Qui la prima parte del racconto
Inizia la grande camminata…
La sveglia era all’alba, decisamente fredda, mi preparai velocemente e in poco tempo con lo zaino carico di tutto il necessario, iniziai il mio lungo cammino, alla destra del surreale Half Dome e tra suggestive cascate.
Un grosso cartello all’inizio, riassumeva tutte le distanze delle varie destinazioni e per quanto riguardava il JMT, senza particolari sconti, c’erano scritte ben evidenti le miglia che dovevo percorrere, ben 211 ovvero circa 340km; leggerle mi fece battere forte il cuore.
Non importava se aveva nevicato alcuni giorni prima, ero fiducioso, volevo provarci, ero pronto.
Finalmente iniziai a macinare chilometri su chilometri felicissimo, la giornata era stupenda, i miei occhi assorbivano uno spettacolo dietro l’altro, come se non ci fosse stato un domani, non esisteva altro in quei momenti, ero totalmente devoto e immerso nella contemplazione di quella natura.
A ogni tratto di bosco fitto, mi tornavano in mente i pensieri su quelle meravigliose creature che avrei potuto incontrare in qualsiasi momento; ero a casa loro.
Dovevo prestare attenzione, come suggerito dai rangers, in particolare con il cibo, che avevo riposto obbligatoriamente dentro un resistente box di policarbonato; fino a quel momento, stranamente ancora nessun avvistamento.
Arrivai al Little Yosemite camp, un’area attrezzata dove chiunque può accamparsi comodamente e riprendere fiato.
Mi fermai veloce per chiacchierare con un ranger simpaticissimo, impegnato con dei sopralluoghi di routine; guardandomi intorno pensai che fino a quel momento non avevo visto nemmeno un’ italiano, solo stranieri e la cosa stranamente mi piaceva.
Durante quella meritata pausa, sotto un sole che scottava, decisi di riempire nuovamente le bottiglie con dell’acqua, prendendola dal vicino torrente Merced che si trovava a pochi passi; per bere dovevo usare il mio filtro compatto e qualche pastiglia di cloro, utile per evitare “incontri” spiacevoli con alcuni parassiti, in particolare la Giarda, purtroppo assai presente nelle acque del Parco.
Dopo la breve sosta, ripresi immediatamente la camminata con destinazione Tuoloumne Meadow, non volevo perdere tempo.
Passo dopo passo, senza rendermene conto, tranne le mie spalle per il peso dello zaino stracarico, mi trovai a procedere spedito mediamente su altezze che si aggiravano tra i 2500 e 3000 metri, e in queste zone la vegetazione la si trova anche in alta quota per il clima più caldo, ma ahimè a sorpresa trovai anche la neve, caduta cospicua pochi giorni prima e che speravo sinceramente fosse più in alto.
Il sentiero in condizioni normali era ben visibile, ma con la neve, sprofondavo ad ogni passo e faticavo a trovare agilmente la traccia senza l’ausilio di un navigatore gps.
Ero fornito, un po per scelta, solo di mappe, bussola e un localizzatore satellitare utile in caso di pericolo.
Arrivai così poco prima di Cathedral Pass con il tramonto, in ritardo secondo la mia tabella di marcia.
Avevo percorso in un solo giorno quasi 40 km con 2500 metri di dislivello positivo; contavo di arrivare a Tuoloumne Meadow, ma così non è stato.
Installai la tenda per la notte e in religioso silenzio, ascoltavo quello che la natura mi stava regalando in quei momenti; avevo i sensi a mille, i miei occhi seguivano ogni rumore durante i preparativi della cena; il menu in quell’occasione proponeva del riso e pollo liofilizzato cotto semplicemente con acqua bollente ricavata dalla neve, ma era buonissimo lo stesso, la fame era tanta; ero nel cuore selvaggio del Parco di Yosemite, mi sentivo osservato, lo percepivo.
Capivo che la natura di quei posti mi stava mettendo alla prova, forse voleva conoscermi e difatti già con la prima notte, lontano da tutti, mi regalo’ un’emozione che ricorderò per tutta la vita;
Ero molto stanco, non stavo dormendo bene e durante il mio rigirarmi nel sacco a pelo, aprii gli occhi bruscamente a causa di fortissimi latrati, davvero penetranti; era quasi certamente un branco di coyote che stava girando intorno alla mia tenda; mi si era gelato il sangue, avevo gli occhi sbarrati, paralizzati, il cuore a mille e l’unica cosa che feci istintivamente fu quello di aprire il mio coltello serramanico e tenerlo vicino a me, forse stupidamente, ma fu l’unica cosa che in quegli istanti a me nuovi e inconsueti, mi diede conforto.
Dovette passare forse mezz’ora, interminabile, prima di capire che mi ero spaventato inutilmente; non sentii più nulla, tornò il silenzio e la quiete, ma faticai a riprendere sonno.
Il giorno seguente arrivò veloce e reduce da una notte quasi in bianco, ripresi la marcia spedito per il Lyell Canyon, sotto un sole meraviglioso, la direzione era il Donohue Pass, sempre in mezzo alla neve e con non poca difficoltà.
Stavo procedendo troppo lentamente secondo i miei piani e arrivato al Donohue Pass, morsicando senza troppa fame un veloce panino, presi una decisione sofferta: il JMT non potevo continuarlo.
Era impossibile farlo in soli 7/8 giorni con queste condizioni ambientali.
Una buona mezz’ora di tentennamenti sulla scelta e il sogno svanii in quegli istanti;
arrivato fino a quel punto, però non volevo tornare indietro subito e cercai un’alternativa senza perdermi d’animo.
Sulla cartina vidi un sentiero che dal Waugh Lake portava verso il Gem Pass, nei pressi di alcune montagne che sfioravano i 4000 mt.
Mi piaceva l’idea, era una valida scelta, potevo salire lassù.
Decisi in fretta quindi dove montare la mia tenda, il sole a ottobre sia sa è abituato a scendere veloce dietro all’orizzonte; mi fermai così ad ammirare gli ultimi raggi di una giornata davvero intensa.
L’alba del giorno dopo mi regalo’ un’altra fortissima emozione, un orso aveva seguito le mie tracce, ma non mi ero accorto di nulla durante la notte.
Provai un po intimorito a seguirle per un pezzo senza allontanarmi troppo dalla tenda, cercando di capire i suoi spostamenti e magari di scorgerlo da lontano, ma anche questa volta non aveva voluto rivelarsi.
Il sole arrivò puntuale, riscaldando rapidamente le mie membra ghiacciate; mi aiutai anche con un buon tè caldo e durante l’attesa della preparazione, divertito pensai anche di scaldarmi correndoci attorno goffamente, quasi come una danza rituale e di incoraggiamento, ne avevo assolutamente bisogno.
Giorno dopo giorno, stavo scoprendo risvolti nascosti della mia mente, di capacità di adattamento a me non note, ero sorpreso, non conoscevo ancora me stesso fino in fondo.
Fatta la colazione, sentivo che stavo bene, le gambe non davano nessun segno di stanchezza, iniziai quindi a salire con agilità i facili pendii, seguendo sempre linee intuitive tra la neve, e arrivai in poco tempo sulla cima del Mount Wood;
3853 metri, un panorama indescrivibile, di altri mondi, tra la catena dei Minarets e l’enorme lago salato Mono Lake.
Lassù mi sembrava di volare, non sentivo minimamente la quota, la natura di quei posti mi aveva messo alla prova per conoscermi e mi aveva poi accolto a braccia aperte; la ringraziai con lacrime di gioia.
Non volevo scendere, la temperatura era gradevolissima ed ho potuto così fare diverse foto e video per ricordarmi quanto bello fosse stare li.
Come detto prima, l’obiettivo di fare il JMT in una settimana non era realizzabile a causa della neve che mi rallentava il passo, le scorte calcolate per sette, otto giorni sicuramente non sarebbero bastate, non volevo fare stupidaggini, avevo tentato la sorte, ma è sempre madre natura a dettare le regole, e noi dobbiamo solo assecondarla e rispettarla.
Felice comunque per la meravigliosa ascesa fatta su quella montagna e per il regalo che avevo ricevuto, tornai dove avevo lasciato la tenda per trascorrere l’ultima notte, ospite tra i monti Minarets.
La mattina seguente partii per ripercorrere senza esitazioni il tracciato che avevo fatto in andata, arrivai così nuovamente a Little Yosemite con il tramonto, dove decisi di fare il mio campo base per poter esplorare nei giorni successivi in velocità, tutte le cime della zona.
Salgo in pochi giorni l’Half Dome, il Clouds Rest, il Fletcher Peak, il North Dome e il Sentinel Dome, concretizzando in questo modo una settimana comunque per me strepitosa, tra l’altro condivisa e raccontata con altri escursionisti stranieri incontrati quei giorni, piacevolmente seduti le sere attorno ad un magico fuoco.
Finite le mie esplorazioni, senza avere fretta, rientrai nell’affollato fondovalle, dopo oltre una settimana di emozioni e sudore; volevo farmi una bella doccia e avevo scoperto che era possibile farla, pagando, presso il Curry Village.
Arrivai a farla finalmente e ci voleva proprio; mentre l’acqua calda scorreva sopra il mio corpo, chiudendo gli occhi estasiato e soddisfatissimo, pensavo che era tempo di organizzarmi per andare a vedere il JMT più a sud,forse con meno neve, attraverso il Sequoia National Park…
Fine seconda parte.