Ho guardato il Monte Bianco con gli occhi meravigliati di chi non aspettava altro che crescere. Ho letto di gesta e d’imprese di uomini fuori del comune, di salite e di salvataggi impossibili, di tragedie che hanno segnato per sempre l’animo di quelle rocce cristalline. Sognavo Chamonix più che la California e guardavo con ammirazione quegli eroi del verticale che il granito e la tormenta avevano consacrato ai libri di storia. Da allora molta roccia e molto ghiaccio sono passati sotto le mie mani. Per primo, molte volte, ho accarezzato i lembi così differenti di quel misterioso mondo minerale. Spesso l’ho fatto da solo. Ho raggiunto quei traguardi che i miei occhi di ragazzo fantasticavano oltre le montagne? Forse sì o forse ho soltanto avuto l’illusione di aver volato veloce in un mondo incantato in cui mi sono dimenticato spesso delle piccole cose. Oggi ho anch’io quel distintivo all’inizio tanto inseguito e visto come inarrivabile, e oggi posso sedere (non sempre senza disagio) con quegli uomini di cui ammirai le imprese sulle vette del Monte Bianco e delle Alpi. Oggi però non mi sento per nulla “arrivato”, anzi, mi sembra d’aver ancora tutto da scoprire in pochissimo tempo e con non più tutte le forze di una volta. Spesso guardo giovanissimi amici che si avviano con tutte le carte in regola al mondo della montagna e del verticale, e ne provo invidia. Vorrei allora ripartire da quei riti iniziatici consumati a suon di letture e di goffi tentativi autodidatti sulle rocce. Vorrei ridisegnare con la fantasia quelle scalate che forse non farò mai “da grande” e che rimarranno le più belle perché solo agognate. Ogni riconoscimento ricevuto, ogni “distintivo” guadagnato, allora, segna in qualche modo un arrivo e la fine di un sogno, la cui potenza e bellezza risiedeva proprio nel “divenire”. Vorresti allora spogliarti di ogni traguardo raggiunto, e ricominciare solo a salire leggero.