5 novembre. Ultimo giorno di libera circolazione. Le incertezze governative mi regalano ancora una giornata di scalata in solitaria, fuori dai limiti del mio comune, dove dovrò rimanere confinato di nuovo per un po’, come molti di voi. La giornata è splendida, nemmeno una nuvola. Capitò così anche nel lockdown precedente. Sembra farlo apposta. Sono circondato da pareti e montagne anche dove vivo, e queste rocce dove sono diretto oggi distano da casa mia soltanto quindici chilometri. Sono fortunato, ma questi luoghi dove ultimamente sto scalando molto sono quelli che amo di più. Tutto è relativo, dunque, non credete? Te ne redi conto quando non sei più libero di andare dove vuoi. Ogni volta che avviene una “chiusura” – forse non sarà l’ultima ma speriamo di sì – si propone l’annosa questione della “libertà di andare in montagna”. Impazza sui social, dove ciascuno dice la sua con cognizione di causa o meno, con la preoccupazione di chi di montagna ci vive e di chi vi vede una necessaria valvola di sfogo. Condivisibile. Da sempre mi batto e scrivo perché in montagna ci si possa andare liberamente, come e dove si vuole. Questa parola “libertà” a ben vedere, sta sulla bocca di tanti appassionati con valenze e rivendicazioni diverse. Pandemia o no. Molti dei commentatori sui social di queste ore, sono probabilmente quelli che in occasioni d’incidenti, non esitano a esprime giudizi, a invocare restrizioni, punizioni, multe, patentini di abilitazione. Hanno insomma uno strano concetto di libertà. Oppure invocano la libertà di andare verso le beneamate montagne, salvo poi, quando ci si riversano tutti in massa come quest’estate, non perdere l’occasione di fare dei distinguo tra il “buon senso” e l’appartenenza a una presunta categoria legittimata (che loro hanno) e il diritto di migliaia di persone di accalcarsi alle funivie, di riempire bar e centri di villeggiatura, di invadere i prati e ogni spazio disponibile. Chi regola la libertà di chi? “Io ho diritto di andare in montagna a camminare o ad arrampicare perché fa bene al fisico e alla mente”. Tutto vero ma questo diritto alla “libertà”, allora, vale per tutti. Deve valere sempre e comunque. Altrimenti, non siamo che i soliti egoisti che guardano – come tutti – al proprio orticello quando la propria “passione” è sospesa o regolata. Vale per il mare, la campagna, e qualsiasi altro spazio geografico in cui ciascuno possa rivendicare un diritto individuale. Sul “distanziamento sociale” in montagna, ci sarebbe da discutere. Basta guardare pochi mesi addietro per vedere che non è sempre una realtà. Certo, lo è per me che da circa sei anni sono diventato uno scalatore solitario, e che per questo, nonostante quarant’anni di alpinismo e che la montagna mi dia da mangiare, spesso mi sono dovuto sorbire critiche e bacchettate per i rischi che mi assumo. Lì la mia “libertà” evidentemente non vale. Il “buon senso” lo decidono gli altri. Sono d’accordo con questi provvedimenti? Se guardo i miei interessi e la mia necessità di essere sul campo tutti i giorni, è ovvio che nuovamente non lo sono. Questa chiusura è un altro danno per chi come me vive in montagna e di montagna. Non potrei sopportarne un’altra, forse. Come a molti di voi manca la “montagna” il fine settimana o nel tempo libero, a me manca per il denaro che ho investito e le scelte di vita che ho fatto. Tutto è relativo, tutto è ugualmente importante. I numeri adesso parlano chiaro, possiamo anche far finta che sia un complotto o una manovra politica. Forse per chi come me ha subito dei lutti è più difficile crederlo. Tutto potrebbe essere. Io però mi fido dei tanti amici medici e infermieri in prima linea che mi raccontano quello che succede. Allora, come la montagna mi ha insegnato in tanti anni, metto da parte la bramosia e la voglia di realizzare i miei piccoli progetti, e aspetto di nuovo. Non sono più un giovanotto come quelli che ora scalpitano per il tiretto in falesia da chiudere. Ripartirò come ho fatto quest’estate, con più voglia e determinazione, facendomi bastare per adesso quello che ho fatto. Se dovessi difendere oltremodo la nostra libertà di alpinisti, come faccio sempre, dovrei allora gridare “liberi tutti”. Non so se adesso ne sono capace e se me la sento. Non è un problema di montagna “sicura” ma di circolazione generale delle persone. Io per fortuna non decido nulla se non per me stesso. Chi lo deve fare probabilmente non sa che la montagna è “una ragione di vita” per noi. Ha altri problemi e fa delle scelte che non ci accontentano. Mettiamo in pratica quello che la montagna ci dovrebbe aver insegnato, senza lagnarci, ancora una volta. Se ci sarà da difendere la libertà, un domani lo faremo. Questa volta, però, senza distinguo. In “bocca al lupo” a tutti