Molto spesso per realizzare un sogno bisogna saper attendere, pazientare e perseverare senza buttarsi giù. Il momento giusto si presenterà e in quel momento bisogna farsi trovare pronti. Due amici in una cordata, una montagna, una via: così nasce la prima ripetizione in invernale di Dolomitspit aperta da Simon Kehrer sulla Sud del Sas Ciampac.
Spiegare come sia nata l’idea di affrontare la via aperta da Simon Kehrer sulla Sud del Sas Ciampac è molto semplice. Innanzi tutto nell’inverno 2016 mi aveva colpito la storia di questa via che era stata completata da pochi mesi, il 20 settembre 2015 e la sua eco risuonava tra le pagine di planet mountain (qui il link). Simon nel 2007 aveva iniziato il progetto insieme a Karl Unterkircher, grande alpinista altoatesino purtroppo scomparso nel 2008 sul Nanga Parbat, così dopo aver lasciato in sospeso per anni il completamento della via, nel 2015 in altri due giorni di arrampicata insieme a Manuel Baumgartner e Josef Willeit, è nata Dolomitspit.
Premetto che sono sempre stato affascinato dalla parete del Ciampac, una delle mie prime vie in ambiente l’avevo proprio salita li nel 2013 insieme a Gigi Dal Re e Giuseppe Ballico ed ero ancora del tutto inesperto, ma la via Solarium mi era piaciuta e sapevo in cuor mio che sarei ritornato a scalare su quella parete dorata. Veniamo all’invernale su Dolomitspit, c’è da dire che l’esposizione sud rende l’iniziativa più abbordabile psicologicamente ma senza dubbio salire i suoi 530m di sviluppo su difficoltà che passano dal VI al VII+ nel passo chiave, in giornate corte è una sfida non semplice.
Quello che voglio che sia chiaro ai lettori è che la ricerca di queste sfide, di questo impegno psicologico e del livello più alto di sopportazione della sofferenza richiesto, non nasce dalla brama di collezionare successi o chissà quale prestigio. Il mio compagno in questa avventura Eolo Radoni ed io, siamo alpinisti amatoriali, appassionati di montagna che scalano nel tempo strappato al lavoro, agli amici ed alla famiglia, non certo dei professionisti; avventure di questa portata sono per noi sogni che una volta realizzati rappresentano motivo di grande soddisfazione.
Inizia così a crescere in me il tarlo di Dolomitspit, tanto che nell’euforia del marzo 2016, dopo aver saputo dell’esistenza di questa linea, cerco instancabilmente un compagno pronto a partire e a condividere con me questa avventura nel più breve tempo possibile. Mi sentivo in forma e perciò volevo riuscire a sfruttare lo stato fisico in cui mi trovavo, ma niente da fare, per l’ultimo week end invernale sono tutti già impegnati e così sfuma l’euforia e la salita. L’idea invece attecchisce radicalmente nella mia testa, mi prometto che dopo esser tornato dal viaggio in Sud America, ricomincerò a prepararmi per l’inverno 2017 con la seria intenzione di riuscire nell’impresa. Il 3 e 4 settembre 2016 con Eolo saliamo una linea ardita sul Croz dell’Altissimo, la Samuele Scalet, ed in quei momenti si crea un bel affiatamento tra noi sia nella cordata che nell’amicizia che ci porterà, dopo aver lungamente chiacchierato in discesa dal Croz a proposito della Sud del Ciampac, a voler realizzare insieme l’invernale di Dolomitspit.
Arriva Gennaio 2017, io ed Eolo partiamo con l’intenzione di salire sul Ciampac nei giorni più freddi dell’inverno ma proprio per il freddo glaciale veniamo immediatamente dissuasi e dopo il primo tiro ci caliamo tornando alla macchina con la coda tra le gambe. Raccogliamo questa esperienza e così aggiustiamo il tiro, ci riproponiamo di tornare in giorni più lunghi e sicuramente meno freddi, consapevoli che affrontare i tiri più impegnativi con le mani congelate sarebbe stato veramente difficile. Il telefono squilla il 16 marzo, dall’altra parte della cornetta c’è Eolo che mi chiede: “ allora? Com’è il tempo questo week end? Ha fatto neve nei giorni scorsi…”. Io gli rispondo un po’ titubante, primo perché ero appena uscito da una brutta influenza che mi aveva costretto a letto tre giorni con 39 di febbre e secondo per la neve che era caduta la settimana prima ed in quei giorni. Alla fine però decidiamo di andare, visto il meteo favorevole almeno per le temperature e vista la data sul calendario.
La mattina del 19 Marzo ci alziamo alle 3 a casa mia a Ceniga, prepariamo una colazione veloce ed un thermos di the e zenzero che si rivelerà un toccasana nei momenti di sosta esposti al vento freddo. Alle 4 siamo in macchina diretti al passo Gardena dove arriveremo alle 6 e un quarto, iniziamo a tirar fuori il materiale dagli zaini, decidiamo di prendere una serie di friend raddoppiando le misure medie, viola, verde, rosso e giallo, 10 rinvii, cordini, martelli e 4 chiodi per emergenza. Prendiamo un solo zaino che porterà il secondo infilandoci dentro anche due paia di ramponi e quattro ghette per affrontare la discesa sui pendii innevati. L’avvicinamento lo conosciamo bene, l’abbiamo già fatto a gennaio, inoltre conosciamo bene anche il ritorno che avevamo fatto insieme l’anno precedente dopo aver salito la Adang il 20 dicembre 2015. Questa volta il freddo è meno pungente, ma ci accorgiamo subito che è presente molta più neve al suolo che a gennaio.
Impieghiamo poco più di un’ora per arrivare all’attacco, sistemiamo tutto il materiale negli imbraghi e alle 8.45 siamo pronti a partire. Eolo come da accordi parte sul primo tiro, l’aveva già assaporato nel primo tentativo di gennaio, una placca di roccia gialla, molto delicata gradata V+. Come arriva in sosta si dimentica di rinfilare i guanti, così quando lo raggiungo ha già le mani congelate e inizia con le prime imprecazioni.
Riparto sul secondo tiro, ancora placca che obliqua verso destra sempre su roccia da valutare accuratamente. Siamo ancora tutti e due intorpiditi, i muscoli iniziano pian piano a svegliarsi, ma ci vorranno ancora un paio di lunghezze per incominciare a ingranare. Così, dopo il camino di VI-, Eolo parte sul tiro di una lama staccata che obliqua verso destra, sapendo di dover incontrare una sosta dopo circa 30m, ma trova solo un cordone in una clessidra e questo non lo convince visto che le soste incontrate in precedenza avevano sempre almeno uno spit o un chiodo. Decide quindi di proseguire unendo così i due tiri sulle lame staccate e giungendo finalmente in sosta. Dopo il suo via libera io parto su queste lunghezze gradate V° e mi accorgo immediatamente della fragilità delle lame staccate, l’esposizione è massima, queste magnifiche strutture rocciose si trovano in aperta parete, quando arrivo in sosta da Eolo ci confermiamo a vicenda di esserci definitivamente svegliati!
Riparto carico sul settimo tiro, una magnifica fessura di VI° che finisce in uno strapiombo da scavalcare per poi traversare in placca delicatamente fino in sosta. L’arrampicata è entusiasmante e allo stesso tempo sempre di grande concentrazione per via della qualità della roccia non sempre affidabile. Si rivelerà il tiro a nostro avviso più impegnativo per la sua continuità. Siamo a metà via, sono le 13, il sole ogni tanto sbuca dalle nuvole che coprono il cielo e corrono veloci per il forte vento in quota. Fortunatamente ogni tanto le soste sono in posti riparati dall’aria, io sin dall’inizio della via ho sempre tenuto il piumino ed Eolo la sua giacca wind stopper ma ciò nonostante di tanto in tanto il vento ci costringe a cercare di tenerci calde le mani e a ripararci come possiamo.
Dopo altre due lunghezze arriva il temuto tiro chiave con il passo a metà gradato VII+/A0. Tocca ad Eolo che parte prima su uno spigolo di V° e poi arriva a traversare su una placca verticale priva di appoggi per i piedi, dove trova il chiodo necessario per mettere una fettuccia e staffare, ma non è sufficiente, nonostante l’allungo non riesce ad arrivare al cordone a sinistra sopra allo strapiombo, così dopo qualche tentativo, inserisce il friend viola nella fessurina del tetto, ci si aggrappa ed arriva finalmente al cordone.
All’uscita dal passo duro esce un grido di incitazione ed euforia dalla mia bocca, felice che il mio compagno sia riuscito a passare e consapevole che dopo questa lunghezza mancheranno quattro tiri alla cima. Raggiungo Eolo in sosta, lo zaino inizia a stancarci e ci rendiamo conto che fino ad ora le difficoltà ci sono sembrate un po’ sottostimate e che ne avremo ancora qualcuna da superare. Arrampichiamo sempre più stanchi ma entusiasti sapendo che la vetta è a circa 150m sopra di noi, unisco due tiri per cercare di guadagnare tempo, poi Eolo corre sul penultimo tiro, infine percorro gli ultimi 55m di una fessura camino gialla di V° e alle 18 comincio a recuperare Eolo sulla cima. Quando mi raggiunge ci abbracciamo e velocemente iniziamo a metterci scarpe e ghette e a sistemare il materiale nello zaino e le corde per la discesa. Abbiamo trovato la scatola del libro di vetta senza il libro ma con solo una relazione di Dolomitspit, a posteriori mi ha detto Simon Kehrer che deve ancora portarlo su. Iniziamo la discesa con le frontali già accese ad illuminare il pendio innevato che dovremo attraversare.
Dopo circa 300m ci accorgiamo di quello che già ci si immaginava di trovare ancora prima di partire, il pendio ha grossi riporti di neve, riusciamo comunque a trovare alcuni ometti su i sassi più alti, ma la progressione diventa sempre più difficoltosa. Io mi metto davanti e inizio a battere traccia, spesso sprofondo fino alla vita e così andiamo avanti per 2 ore. Continua a sbatterci addosso il vento che nel frattempo è diventato sempre più gelido, la stanchezza ed il peso dei materiali cominciano a farsi sentire rallentando sempre più la nostra marcia. Non vediamo ancora la prima grande forcella che ci separa dalla conca prima della forcella del grande Cir. Eolo che porta lo zaino è esausto e mi chiede di fermarci, giustamente è preoccupato che possiamo farci male vista la stanchezza. Io sono più avanti di lui di una cinquantina di metri quando vedo spuntare dalla neve sulla cresta sopra di noi un palo di legno che regge del filo spinato. Esorto Eolo a seguirmi, cercando di incitarlo a proseguire sapendo che quel palo è parte della recinzione sulla cresta che seguita verso ovest porta alla prima forcella. Arriviamo così alla conca dove fortunatamente troviamo vecchie tracce di ciaspole che seguiamo senza più sprofondare, io però vedo Eolo provato dallo sforzo sul pendio così decido di alleggerirlo e mi faccio dare lo zaino lasciandogli una corda.
Finalmente raggiungiamo la forcella del grande Cir, arriva qualche telefonata delle nostre compagne in pensiero e di amici che rassicuriamo, poi continuiamo a scendere sperando di non trovare più neve sul versante sud ma purtroppo essa ci accompagnerà fino alla macchina dove arriveremo alle 23. Felici e ubriachi di stanchezza torniamo verso casa, soltanto l’indomani cominceremo a metabolizzare ciò che è stata questa splendida avventura che ancora oggi, dopo vari giorni, rivive nei nostri pensieri. Grazie alla perseveranza nel credere nei sogni insieme al compagno giusto, ne abbiamo realizzato uno.
Jacopo Biserni