Rientrato in Italia il 5 agosto, l’alpinista piemontese racconta la salita e la discesa integrale con gli sci della montagna himalayana, ora non più inviolata
Il 20 luglio scorso, Carloalberto “Cala” Cimenti ha compiuto la prima salita del Gasherbrum VII (6.955 m) attraverso una via diretta, in un’unica spinta e in puro stile alpino, per poi realizzare la prima discesa integrale con gli sci.
L’alpinista torinese è rientrato in Italia il 5 agosto scorso e, due giorni dopo, ha fatto visita al suo compagno di avventura Francesco Cassardo, ancora ricoverato al Parini di Aosta, dove è in cura per le fratture riportate dopo la caduta sul G-VII. Il racconto dell’incidente e del salvataggio di Cassardo.
Di seguito, pubblichiamo la relazione della salita e discesa di Cala Cimenti dell’inviolato, fino a quel momento, Gasherbrum VII.
La salita
Sabato 20 luglio 2019, la sveglia suona alle 3:30 ma fuori è buio e fa freddo, così Francesco ed io decidiamo di girarci dall’altra parte e di far arrivare la luce. Alle 6:30 sono pronto fuori dalla tenda e osservo Francesco che ancora sta sbrigando gli ultimi preparativi, la zona in cui ci troviamo è ancora
all’ombra e fa freddo, vedo il sole che sta arrivando ma è ancora lontano circa 500 metri, ho freddo a stare fermo, così dico al mio socio che inizio ad incamminarmi piano per raggiungere almeno il sole.
Francesco partirà circa mezz’ora dopo e non riuscirà mai a raggiungermi neanche quando tracciare
diventerà più faticoso a causa della pendenza accentuata e della neve sfondosa che mi farà sprofondare a volte anche fino al ginocchio, quindi faremo tutta la salita lontani ma senza mai perderci di vista. Osservando la montagna dal basso il giorno precedente abbiamo individuato due punti critici, due spaccature orizzontali che si possono definire due crepacciate terminali a due altezze diverse che tagliano tutta la montagna e abbiamo individuato due possibili passaggi, e poi due enormi seracchi sotto cui si
sarebbe dovuto cercare di stare il minor tempo possibile. La prima terminale la passo senza problemi ma subito dopo devo tirare fuori la piccozza perché la parte superiore della terminale è molto ripida.
Qualche metro più su il pendio si stabilizza e sale regolare con una pendenza molto accentuata a 55° o superiore. Salgo spostandomi gradualmente verso destra per togliermi da sotto il primo enorme seracco. In una mano la piccozza e nell’altra un bastoncino da sci che a volte appoggio di traverso per l’impossibilità di riuscire ad usarlo normalmente a causa della pendenza. Devo stare attento però a non spostarmi troppo sulla destra per non portarmi sotto il Secondo grosso seracco che parte direttamente dalla cima, molto grande e precario.
Alle 10:22 sono a 6634 mt, poco più che metà montagna, arrivo al grosso seracco e gli traverso sopra, verso sinistra, verso il ponte di neve che avevo individuato da sotto, un passaggio attraverso la seconda terminale più alta e molto insidiosa. Inizio a camminare in quella direzione ma poi noto che sopra di me, più a destra, la grossa terminale si chiude lasciando il posto ad un seracco di ghiaccio blu. Nel punto di passaggio da crepaccio a seracco il ghiaccio sembra più bianco e anche la pendenza un po’ meno accentuata, è anche più vicino rispetto al ponte di neve e quindi decido di passare da lì.
Scopro però che il bianco è solo un sottile strato di neve superficiale e mi ritrovo a scalare su ghiaccio, da solo, senza assicurazioni su una difficoltà che reputo di grado 3 per 20 metri. Alle 12:15 sono fuori dal tratto di ghiaccio e di nuovo nella neve, aziono la localizzazione del mio Garmin Inreach in modo che anche da casa possano vedere la mia progressione. Mi trovo a 6818 mt, sono vicino alla cima, inizio ad essere convinto di farcela. La parte alta è leggermente meno pendente rispetto a quella appena percorsa ma c’è qualche zona di ghiaccio duro tra la neve, penso che in discesa dovrò stare attento. Ho ancora il tempo di scoprire col piede destro un bel crepaccio che devo aggirare spostandomi molto sulla sinistra,
allontanandomi dalla cima che si trova in alto a destra. Passo il crepaccio e inizio a puntare verso la cima iniziando un lungo traverso in salita verso il canalino stretto che porta ad un colletto tra due seracchi e quindi, probabilmente, perché dal basso non si vede, alla cima. Arrivo al canalino verso le 13:00, inizio a salirlo e lo trovo più ghiacciato di quello che pensavo, anche qui in discesa dovrò fare attenzione. Arrivo nella parte superiore del canale e scorgo la cima, è più vicina di quanto pensassi e alle 13:24, prima di quello che prevedevo, scrivo a Patata: “Sono arrivato!” La cima è 20 mt più su, su un seracco, provo a salirci. Lascio lo zaino con gli sci lì e salgo leggero. La cima del G 7 è caratterizzata da un comodo colletto che ha da un lato un grosso seracco che parte quasi in piano, leggermente in salita, proiettandosi per almeno 50 metri in avanti, a strapiombo sulla parete che ho salito, è il seracco che si vede da sotto e che incombe sulla destra delle teste di chi sale la montagna per quasi tutta la salita, mentre dalla parte
opposta, circa venti metri più su, o poco meno, c’è una cresta con una cornice che termina in corrispondenza del colletto e quindi della cima del G7.
Penso che già il colletto che ho raggiunto si possa considerare cima, ma voglio fare le cose per bene, voglio cercare di raggiungere il punto più alto, anche se è fatto di sola neve o ghiaccio. E poi voglio guardare dall’altra parte, voglio vedere il circo Concordia e il Baltoro. Sono il primo uomo ad arrivare fin lì, non voglio perdermi niente. Così salgo. Il terreno è neve friabile e a volte ghiaccio, sono solo e senza corda, arrivo con molta cautela e attenzione sotto la cornice finale che lavoro con la picca scavando una piazzola e poi salgo in cresta. Sono in cima! Mi sporgo dall’altra parte e vedo Concordia e tutto il suo circo, è spettacolare! Si potrebbe salire ancora qualche metro sulla cresta ma la neve è instabile e sono senza corda, meglio rimanere qui, d’altra parte se scivolo mi ritrovo direttamente in una tenda di qualche campo di Concordia. Cavolo sono in cima al G7, una montagna dove nessuno era ancora salito, qui non c’era ancora mai arrivato nessuno!
Provo un’emozione indescrivibile ma nuova, non così irruenta come ad esempio sul Nanga Parbat, me la godo tutta fino all’osso, poi tiro fuori la macchina foto e faccio mille foto e anche un video. Torno al colletto da dove partirò con gli sci e faccio altre foto e video, poi inizio a prepararmi per la discesa, ad entrare nel mood della discesa seguendo il consueto rito di preparazione: esaminare l’entrata per capire da che parte posizionare le punte degli sci per entrare nel migliore dei modi, chiudere gli scarponi e
portarli in posizione ski, verificare che non ci sia ghiaccio nei due fori anteriori degli scarponi per il fissaggio dell’attacco e poi esaminare le solette degli sci che non abbiano del ghiaccio attaccato, pulire la soletta da eventuale ghiaccio (ce n’era un po’) , posizionare gli sci pronti per essere calzati. Agganciare gli scarponi agli sci, fissare i puntali degli attacchi in modo che non si stacchino per nessun motivo in discesa, accorciare i bastoncini et voilà, pronti per la discesa.
La Discesa
Regolo gli scarponi e li blocco in posizione di discesa, prendo gli sci, controllo la soletta e tolgo quel poco di ghiaccio che si è formato, poi li metto a terra e li aggancio agli scarponi, sto per sciare il G7 per la prima volta nella storia.
Muoio dalla voglia di sciare, di mettere gli sci dove nessuno li ha ancora messi. Ancora il tempo per qualche foto e poi giù, l’entrata non è semplice, il canale è stretto ed irregolare, la neve ghiacciata. L’unico tratto veramente ghiacciato che troverò, così derapo per una ventina di metri, poi il canale si
allarga un po’ e posso iniziare a curvare. Prima curva, wow che emozione, ma devo fare attenzione perché la pendenza è sostenuta e sotto di me ci sono i seracchi, non sarebbe piacevole finirci sopra… . Posso sciare un bel pendio per circa 100 metri, poi devo attraversare tutto a destra per andare a prendere il passaggio sulla terminale alta. Alla mia sinistra c’è del ghiaccio, l’ho notato salendo, così scendo facendo curve sempre sulla mia verticale.
La neve è più dura di quello che mi aspettavo ma ogni tanto cede, presto sempre la massima attenzione! É il momento di attraversare a destra e poi giù verso il passaggio attraverso la terminale. Mille metri sotto di me scorgo il ghiacciaio dei Gasherbrum che degrada dolcemente verso destra, di fronte ho il G-4, alla mia sinistra vedo ancora Broad Peak e K2, un paesaggio incredibile. Sotto di me noto Francesco che sta procedendo in traverso per raggiungere il passaggio continuo attraverso la seconda terminale. Io sono una trentina di metri proprio sopra il passaggio. Qui il terreno si fa più ripido e ghiacciato, meglio non correre rischi, derapo fino ai crepacci, mi appresto a cercare un passaggio dove saltare in velocità la zona critica e all’improvviso sento le code sprofondare e subito dopo il centro degli sci, per fortuna le punte si salvano cedendo al vuoto solo qualche centimetro.
Subito mi butto contro la parete cercando di diventare il più leggero possibile. Mi fermo con la neve al ginocchio e non oso guardare in basso, con dei piccoli movimenti verifico la stabilità della mia sosta e poi cerco di tranquillizzarmi e prendere fiato. Il respiro è a mille, le gambe molli. Mi prendo un minuto e intanto inizio a parlare con Francesco che ora è vicino, poi mi tranquillizzo e ricomincio a scendere, tiro fuori con un po’ di fatica gli sci dal crepaccio e salto la terminale verso destra, poi subito una curva a
sinistra per non scendere troppo sul grosso seracco e incontro Francesco che è in forma, si sente bene e sale lentamente ma sale. Lo saluto e inizio un tranquillo traverso verso sinistra appoggiato sopra un grosso seracco, poi il seracco finisce e inizia la paretona, ripidissima, 450 metri di goduria infinita,
la neve è cemento ma con un buon grip. Dura ma non ghiacciata, non permette errori e la pendenza è veramente sostenuta, secondo me sui 55°.
Che figo, inanello curve, stranamente non ho paura, sono felice, sono nel posto giusto al momento giusto, sono esattamente nel posto e nel momento dove sento che è giusto che sia. La quota e la salita però si fanno sentire e ogni tanto devo fermarmi. Mi fermo sempre un attimo prima che la stanchezza diventi troppa da togliere lucidità ai muscoli delle gambe, un attimo prima che il bruciore diventi insopportabile. Non posso permettermi errori. Continuo la discesa fino alla terminale che passo in un altro punto rispetto alla salita senza nessun problema, poi affronto l’ultimo pendio che è meno ripido e perfino con un accenno di neve cremosa. Inutile dirlo lo divoro con curvoni veloci e urlando di gioia. Prendo lo slancio e attraverso tutto l’anfiteatro facendo ora lo slalom tra i blocchi di ghiaccio di una vecchia enorme valanga. Arrivo dall’altra parte della valle, sotto il G4 e proprio di fronte al G7, pronto per filmare la discesa di Francesco. Mi ricordo di spegnere la Virb, segna 38 minuti di ripresa. Il cielo è blu, il sole splende nel cielo, non c’è vento, c’è un silenzio che urla, è tutto perfetto”