Il 20 dicembre di un secolo fa veniva autorizzata la prima spedizione verso l’Everest (8848 metri), la vetta più alta della Terra
Cento anni fa, un telegramma spedito da Lhasa, la capitale del Tibet, ha cambiato la storia dell’avventura, e anche quella dell’Asia. Il messaggio, inviato il 20 dicembre 1920 dal Dalai Lama alle autorità dell’India britannica, autorizzava la partenza della prima spedizione verso l’Everest, che con i suoi 8848 metri è la vetta più alta della Terra. Inizia con quelle poche righe una straordinaria avventura, nella quale gli exploit dei migliori alpinisti del mondo si alternano fin dall’inizio a terribili tragedie.
Dopo la prima spedizione, che nel 1921 ha raggiunto i 7000 metri di quota, sono arrivati la prima ascensione compiuta nel 1953 da Edmund Hillary e Tenzing Norgay, la prima senza bombole di ossigeno da parte di Reinhold Messner e Peter Habeler nel 1978, la prima invernale del 1980 da parte di un team polacco.
Contrastano con queste vittorie la scomparsa a 8500 metri di quota degli inglesi Mallory e Irvine nel 1924, le 10 vittime del 1990 quando una bufera ha investito due spedizioni a poca distanza dalla cima. E le 15 vittime causate, nell’aprile del 2015, da una valanga staccata dal terremoto che quel giorno ha sconvolto il Nepal.
“L’Everest non è solamente una montagna. E’ anche uno strumento per leggere la storia del mondo”, spiega Stefano Ardito, giornalista, scrittore ed esperto di avventura e alpinismo, autore di “Everest. Una storia lunga 100 anni”, appena pubblicato da Laterza. “Per i tibetani la montagna si chiama Chomolungma, ma i topografi britannici che l’hanno misurata nell’Ottocento le hanno dato il nome di un collega. Nel 1950, con l’occupazione cinese del Tibet e l’apertura delle frontiere del Nepal, le spedizioni si sono spostate dal versante settentrionale a quello meridionale del gigante. Dal 1980, quando la Cina si è aperta al turismo, entrambi i versanti sono frequentati”.
Sull’Everest, in un secolo di avventure, si sono cimentati i migliori alpinisti del mondo. Insieme alle loro storie, Ardito racconta la vicenda degli sherpa, i montanari di etnia tibetana e di nazionalità nepalese che nell’Ottocento hanno iniziato a lavorare nelle piantagioni di tè di Darjeeling, poi sono stati ingaggiati come portatori dalle prime spedizioni e sono diventati nel tempo degli straordinari alpinisti.
Ai piedi dell’Everest, come racconta Stefano Ardito, c’è anche un’eccellenza italiana. “E’ la Piramide, un laboratorio scientifico a 5000 metri di quota, che ospita dal 1990 ricerche sui ghiacciai, la fauna e la flora, la fisiologia del corpo umano ad alta quota. E dove, negli ultimi anni, è diventato fondamentale il lavoro sul cambiamento climatico”.
Intorno all’Everest, ricorda ancora Ardito, negli ultimi decenni è nato un business importante. Ogni anno, oltre un migliaio di alpinisti di tutto il mondo punta alla cima affidandosi a spedizioni guidate. Ognuno di loro spende dai 50.000 dollari in su, per un budget totale di circa 30 milioni di dollari.
Il 2019 ha visto 879 uomini e donne raggiungere la vetta dell’Everest. Anche le decine di migliaia di trekker, i camminatori che raggiungono ogni anno il campo-base, spendono i loro soldi a Kathmandu, la capitale del Nepal, e nei villaggi ai piedi della montagna.
“Nel libro racconto la storia e il lavoro delle guide occidentali che accompagnano ogni anno i loro clienti verso la cima. E quello delle grandi guide nepalesi come Kami Rita Sherpa, che da ragazzo avrebbe voluto diventare un monaco buddhista, e che invece è arrivato per 24 volte sull’Everest”, spiega l’autore.
Poi, nella primavera del 2020, il Covid-19 ha bloccato le ascensioni, e stroncato il business dell’Everest. Secondo il governo del Nepal, che è uno dei Paesi più poveri del mondo, lo stop alle spedizioni e ai trekking ha lasciato senza lavoro circa 200.000 nepalesi. Il danno economico è di circa 7 milioni di euro al mese. Nel 2020, dopo decenni di spedizioni e avventure, sulla cima più alta della Terra è tornato un silenzio assordante. Non si può leggere della storia dell’Everest, o appassionarsi di fronte alle avventure e ai drammi avvenuti a 8000 metri, senza augurarsi che la montagna più alta del mondo ridiventi una fonte di emozioni e di lavoro. (Fonte)