettiva cambia. Certo un grande carnivoro visto in questa prospettiva può essere un problema anche economico e di interazioni, soprattutto nel settore della pastorizia, allevamento e zootecnia montana. Tutto ciò può portare a difficoltà che sfociano a volte in una richiesta di eliminare questi animali visti solo come dannosi ed inutili. Dal punto di vista dell’interesse turistico credo non ci siano grossi problemi, la presenza di animali di così grande impatto emotivo attirano gli amanti della natura e visto l’assalto a cui assistiamo negli ultimi anni alle zone di montagna e di collina non pare che prevalga l’aspetto del timore e della paura (che pure esiste senz’altro), rispetto alla voglia di godere del territorio e di tutti i suoi aspetti, compresi quelli paesaggistici e culturali che, ricordiamoci, sono spesso opera dell’azione millenaria dell’uomo e meritano di essere salvaguardati alla pari del ritorno dei grandi carnivori.

In che situazione un lupo o un orso possono rappresentare un pericolo per l’incolumità delle persone?
Orso e lupo sono abbastanza diversi come potenzialità di rischio per l’uomo. Premesso che nessun selvatico può considerarsi innocuo in certe particolari situazioni contingenti, possiamo senz’altro affermare che la lince e lo sciacallo sono davvero fuori dalla partita. L’orso è il più grande carnivoro europeo e la sua stazza e fisicità – oltre che alcuni aspetti del suo comportamento – lo rendono anche se molto raramente un potenziale rischio per l’uomo (come documentato anche dai recenti casi di cui uno purtroppo mortale). La femmina con la prole sorpresa in ambiente naturale, un esemplare disturbato all’improvviso che non si aspetta il nostro arrivo o disturbato durante il pasto (anche in prossimità di cassonetti per i rifiuti) può reagire con atteggiamenti – che quando si ha la possibilità – bisogna riconoscere e saper gestire per evitare di complicare la situazione. Generalmente tutto si risolve senza nessun problema ma nei casi limite l’orso assume un atteggiamento aggressivo procedendo con quello che in gergo viene chiamato falso attacco. Si scaglia verso di noi con grande decisione per poi tornare sui propri passi quando ormai sembra che ci venga addosso. È un modo per scaricare la sua tensione e cercare di spaventarci. Questo è il caso in cui bisogna sapere come comportarsi! Non è facile ma può davvero fare la differenza. Per il lupo invece le problematiche generalmente sono minori, ma lo stesso vicino a fonti di cibo antropiche, in caso di un esemplare che si alimenta o che fugge con la preda -soprattutto se in zone urbanizzate – bisogna evitare qualsiasi interazione per evitare di innescare situazioni di rischio che altrimenti difficilmente si verrebbero a creare (casi di aggressione da parte di lupi confidenti come successo a Vasto e ad Otranto ci dimostrano che non possiamo mai escludere situazioni problematiche). Anche quando ci muoviamo con il nostro cane in ambiente naturale è assolutamente necessario tenerlo al guinzaglio per evitare vada a innescare reazioni pericolose da parte del selvatico che poi si riflettono su di noi che siamo il riferimento verso cui si dirigerà il nostro amico a quattro zampe. Il cane inoltre può essere in alcuni casi preda del lupo stesso.

Orso marsicano ©Vittorino Mason

Sciacallo dorato ©Vittorino Mason

Qual è il comportamento che un escursionista deve adottare in caso di incontro con un lupo o un orso?
Il lupo generalmente evita l’uomo, in caso di incontro ravvicinato è bene comunque restate fermi in silenzio ed evitare di avvicinarlo. Nella maggioranza dei casi, il lupo si dilegua senza manifestare aggressività. Ciò vale sia per lupi solitari che per i branchi. Una volta che si è allontanato, evitiamo di seguirlo. Se siamo intimoriti dalla sua presenza e bene fare rumore, con la voce o battendo le mani per indurlo ad allontanarsi. Se lo incontriamo da lontano godiamoci questo raro avvistamento, in silenzio e fermi, senza disturbarlo. Non interferiamo in nessun modo in caso di lupi che predano o si alimentano meglio allontanarsi in silenzio!
L’orso bruno, come detto, presenta qualche rischio maggiore, in caso di incontro. Se ciò avviene controlliamo l’emozione rimaniamo calmi, lasciando sempre una via di fuga all’animale. Se l’orso non ci ha visti, torniamo silenziosamente sui nostri passi, indietreggiando, senza mai perderlo di vista.
Non tentiamo di avvicinarlo o seguirlo per osservarlo/ fotografarlo se si allontana, manteniamo la calma, se invece rimane fermo, indietreggiamo lentamente senza dargli le spalle.
Non avviciniamo né cerchiamo di toccare cuccioli di orso questa situazione può innescare comportamenti aggressivi nell’orsa, per la difesa della prole. Torniamo con cautela sui nostri passi, senza perdere di vista i plantigradi. In caso di atteggiamento aggressivo da parte di un orso è bene non reagire in modo attivo; stiamo fermi e parliamo con tono basso e calmo, anche se l’animale dovesse correre verso di noi.
Non corriamo mai per non stimolare l’inseguimento. Evitiamo urla o altri rumori che potrebbero spaventarlo se l’orso si alza sulle zampe posteriori è solo per identificarci.
Non fuggiamo se avviene un contatto fisico non urliamo e non colpiamolo, ma stendiamoci a terra a faccia in giù, con le mani intrecciate dietro il collo e restiamo immobili, al suolo, finché l’orso si allontana da noi. Se indossiamo uno zaino, teniamolo sulle spalle per proteggere il dorso.
Può sembrare assurdo o far sorridere, perché a primo acchito riteniamo sia impossibile seguire questi consigli, ma conoscere queste regole può fare la differenza anche se ovviamente non è per niente facile dare per scontato si riesca a metterle in pratica. Di sicuro però se non si conoscono partiamo estremamente svantaggiati.

Personalmente mi sono trovato più in pericolo incontrando cani da guardiania che grandi carnivori…
Certo, è più probabile per chi frequenta la montagna incontrare un gregge custodito dai cani da guardiania rispetto che incontrare un lupo od un orso e quindi è nettamente più frequente poter trovarsi a tu per tu con questi cani specializzati da secoli nella difesa delle greggi dai lupi. Questi cani sono addestrati a rimanere nel gregge ed entrare in azione in caso di pericolo o di situazione anomala quale siamo anche noi in escursione alla loro vista. Quando lavorano sono estremamente energici nella loro azione e quindi ci si palesano davanti in modo aggressivo che ci spaventa. Anche in questo caso gli animali dovrebbero essere selezionati e ben addestrati a limitarsi a questo e il proprietario dovrebbe segnalare la presenza dei cani nel territorio oltre ad essere in zona. Serve essere consapevoli di dove andiamo e preparati ai comportamenti corretti da tenere che non sono dissimili a quanto scritto per orso e lupo, soprattutto non possiamo forzare il passaggio e voler andare avanti a tutti i costi, questo errore ci costerebbe un aumento della decisione e dell’aggressività dei cani. Va quindi cercato e letto nei siti più idonei come comportarsi prima di affrontare escursioni in questi territori.

Gli attacchi agli esseri umani e al bestiame non pensi che a volte vengano strumentalizzati dalla politica e i burocrati per fini elettorali ed interessi politici ed economici?
Assolutamente si’, senza dover aggiungere altro è sotto gli occhi di tutti indipendentemente dal colore politico o da come la pensiamo. Purtroppo, forse questo è il problema più grosso perché non permette di affrontare con serietà e chiarezza la situazione e di conseguenza le decisioni necessarie e adeguate.

È chiaro che, quando un allevatore o un pastore subisce una o più predazioni, non può vedere di buon occhio il ritorno dei grandi carnivori. Nessuno lo può biasimare se poi decide di difendersi, magari sparando agli aggressori. Qual è la vostra posizione?
Senza dubbio chi subisce una o più predazioni non può essere contento ed è più che capibile la rabbia, il disappunto e la frustrazione che ne deriva, anche l’istinto di farsi giustizia da solo. Da qui ad agire però c’è di mezzo un confine che dovrebbe essere invalicabile, perché questi animali sono protetti per legge e ne è vietata l’uccisione. Noi condanniamo tutti gli atti di bracconaggio sempre, anche nelle situazioni più esasperate. Quello che bisogna fare è trovare una strada che davvero tuteli sia le attività tradizionali che le popolazioni di grandi carnivori mettendo in atto sistematicamente azioni pragmatiche concrete basate su indicazioni tecniche e su protocolli chiari e condivisi che prevedano anche la gestione delle situazioni più complesse senza girarci troppo attorno e senza fare inutile ostruzionismo perché non c’è nulla di peggio che lasciare tutta questa situazione in balia di se stessa. Nella situazione attuale non è tollerabile, non è corretto, non è serio.

Lupo peninsulare ©Vittorino Mason

Quali proposte avete fatto per cercare un dialogo e un punto d’incontro con la popolazione, gli allevatori e i politici per tentare di risolvere il problema?
Noi ci siamo sempre posti come un interlocutore equilibrato con gli enti con cui abbiamo interagito. Un interlocutore capace anche di ascoltare e di mettersi in gioco. Prima di tutto cercando di informare in questo senso i nostri soci per creare una coscienza corretta. Non siamo però noi la realtà che può e deve prendere decisioni, ma cerchiamo di supportare coloro che hanno visioni equilibrate e pragmatiche che mirano alla coesistenza e che spesso vengono “silenziati”. Infatti accade che le figure più titolate a parlare come sono i tecnici faunistici vengano ignorati o non ascoltati dalla politica per motivi di convenienza o calcoli elettorali del momento contingente o a volte addirittura “soffocati” dai pareri e dalle sentenze che arrivano dall’assurda arena mediatica, dove tutti si sentono liberi di dire la loro. Sul terreno della gestione della fauna selvatica invece serve competenza, lungimiranza, coraggio nell’agire anche se si può risultare antipatici. Una azione costante e precisa da risultati, una azione ad armi sempre spuntate a causa delle beghe che anche le associazioni ambientaliste – bisogna ammetterlo – a volte innescano non porta a risultati utili e alla fine il rischio è quello di innescare dinamiche pericolose.

Gli strumenti introdotti per fare sì che allevatori, pastori e apicoltori possano difendersi o dissuadere i carnivori dagli attacchi, sono sufficienti?
Il sistema di prevenzione che risolve il problema non esiste purtroppo, ogni situazione va analizzata e studiata bene e vanno introdotte una serie di strategie utili al territorio, al tipo di allevamento, alla sensibilità dell’allevatore ecc. Certamente una cosa è sicura, senza sistemi di prevenzione e con la presenza dei grandi carnivori in ambiente è difficile resistere perché le predazioni sarebbero insostenibili. I sistemi di prevenzione anche se da molti criticati e certamente complessi da installare e manutenere, va detto che aiutano a far sì che non si crei da parte dei predatori un’abitudine a ricercare le prede solo o principalmente verso i domestici invece che verso i selvatici cosa che falserebbe il reale ed indiscutibile ruolo ecologico di questi animali. È stato fatto molto, ma a volte in modo scomposto o con atteggiamenti all’inizio di presunzione verso chi lavorando e conoscendo il territorio doveva essere approcciato in modo più corretto. Ammettere gli errori da entrambe le parti, evitare gli scontri, capire gli sbagli e ripartire senza preclusioni con un dialogo costruttivo credo sia la ricetta migliore.

Cosa si intende per animale problematico?
Un animale problematico può essere definito “dannoso” o “pericoloso” a seconda del suo comportamento, in relazione ad alcune caratteristiche comportamentali.
Animale dannoso: un “animale dannoso” è un selvatico che arreca ripetutamente danni materiali alle cose (predazione di bestiame domestico, distruzione di alveari o danni a coltivazioni, o in generale danni a infrastrutture) o utilizza in modo ripetuto fonti di cibo legate alla presenza umana.
Animale pericoloso: esistono una serie di comportamenti che lasciano prevedere la possibilità che un predatore costituisca una fonte di pericolo per l’uomo. La pericolosità di un individuo è, in genere, direttamente proporzionale alla sua “abituazione” (assuefazione) all’uomo e al suo grado di confidenza con lo stesso. In altri casi la pericolosità prescinde dall’assuefazione all’uomo ed è invece correlata a situazioni particolari, ad esempio difesa della prole, difesa della preda di cui si sta alimentando.

Qual è l’ente preposto a intervenire per decretare che un orso o un lupo è un animale problematico?
Questa è una domanda molto tecnica che spero di far comprendere la sostanza, anche se risulta sicuramente ostica.
Il Decreto spetta al Ministro dell’Ambiente, salvo per le province autonome di Trento e Bolzano a cui spetta al Presidente della Provincia, sia per orso che per lupo, o la Regione Autonoma della Valle d’Aosta, a cui spetta al Presidente della Regione, limitatamente al lupo. Deve però esserci parere favorevole dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che si basa, come riferimento, oltre che sulla letteratura scientifica, soprattutto sui documenti tecnici approvati e condivisi. Le indicazioni date poi vengono tramutate in decisioni dai politici.
Per esempio, per l’orso sulle Alpi italiane esiste un protocollo ed un riferimento tecnico ben preciso che si chiama PACOBACE acronimo di Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali e che dovrebbe essere seguito nei casi necessari.
Per il Lupo invece in Italia purtroppo non è ancora stato approvato un piano tecnico (il precedente risulta scaduto dal 2007, ovvero cinque anni, come previsto dal Piano stesso, dopo la sua promulgazione del 2002), ed il cui nuovo testo da anni viene rimbalzato dalla conferenza stato regioni su pressioni di questa o quella realtà che ritiene sempre non accettabile per la sua visione il testo preparto. Questo non permette però di avere dei riferimenti utili in caso di necessità.
Di recente è stato pubblicato (ottobre 2021) a livello europeo un “Documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario ai sensi della direttiva Habitat”, con particolare riferimento all’articolo 16 della Direttiva stessa, e con in Allegato III un esempio specifico relativo proprio al lupo, che può aiutare all’interpretazione delle norme relative alla specie stessa ma anche alle altre specie inserite negli allegati della Direttiva, mentre ancora più recente è un primo documento di gestione sperimentale del lupo valido per le regioni di Trento e Bolzano.

Orso ©Vittorino Mason

Lupo alpino ©Vittorino Mason

Come si procede?
Si procede con una serie di azioni mirate che vanno dall’osservazione, lo studio dell’esemplare alla dissuasione (effettuata in vari modi), sino alla cattura o la soppressione.

Ma non si potrebbe lasciarli vivere destinandoli a paesi come la Romania che nelle foreste dei Carpazi già ospita una numerosa popolazione di orsi e lupi?
Questi territori hanno grandi spazi naturali ma anche buone popolazioni di grandi carnivori con le stesse problematiche che viviamo in casa nostra. Oltre alla spesa e a tutti i contatti diplomatici e tecnici necessari non credo sia la soluzione spostare un esemplare in un’altra nazione perché questo non cambierebbe il suo comportamento, al massimo avrebbe meno occasioni di interagire con le attività umane… anche se personalmente non ne sono convinto e quindi rischierebbe ancor più facilmente azioni nei suoi confronti da parte delle autorità locali. Ovviamente se ci sono le condizioni e buoni rapporti tra nazioni ed enti interessati è una strada percorribile… anche se diverrebbe alquanto complessa se si dovesse fare con più esemplari nel giro di qualche anno.

Cosa si è fatto e cosa si potrebbe ancora fare per tentare di arrivare ad una convivenza pacifica, sempre che sia possibile, tra esseri umani e gli animali predatori?
Si è fatto molto ma ritengo che la coesistenza pacifica sia una cosa molto improbabile, non credo sia mai esistita anche in passato, invece una coesistenza che si adegui e si adatti alla situazione reale e contingente, dove ogni situazione viene gestita nel modo giusto con scelte condivise e con atteggiamenti di apertura e disponibilità, oltre che con adeguate azioni che reintegrino i danni subiti da chi ha attività economiche interessate dal fenomeno è forse l’unica strada. Naturalmente un po’ di tolleranza verso questi animali è necessaria e di fondo sono convinto non manchi alle categorie danneggiate (ce lo hanno dimostrato con i fatti nonostante le alzate di scudi), perché se azzerare i danni è impossibile, ridurli al minimo è necessario.

Tra tutti gli attori che concorrono per cercare delle soluzioni al problema, c’è qualcuno che fa da regista e detta la trama da seguire oppure ognuno supporta solo il proprio punto di vista?
Dal punto di vista tecnico è ISPRA e i tecnici faunistici degli enti preposti, poi le decisioni però sono politiche e quindi ad una visione tecnica abbastanza uniforme ne derivano spesso decisioni politiche molto diverse a seconda di molteplici aspetti. A questi si aggiungono poi sia pressioni portate dai vari portatori di interesse ma soprattutto i vari ricorsi, a volte posti in maniera sistematica, ai decreti emanati, a volte anche nei casi in cui il parere di ISPRA era risultato favorevole alla rimozione, complicando ulteriormente la questione.

La convivenza con il ritorno dei grandi carnivori è solo un problema italiano?
Assolutamente no, in Italia però c’è un approccio ed un modo di operare molto particolare, dettato dal nostro modo di vedere e rapportarci con la natura e con tutti gli esseri viventi, compresi gli animali selvatici oltre ad una abitudine ben diffusa in tutti i campi di non prendere mai decisioni e di conseguenza responsabilità.

L’occhio della lince a scrutare dall’alto una possibile preda ©Vittorino Mason

Perché alcuni Paesi riescono a convivere con i grandi predatori? È solo una questione di grandi spazi disponibili o anche di cultura?
Certo, i grandi spazi aiutano molto a convivere con i grandi carnivori perché le interazioni con l’uomo si diluiscono di molto affievolendo le problematiche e la percezione del problema, ma non è di meno anche l’aspetto culturale che è sempre determinante per una vera coesistenza duratura e rispettosa. Certo questa cultura deve essere figlia di un approccio alla natura vero e non strumentalizzato in stereotipi trasmessi attraverso un’azione sistematica che la banalizza a favola o la dipinge come un problema da dominare. La natura ha le sue regole complesse e molto dure, ci incanta con la sua armonia e capacità di rigenerarsi nei secoli e ci offre emozioni indescrivibili ma anche potenziali problemi, non è né dolce né simpatica ma è lo specchio di come tutto sia collegato e noi parte di questo collegamento.

Parafrasando il titolo di un libro di Cormac McCarthy, si può dire che il nostro non è un paese per lupi e orsi? Pensando poi a quanto antropizzate siano le nostre montagne per poter offrire prede naturali ai grandi carnivori?
La realtà dei fatti dice che in Italia ci sono milioni di prede selvatiche disponibili e che i grandi carnivori, lupo in primis ha insediato la popolazione più grande dei paesi occidentali. L’Italia ha quindi – grazie alla sua morfologia molto articolata e alla presenza di molte zone seminaturali – una potenzialità molto grande che va però a cozzare con la sua altrettanto grande antropizzazione. Possiamo dire che siamo un paese dove la via della coesistenza tra uomo e natura raggiunge il massimo della complessità.

Cosa ti spinge a impegnare gratuitamente il tuo tempo come coordinatore del Gruppo Grandi Carnivori?
La passione. Non ci sono altri motivi per imbarcarsi in un fenomeno così difficile e complesso foriero di tensioni e anche attacchi personali.
Spero inoltre di dare un contributo a scardinare questa contrapposizione tra due fazioni che pur di voler avere ragione stanno ottenendo il contrario di quello che perseguono. Chi ama questi animali rischia di diventare il loro nemico perché innesca dinamiche che portano a decisioni prese in modo strumentale a volte per attaccarli, mentre dall’altra parte chi vorrebbe eliminarli rischia di rendere sempre più forti ed insormontabile le fila di chi vuole difendere ogni singolo animale costi quel che costi.
Io ho una visione più moderata, vorrei che tra 100 e 1000 anni i grandi carnivori potessero esserci ancora in ambiente naturale perché si è trovato il modo di andare avanti con lungimiranza, concentrandoci sulle popolazioni di grandi carnivori e non sui singoli esemplari presi a bandiera e vessillo delle proprie idee.

Vittorino Mason