Prime settimane, tra difficoltà e incontri
Prosegue il viaggio di Stefano Gregoretti e Dino Lanzaretti attraverso la Siberia invernale. Mentre pedalano a temperature comprese tra -50 e -60 gradi centigradi raccolgono testimonianze. Da dietro le maschere ghiacciate che celano espressioni e sentimenti, raccolgono le impressioni della gente che incontrano.
“Qui le persone non appaiono molto interessate al problema della crisi climatica, sono impegnate a sopravvivere” spiegano. “Durante i primi giorni di pedalata siamo stati accolti da alcuni allevatori di renne e abbiamo osservato che dentro le case le stufe continuano a essere a carbone. Non ci sono forme di attenzione verso le emissioni”. Sulle strade gli incontri non sono così frequenti. Sono gli unici in bici, per il resto incontrano grossi camion e poco altro. Nessuno si muove nel gelo siberiano.
Problemi e nuove strategie
Nei primi giorni di pedalata i due si sono trovati ad affrontare diversi problemi tecnici legati alle basse temperature. Il grasso dei cuscinetti a sfere della bici di Dino, per esempio, si è congelato impedendo la pedalata. “Abbiamo dovuto fare un importante lavoro di pulizia rimuovendo grasso e olio da ogni componente delle biciclette per poter continuare”. Un problema simile lo hanno avuto con i carrelli porta materiale attaccati alle bici, “ma in questo caso, non avendo accesso ai cuscinetti, siamo stati costretti a lasciarli in un villaggio caricando i materiali direttamente sulle bici. Abbiamo dovuto rinunciare a molti materiali, ci muoviamo quasi in stile alpino volendo fare un paragone con le montagne”.
Qualche numero
Stefano e Dino viaggiano a una velocità media di 8-10 chilometri orari pedalando su bici che, a pieno carico, raggiungono i 50 chili di peso l’una. Il tutto muovendosi a temperature comprese tra -50 e -60 gradi. i chilometri percorsi variano di giornata in giornata, ma in generale rimangono in sella tra le 6 e le 7 ore.
“Un piccolo problema che obbliga ad una sosta, può volgere in dramma a -55 gradi in pochissimi minuti; occorre saper suonare lo spartito della sopravvivenza, saperne leggere le note, ed avere gli strumenti e gli orchestranti capaci di creare quella sinfonia che sono la base per vivere” spiegano romanticamente i due per descrivere le condizioni in cui stanno vivendo questa esperienza.
La notte si accampano nella tenda che portano con se, scaldando l’interno grazie a una piccola stufa in titanio da 1,5 chili. Quando è a regime, garantisce una temperatura interna di -38 gradi, rispetto ai -50 esterni. Ma per loro non è solo un mezzo con cui scaldarsi “serve per sciogliere la neve con la quale ci reidratiamo e reidratiamo i nostri pasti. Semplicemente perché altri fornelli moderni non funzionano, in quanto la benzina congela a -48 gradi e il propano molto ma molto prima”.
“Quanto ci si impiega a fare un chilometro? Dipende – spiega Stefano – Vedo pendenze del 9% e già so che dovrò spingere la bici a mano. I chiodi mordono il ghiaccio e rallentano tutto, comincio ad aprire la giacca. Sentire perennemente freddo è buono, significa che non stai sudando, sarebbe letale. Mi verrebbe da alzarmi sui pedali come faccio a casa, toccare la soglia e sentire le gambe bruciare, ma non posso. Il respiro aumenta, non uso più solo il naso, il fiato caldo scioglie il ghiaccio nella maschera che comincia a bagnarmi la maglia intima. Non va bene! Finché tutto è congelato c’è equilibrio. Devi avere sempre freddo, è quello l’indicatore che non stai sudando. Se ti bagni di sudore la dispersione di calore è fuori controllo e l’ipotermia è dietro l’angolo. Trovare l’equilibrio nel disagio ripetuto, ancora e ancora. Basta illudersi che sia semplice.”