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16 Febbraio 2018

Siamo tutti “fuori posto”…

Oggi di nuovo su ghiaccio, di nuovo da solo. Reduce da due giorni influenzali, m’imbottisco di Tachipirina ed esco. Una scalata facile ma da tenere sott’occhio per la morfologia del versante. Ieri notte la temperatura era piuttosto bassa. Da giorni interi monitoro il versante che appare “fermo”. L’esposizione è nord è il pericolo del bollettino valanghe per questa zona è “2  – moderato”. Questa mattina, tuttavia, la temperatura è +1°C e lungo la cresta di confine è iniziato a spirare un vento di ricaduta che certo farà sentire i suoi effetti in giornata. Ho fama di essere uno dei maggiori conoscitori di questa zona delle Alpi e, procedendo da solo, penso di essere sufficientemente veloce per limitare i rischi. Infatti, complice la bassa difficoltà e un ghiaccio umido particolarmente accogliente per le mie lame, concludo rapidamente. All’uscita, la temperatura è +11°C… Mi allontano dal canale velocemente con uno sguardo di maggiore preoccupazione verso l’alto. Giunto a casa, apprendo della morte di due alpinisti nel gruppo della Grigna, anch’essi impegnati in un canalone di bassa difficoltà. Sono due soccorritori esperti e con un curriculum di prim’ordine. Il rischio previsto per quella zona prealpina, inoltre, era addirittura “1 – debole”… eppure la “valanga” non lo sapeva… Mi colpisce, al di là del dramma, il commento “asettico” di molte testate web dedicate alla montagna, che mediamente evidenziano le imprudenze di personaggi con gli stivali di gomma e i ramponcini da trail, di signore in infradito sul ghiacciaio o l’inesperienza che caratterizza incidenti in montagna che occorrono a perfetti sconosciuti o ritenuti “alpinisti non legittimati”. Seguono a questi articoli, di solito, decine di commenti di persone indignate per la stupida morte o lo stupido incidente. La realtà è che la “bonne amie” non è direttamente né inversamente proporzionale alla “patacca”, al curriculum, così come al sandalo infradito o allo stivale di gomma ramponato. E’ morte e basta. Se ne frega dell’occhio di riguardo della comunità degli alpinisti, così come del loro impietoso infierire nei confronti dei “fuori posto”. Chiunque potrebbe dire “non avrebbero dovuto essere là, perché sussisteva bene o male un rischio”. Ma là c’erano, esperti, soccorritori e con curriculum di prim’ordine. La verità è che si muore perché, legittimamente, rischiamo, e non vi sarebbe alpinismo senza rischio. Ecco perché, a ben vedere tutti siamo “fuori posto”. Tutti siamo “legittimati”.