Storie dall’Artico EP 05
Flashback – Luglio 2014
Ero a Old Crow (Nord del Canada) per filmare il raduno dei membri della tribù Gwitch’in. Una mattina mentre dormivo nella mia tendina, piantata nel giardino della chiesetta del villaggio, un grosso corvo si posò sul tetto del mio giaciglio.
Scosse la tenda un paio di volte e cominciò a gracchiare. I corvi in Alaska sono enormi. La loro apertura alare può superare il metro e riescono a sollevare da terra anche un cucciolo di cane di tre mesi.
Mi dava un fastidio boia quell’uccello, ma ero troppo esausto per alzarmi così presto. Avevo alle spalle 1400 km in canoa sul fiume Yukon e 600 km in cabin-boat sul fiume Porcupine. Il mio corpo era invaso dalla pigrizia.
Come le sventure però, i corvi non arrivano mai da soli. Ne sopraggiunse infatti un secondo, poi un terzo e un quarto. Tutti sembravano interessati a fare una baldoria tremenda per svegliarmi. “Non ho lasciato sicuramente del cibo fuori dalla tenda” pensai “ormai sono molto attento a questo tipo di cose! Allora perché non vanno a disturbare qualcuno da un’altra parte questi corvacci maledetti?”. Mi alzai nervoso, pronto a brandire la mia pagaia in aria, come avevo fatto con i gabbiani aggressivi e impertinenti dello Yukon un paio di volte. Fuori dalla tenda, a godersi lo spettacolo, c’era un nativo sdraiato sul suo quod, posteggiato là da un po’. “Hai ricevuto un messaggio ragazzo”, mi disse tossendo tra un tiro di sigaretta e l’altro. Mi guardai intorno cercando con lo sguardo una busta o un foglietto con qualcosa scritto sopra, ma l’unica cosa che vedevo erano le scintillanti acque del Porcupine e gli ormai sei corvi che danzavano sulla tenda come se fossero a un party di fine estate.
“ Ma quale messaggio? Io vedo solo corvi!” dissi al nativo.
“Appunto. Quando i corvi fanno così significa che è successo qualcosa che dovresti sapere. Loro non sanno cosa, ma vengono da te per dirtelo!”
Quattro giorni dopo tornai a Fort Yukon dove c’è una discreta connessione internet. Mia madre mi scrisse di essersi rotta la gamba. Era successo la notte prima che io ricevessi il messaggio dai corvi.
Febbraio 2018
Quattro anni dopo il mio primo viaggio da queste parti, sono tornato per vedere come si vive in inverno in capo al mondo, al tempo del climate change. Le mie ultime giornate a Fort Yukon sono state però poco produttive. Con venti fino a 60 km/h e temperatura percepita intorno ai -30 C° la gente non ha molta voglia di muoversi di casa se non è necessario. Persino Snook, il trapper che mi doveva portare nella foresta a vedere se le linci hanno “abboccato” alle sue trappole, ha detto che non va da nessuna parte finché non passa il vento. Alla radio inoltre danno la finale del mondiale di corsa con i cani da slitta, Snook preferisce restare a casa bevendo del the caldo e tifando per i mushers che conosce. Ovviamente il problema non è tanto la temperatura (che qui scende anche a -50 C°) , ma le forti raffiche che spazzano gli Yukon Flats e sollevano la neve, finissima e polverosa, che rovina i mezzi e rende un inferno qualunque attività outdoor.
Qui in teoria dovrebbe essere così ventoso solo a Carnevale, durante l’ice breakup (inizio estate) e quando muore qualcuno. Almeno così vuole la tradizione.
In effetti due giorni fa è morto un ragazzo molto giovane. Pare sia stato investito da una motoslitta con una persona ubriaca alla guida. Il “pirata” è andato via senza soccorrerlo e, impossibilitato a muoversi per le fratture multiple, il giovane è morto assiderato per strada. Sul caso sta investigando la polizia di FY e la salma è stata portata a Fairbanks in aereo per l’autopsia.
Una brutta storia. Me l’ha raccontata a colazione Ginni, la signora che mi ospita. Davanti alle solite uova “over easy” con bacon e salsicce ha poi aggiunto: “beh in effetti forse dovremmo inserire un quarto caso in cui arriva tutto questo brutto vento”, e io “Cioè?”, “Ogni volta che vieni tu a Fort Yukon!”.
Coincidenze a parte, queste condizioni meteorologiche rimangono delle anomalie. Il vento, l’umidità, nonché il cielo coperto di nubi e la neve “bagnata” sono dei fenomeni apparsi solo negli ultimi otto anni. In questa nuova puntata di Storie dall’Artico potete ascoltare un’altra storia legata ai messaggi che portano gli animali, raccontata direttamente dall’ex capo della tribù dei Gwitch’in Clarence Alexander.