25/03/2016
Scrivo al mio grande amico Mattia Runggaldier per sapere se è libero per Pasqua: mi piacerebbe andare su in Val Gardena a scalare. Mi dice che in quei giorni sarà libero e ci mettiamo d’accordo per pensare ad una via da fare con piccozze e ramponi.
Qualche giorno prima della data stabilita mi arriva un suo messaggio su Facebook: ti va di provare a sinistra del Salame sul SassoLungo? (Il Salame, parete settentrionale del SassoLungo, è conosciuto nell’ambiente Alpinistico in quanto nel 1940 venne aperto un severo e bellissimo itinerario da Emilio Comici e il suo compagno di cordata Severino Casara. E’ l’ultima via di Comici prima della sua prematura scomparsa in Vallunga) Io non ci penso un secondo e dico di sì.
Il SassoLungo per me è la montagna per eccellenza. Avevo 7 anni quando l’ho vista la prima volta da casa della Lidia Kelder a Santa Cristina in Val Gardena. Ricordo ancora quando, dopo il lungo viaggio in autostrada uscivamo al casello di Chiusa, giocavo coi miei fratelli a chi lo vedeva prima. O quando la sera, dopo cena, mi affacciavo sul terrazzo dell’appartamento che per due settimane diventava la mia casa e mi godevo assieme ai miei fratelli la roccia della maestosa montagna mentre diventava rosa. Ogni volta chiedevo a mio padre di spiegarmi chi colorava la montagna e lui con un sorriso mi rispondeva: è un dono della natura.
Decidiamo di partire dal Monte Seur con gli sci d’alpinismo e di arrivare alla base del canale stabilito per poi procedere a piedi. Non sappiamo dove l’itinerario scelto ci porterà ma Mattia ha visto una via che porterebbe fino ad una forcella a sinistra del Salame.
Il tempo è dalla nostra parte: non fa affatto freddo e appena iniziamo a salire la temperatura quasi primaverile si fa sentire. Siamo noi e la natura. La neve scricchiola sotto le pelli dei nostri sci e in mezzo al bosco l’aria profuma di primavere. Che bello sentirsi vivi e parte del tutto.
Arrivati all’attacco del canalone Mattia decide di proseguire con le pelli mentre io, meno bravo di lui con gli sci, li abbandono e inizio la lunga salita a piedi; proseguire con gli sci per me sarebbe stato davvero duro e in più la discesa impossibile non essendo mai andato fuori pista.
La salita a piedi di circa 200 m di canale mette in moto ogni mio muscolo: la neve non perfettamente trasformata e ghiacciata cede a volte sotto il mio peso e rende la salita più dura. Assaporo la fatica positivamente in quanto in cuor mio mi ripeto quanto poteva essere peggio sprofondare di più ( mi piace trovare il lato positivo di ogni cosa ). Arrivati all’attacco della parete il mio compagno di avventura ha già creato una bella piazzola e visualizzato la possibile via di salita.
Qui mi viene in mente una conferenza di Hervé Barmasse mesi fa a Bologna: spingeva i giovani d’oggi a ricercare l’avventura, a non seguire sempre il sentiero segnalato studiando tutte le relazioni del caso ma, usando testa e cuore, andare dove non ci sono sentieri e di lasciare una traccia. Qui da noi dove tutto sembra scoperto, conosciuto, umanizzato, sosteneva che vi è ancora la possibilità di perdersi per ritrovarsi, di uscire dagli schemi e sentirsi esploratori. Anche noi (comuni mortali rispetto ai grandi alpinisti ) possiamo fare avventura senza seguire sempre un itinerario segnato ma utilizzando l’immaginazione e sognando.
Bene: oggi io e Mattia proviamo a fare avventura. Non sappiamo fin dove riusciremo a salire, se sarà facile o altro. Ma stiamo sognando e ciò ci basta.
Mattia, più forte di me fa il capo cordata e incomincia a montare la via. Prepara la prima sosta e mi fa cenno di salire. Zaino in spalla, ramponi ai piedi e picche alla mano: parto. Subito il sangue mi scorre forte nelle vene e i muscoli si tendono. Mi sento vivo dalla testa ai piedi e fatti i primi metri tra incertezza e titubanza prendo subito confidenza con la neve e roccia e arrivo in sosta.
Lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è immenso. Nonostante l’abbia visto dal basso mille volte il paesaggio della Val Gardena è favoloso: ancora tutto innevato come nelle migliori stagioni invernali. Qui immagino i miei fratelli a casa in Romagna che possono stare quasi in maglietta mentre io invece sono qua, in mezzo alla neve sul SassoLungo.
Guardo in basso e vedo in lontananza alcune persone che sciano. Nonostante la civiltà sia a portata di sguardo mi sento piccolo, fragile e in qualche modo in una vita parallela rispetto alle comodità di ogni giorno. In qualche ora potrei già essere giù in una Baita a bere grappa e mangiare strudel ma in quel momento dentro di me una forza primordiale mi fa sentire lontano da tutto, solo con il mio amico e alle prese con la nostra salita.
Riprendiamo a salire in un misto tra neve e roccia che ad ogni picconata si rompe. E’ come camminare sulle uova: massima attenzione ad ogni passo. Ciò mi fa assaporare ancora di più la salita. Ogni mio movimento è volto a ricercare l’equilibrio perfetto tra roccia, neve e corpo. Chi arrampica sa bene quanto sia importante la ricerca di equilibrio per poter risparmiare energie e stare comodo in parete. E’ una sensazione bellissima quando senti che il tuo corpo è alla ricerca di tale posizione e, una volta trovata, anche il più piccolo appiglio ti tiene su.
Riprendiamo a salire slegati per un canale di neve ripido. Mattia conduce e io seguo i suoi passi fedelmente. La fiducia in montagna come nella vita è alla base di tutto. Senza di quella sarebbe impossibile affidare la propria vita al compagno di cordata e una bellissima scalata si trasformerebbe in un film dell’orrore.
Procediamo mentre sopra di noi cade qualche tenue fiocco di neve. Il gigante SassoLungo sembra sempre più grande nonostante è qualche ora che saliamo e il mio rispetto verso di lui cresce ad ogni passo. In montagna non ci sono vincitori, ma solo persone che vanno alla ricerca di qualcosa. Ci chiamano i conquistatori dell’inutile ma io, nel mio piccolo (sia ben chiaro non mi sento un alpinista) ritengo di essere un conquistatore dell’utile. Si dell’utile. Quando vado in montagna mi sento migliore e scopro sempre qualcosa di nuovo dentro di me. Scalare per me è fare un viaggio dentro me stesso, dentro la casa del mio cuore; mi sento vivo e ciò ritengo sia una delle cose più belle nella vita: fate ciò che vi fa sentire vivi!
Continuo a salire mentre Mattia si è fermato. Non lo vedo più perché il canale fa una lieve curva a sinistra ma sento che sta scavando. Lo raggiungo. La nostra salita si conclude li. Davanti ai nostri occhi c’è un salto di neve poco consistente (non ghiacciata) di 4/5 m e tentare di salirla potrebbe far crollare tutto. Ai lati ci sono due pareti lisce di roccia impossibili per noi da scalare. Mattia sta scavando una buca per seppellire un tronchetto robusto di un albero (che saggiamente aveva preso su da casa per un eventuale e inaspettata calata e non lasciare nessun materiale in parete) da utilizzare come corpo morto e calarsi in corda doppia.
La nostra avventura si è interrotta a 2700 m circa ma è stato un successo interiore grande. Procedere nell’ignoto, cercare la via, la tua via, ti lascia qualcosa dentro di inspiegabile. Nonostante non siamo arrivati dove volevamo questa scalata ci ha arricchito molto e come spesso accade rientriamo alla quotidianità pieni di vita e di voglia di ripartire. Non sempre è importante il raggiungimento della meta anzi: la meta si è importante, ma è più importante ciò che ti lascia tutto il percorso per raggiungerla. Sia che tu ci arrivi o meno ciò che ti lascia l’aver tentato, provato, faticato e sognato è impagabile. Non si è mai sconfitti ma solo vincitori.
Le difficoltà incontrate nella nostra arrampicata sono state di diverso tipo. A livello di scialpinismo l’avvicinamento al canale è stato molto semplice in quanto non abbiamo dovuto affrontare pendii ma solo lievi sali-scendi (grado di difficoltà nella scala UIAA F = facile). Il canale invece attaccato da Mattia con gli sci è risultato PD = poco difficile, per lo più un pendio fino a 45/50 gradi circa. La neve era ottima e non presentava parti ghiacciate che avrebbero aumentato la difficoltà sia in salita che in discesa (scala di difficoltà S3/S4). La salita del canale a piedi invece non presentava nessuna difficoltà tecnica e richiedeva solo la conoscenza dell’uso dei ramponi e piccozza. L’arrampicata su misto invece è avvenuta prevalentemente sul grado M3 (pendenza ma non necessario l’uso della piccozza) e brevi passaggi in M4 (Pendenza maggiore e necessario l’uso delle piccozze) in parte su neve poco ghiacciata e in parte roccia. Il rientro è avvenuto sia disarrampicando (per canali di neve e roccia dove l’attenzione doveva essere massima ) e con due calate da 60m in corda doppia utilizzando come punto di calata un corpo morto ( tronco di legno nel rispetto dell’ambiente ). Alla macchina poi siamo rientrati con gli sci ai piedi per una delle due piste che partono dal Monte Seur e che portano al Monte Pana ( Val Gardena ).