Durante l’ultima edizione della manifestazione Finale for Nepal, al termine di un luminoso settembre 2015, ho conosciuto e intervistato Simone Moro. Il meeting a scopo benefico organizzato da Carlo Mamberto e dall’omonima associazione, richiama ogni anno almeno 20.000 astanti; mi occupo della parte artistica ed esplorativa e mi rapporto ogni volta con alcuni tra i più grandi avventurieri e sportivi al mondo.
Il clima è generalmente caldo e gioioso, semplice, come se fossimo seduti alla tavola di un immenso rifugio dopo un’unica e grande scalata. Eppure… non lo ricordo così intimo ed entusiasmante come nella serata di Simone.
Conoscevo nella teoria il grande alpinista, ma alla pratica ho riscoperto un grande uomo, forse più ancora del famoso scalatore; so che le mie potrebbero risultare “parole di circostanza“, ma a me non importa, preferisco dire quello che sento quando avverto: è così che vivo. Moro, anche senza le sue imprese, anche senza i record e i grandi sogni, è il montanaro che vorresti in cordata, in grado di rendere unico il ricordo di una giornata in ambiente, umanamente, indipendentemente dalle sue capacità.
Gli uomini che erano ragazzi molto tempo fa, sognavano pensando a Bonatti. I cuori di quelli che erano fanciulli un po’ di tempo fa, battevano immaginando le scalate di Messner. I giovani di oggi sognano pensando a Simone Moro.
Ho perciò pensato a incontrarlo di nuovo ed eccoci qui, alla tavola virtuale del rifugio che non c’è, pronti per gustare un po’ di buona e sana Montagna.
Nel febbraio 2016 hai affrontato l’inconcepibile sfida del Nanga Parbat in prima invernale: perché hai tentato quest’impresa? Quale sogno avevi al riguardo e cosa hai provato?
Ho impostato gran parte della mia carriera nel tentativo di praticare un alpinismo che mettesse al centro concetti come esplorazione e avventura. La mia specializzazione nell’alpinismo invernale deriva proprio da questa volontà. Dunque il Nanga Parbat è stata la logica conseguenza di un percorso che già annoverava 15 spedizioni invernali in molte aree montuose del pianeta con gia 3 ottomila raggiunti rigorosamente sempre in pieno inverno senza mai raggiungere il CB prima del 21 dicembre. Proprio questo mio rigore sin dagli inizi della mia carriera, penso abbia influenzato tutte le successive e attuali spedizioni invernali. Diversamente dagli anni 80, nessuno si sogna più di partire in tardo autunno per questo tipo di spedizioni e la scalate himalayane.
Il sogno che avevo era di raggiungere la vetta del Nanga Parbat, il mio quarto ottomila invernale, senza pagare prezzi cari come congelamenti o rischi eccessivi. Voglio vivere d’alpinismo e non morire d’alpinismo.
Nel 2015 hai diretto il reality “Monte Bianco”: sebbene nel mondo montagna chiunque conosca le tue imprese, adesso sei famoso anche tra i “non addetti ai lavori”. Chi è secondo te “Simone Moro” per un appassionato di montagna e chi per una persona non addentro a questo universo?
La scelta di condurre Monte Bianco è stata meditata e presa sapendo che avrei pagato dazio tra la più rigida frangia alpinistica. L’obbiettivo era provare a far parlare di montagna e d’alpinismo a un pubblico e in una fascia oraria che mai si interessa al nostro mondo. Andava fatto con un linguaggio e una formula televisiva e dunque sapevo che non potevo pretendere un corso d’alpinismo in prima serata o un documentario sull’attività verticale. E’ stato un compromesso dove si è provato a parlare con termini e competenza di alpinismo, arrampicata, boulder, canyoning, creste, ghiacciai, bivacchi, inserendo tutto in un gioco sicuro. La formula pseudo reality ha infastidito alcuni della comunità verticale che hanno guardato con occhi alpinistici, troppo alpinistici, la trasmissione, senza provare a cogliere il fatto che il messaggio che stava passando che la montagna è appassionante, divertente, maestosa, difficile e che va affrontata con competenza e i giusti compagni (nel caso di Monte Bianco erano le Guide). Chi non ha fatto questo sforzo non ha capito fino in fondo quale era il tentativo che, pur perfettibile, è stato coraggioso.
Oggi Simone Moro è l’alpinista di sempre, che non si è arricchito con Montebianco, (in due conferenze alle aziende guadagno quanto in 40 giorni di Montebianco), e che è diventato solo un pochino più conosciuto al di fuori dell’ambiente strettamente degli addetti ai lavori.
Cosa ho fatto prima o dopo Montebianco è li da vedere e leggere e non sono di sicuro un ex che si ricicla, ma che è ancora in piena attività. Le oltre 50 spedizioni, gli 8000 d’inverno, i numerosi 7000, le vie nuove su di essi e sui 6000 e l’attività di arrampicata sportive già dagli anni 80, penso dimostrino che ho avuto capacità nel trovare e percorrere una strada ricca di esperienze e sempre in autonomia di pensiero e di risorse. Non faccio parte di nessun sodalizio, gruppo. Non ho divise e mi sento semplicemente libero e desideroso di crescere, imparare, sperimentare, narrare, sognare. Non faccio alpinismo per piacere o cercare consensi.
Non sono né un eroe, né uno diverso dai tanti che mi hanno preceduto e che verranno. La mia influenza e allocazione storica nel mondo alpinistico e generalista, la lascio valutare agli altri. Io so che non si è mai imparato e praticato a sufficienza nella vita per potersi ritenere veramente “esperto”.
Tu sei il primo uomo ad aver salito quattro dei quattordici 8000 in prima invernale, (Shisha Pangma 2005, Makalu 2009, Gasherbrum II 2011, Nanga Parbat 2016): hai un disegno al riguardo? Le salite fanno parte di una collezione o di un progetto specifico?
Be’ le collezioni sono state il motore di una parte dell’alpinismo del passato e di quello commerciale del presente. Collezionare non è sinonimo di esplorare. Le invernali, come i 7000 e 6000 inviolati o percorsi per vie nuove, come le salite in sud America o in Thien Shan sono state tappe di un chiaro percorso personale che è ben lontano da record e collezioni.
Ci parli dell’evoluzione dei tuoi progetti come pilota?
Come pilota sono decisamente “mediocre” se paragono le mie abilità dell’aria con quelle in montagna. Diciamo che sono un bravo studente… che impara velocemente e ama “allenarsi” tanto. Sono diventato pilota per realizzare un progetto che all’inizio pochissimi hanno capito e ancor meno hanno creduto possibile. Oggi c’è la Altitude srl in Italia che fa attività di volo, c’è la Altitude Helicopter in California che è la mia scuola di volo per ala rotante, fondata con mio fratello e infine c’è la Altitude Air, la ditta di elicotteri in Nepal che nasce sulla mia idea originaria di creare una unità di elisoccorso e operatore aereo specializzato in montagna che potesse aiutare i nepalesi e i turisti a salvarsi la pelle, tornare a casa e beneficiare di una risorsa unica come quella rappresentata dal mezzo a rotore. La mia carriera e le mie abilità in questo settore sono in costante inesorabile progressione e non lesino dedizione e risorse. I risultati imprenditoriali e di volo li devono valutare gli altri, io devo preoccuparmi di numeri e abilità.
Sempre in riferimento al pubblico meno tecnico: “forse non tutti sanno che” Simone Moro è stato un climber molto abile. Arrampichi ancora? Quali furono le tue migliori prestazioni?
Ti sto scrivendo dalla fila numero 3 del volo che mi sta riportando a casa da kalymnos. L’isola dei climbers. Certo che arrampico, sempre! Compatibilmente col tempo a mia disposizione che si alterna tra spedizioni lunghe diversi mesi e ripartenze arrampicatori, attività di volo, di conferenziere e scrittore. Diciamo che a me basta mantenere ogni anno un livello di 8a, ossia riuscire a salire tale difficoltà nel mio periodo top dell’anno. Ad ogni spedizione infatti si torna sfasciati muscolarmente e tutte le volte si riparte da un livello molto più basso. Quello che non mi manca è la voglia di allenarmi e amo farlo anche a secco. Le origini di arrampicatore sportivo e garista mi aiutano molto in questa forma mentis.
Com’è la tua giornata? Rispetto alla montagna e alla famiglia.
E’ sempre full gas, pienissima, strapiena, colma fino all’orlo. Allenamenti TUTTI i giorni, conferenze, interviste (adesso come ho detto sfrutto il tempo di volo), pilotaggio, relazioni con gli sponsor, le mie attività imprenditoriali e i progetti e la famiglia, mi obbligano decisamente a sfruttare ogni secondo della giornata. Spesso sono costretto a dormire poco o allenarmi di notte, intendo notte fonda, ma per il momento mi sta bene così, non mollo, peso ancora come quando avevo 20 anni, corro gli stessi chilometri, faccio le stesse performance atletiche. Tutto questo è il risultato di una disciplina personale e una dedizione che penso sia in realtà il mio vero tesoro.
Quanto ti alleni e come?
Corro mediamente 100 km la settimana su percorsi ondulati. Sono arrivato anche a 140 km nei periodi più intensi e di volume. Poi faccio esercizi fisici, al trave, sul mio muro d’arrampicata a casa e poi ovviamente in falesia e montagna. Quando sono in viaggio o in giro, mi porto qualche attrezzo, vado a correre ovunque mi trovi e poi e addominali, piegamenti in camera d’albergo o in palestra.
Cosa trovi in montagna e come hai cominciato?
Trovo la pace, la tranquillità e il silenzio, la mia serenità. In montagna trovo l’oasi per la mia anima. La mia vita è diventata davvero una lavatrice in modalità centrifuga. La mia progettualità, multidisciplinarietà e voglia di fare, hanno innescato davvero una serie di attività che divorano il mio tempo. Per fortuna sono intransigente, severo, stoico nella volontà di allenarmi e niente e nessuno vince su questa quotidiana disciplina mentale, ma so che questa qualità è ciò che mi ha permesso di essere credibile e performante quando si tratta di scalare una montagna difficile o trasformarsi in un animale da sopravvivenza. Chi è stato con me in spedizione e mi ha visto in azione sa di cosa parlo. In montagna ho anche incontrato persone eccezionali, importanti, uniche, come pure la pochezza di altre che anziché approfondire e conoscere, si mettono a giudicare di pancia o per sentito dire. Ne è valsa e ne vale comunque la pena, la Montagna rimane una splendida e raccomandabile opportunità.
Qual’è la montagna del tuo cuore?
Onestamente non ne ho una, davvero faccio fatica a fare classifiche. Ho nella memoria momenti magici passati in Pamir e Thien Shan, o sui 7000 che ho salito in Himalaya e Karakorum. I quattro 8000 d’inverno sono forse le scalate storiche che più di tutte le altre che ho fatto rimarranno non solo nella mia di memoria. Ma tutte le salite, anche quelle senza vetta, sono state delle esperienze magiche.
In te si riversano sia la preparazione sportiva, sia una profondità notevole, a coniugare prestazione e spiritualità: come ti poni al riguardo?
Io sono uno che crede in Dio, nei valori che ho appreso dalla famiglia e dal saper vivere in pace e sintonia con gli altri. Mi piace dare una mano a chi ha bisogno e non chiede, mi piace stare con i grandi vecchi e saggi che non finirei mai di ascoltare. Sono uno che ammira e rimpiange i tempi passati in cui io nemmeno c’ero, amo ciò che è a portata di uomo e la sensibilità di coloro che sanno ancora emozionarsi, sorridere, ringraziare. Sono molto diverso da quello che forse qualcuno pensa. Seppure sia forse abbastanza conosciuto non amo le feste (mai fumato e ubriacato in 48 anni), stare troppo in mezzo alla gente, sotto le luci della ribalta. Ho bisogno di silenzio, di pace, di genuinità e persone animate da entusiasmo straripante. Quando parlo e narro di me e delle mie esperienze lo faccio sperando di ispirare ed entusiasmare e non per aumentare followers, ottenere “like” o notorietà. Sono alla ricerca di momenti di vita serena ed entusiasmante, non di pokemon o di collezioni. Non amo fotocopiare mode, tendenze, opinioni.
Dove sta andando il mondo della montagna?
Dove lo porta la fantasia dei suoi appassionati e praticanti. La montagna è una delle ultime oasi di libertà. Non esiste un alpinismo bello o brutto, uno giusto e uno sbagliato. Tutto è alpinismo e tutto è libertà di praticarlo. Se non si arreca danno ad altri e all’ambiente, io sono uno che tollera davvero tutto, anche le cose molto diverse dal mio modo di pensare e praticare. Il mondo della montagna va come è sempre andato, a cicli, spesso si ritorna al passato e alle origini attualizzando con conoscenze e tecnologie, ma alla fine reinventando ciò che era gia.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sono sia elicotteristici, sia alpinistici. La mia prossima spedizione non sarà invernale, ma primaverile. Ho deciso di non dire ancora nulla perché le idee devono crescere e consolidarsi nella mente prima di essere annunciate. Devo insomma innamorarmi di questo progetto e sono sulla buona strada.
Tu vai al cinema? Guardi la Televisione? Ascolti musica? Vai a teatro? Quali sono i tuoi gusti?
Non vado MAI al cinema. Sono stato 5 volte in tutta la mia vita. La tv la guardo molto raramente, guardo notiziari (di diverse campane e lingue) o approfondimenti. La musica la ascolto abbastanza e di tutti i generi, non troppo chiassosi o tecno. Teatro è come il cinema e la mia frequenza analoga…
Cosa diresti a un ragazzo che si avvicina al mondo della montagna?
Che deve divertirsi, sognare , gioire e rispettare. Con questi elementi deve provare poi a costruire un progetto e un percorso, senza mai sacrificare nulla di questi elementi. Si può vivere qualsiasi passione e attività in montagna a qualsiasi livello, continuando a basare tutto su questi quattro pilastri.
Christian Roccati
SITO – Follow me on FACEBOOK