Tutto il meglio del climbing oggi è gratis
Giovanissimo fenomeno dell’arrampicata, già alla fine degli anni ’70 il trentino Roberto Bassi è un nome di prestigio nel mondo dei climber. Dopo una preziosa esperienza sulla roccia di Yosemite, in California, Roberto – che può far conto su una predisposizione innata e su doti psicofisiche particolari – decide di dedicare tutto il proprio tempo e le proprie energie al free climbing, a quel tempo in piena evoluzione. In compagnia di Manolo e di Heinz Mariacher, due dei massimi campioni della roccia, inizia a esplorare le falesie della valle trentina del Sarca. In breve nascono vie nuove di altissima difficoltà, ma soprattutto si impone un nuovo stile di arrampicata. È una stagione in cui, alla freschezza delle idee e alla voglia di seguire una strada tutta nuova, si affiancano la continua sperimentazione, il confronto con i climber stranieri, la ricerca di pareti sconosciute.
“Zanzara e Labbradoro” è un documentario che deve il suo titolo a un episodio curioso e ripercorre la storia di Bassi dipanandosi in cinque diversi capitoli: il passaggio dalle Dolomiti alle falesie, lo stile di vita del climber e la roccia di Arco, la Gola di Castel Toblino, le gare di arrampicata e la personalità di Roberto. Ma non solo: scritto e diretto da Lia G. Beltrami, il mediometraggio raccoglie le testimonianze e i ricordi degli amici del protagonista e di molti dei climber che fecero la storia dell’arrampicata negli anni ’80: da Manolo a Jerry Moffat, da Rolando Larcher ad Alessandro Gogna, da Marco Furlani a Stefan Glowacz, per continuare con Mauro Corona, Gianni Bisson, Diego Mabboni, Ennio Dalmut, Marco Preti, Palma Baldo, Giovanni Groaz e Marco Curti. Un’intera generazione di scalatori i cui ricordi sono indispensabili per contestualizzare l’avventura di Roberto Bassi negli anni della grande stagione dell’arrampicata sportiva. Ne emerge un quadro prezioso, che mette in evidenza lo spirito libero del protagonista, il suo immaginario, i suoi progetti, e anche lo spirito di un’epoca in cui i giovani scalatori avevano davvero l’impressione di riuscire ad avvicinare dimensioni ancora inesplorate dell’arrampicata e, contemporaneamente, di misurare se stessi al cospetto di un mondo che ancora non aveva rivelato tutti i suoi segreti.
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