“Rischio calcolato” è un’espressione cui non sono del tutto estraneo. Nel mio piccolo e nell’ambito della cosiddetta “inutilità” dell’andare a cacciarsi in situazioni potenzialmente pericolose, qualche volta mi ci devo confrontare. Nelle mie uscite su ghiaccio da solo non ho la corda, nemmeno per scendere, e scelgo le salite in base ad alcuni parametri che ritengo essere gli unici possibili: la maggiore valutazione dell’elemento che sono in grado di fare, derivante dalla mia esperienza, la disamina dei pericoli oggettivi dell’ambiente dove mi muovo, la morfologia e la possibilità eventuali di “uscita” dal flusso ghiacciato, la possibilità di scendere in qualche modo a piedi o con brevi disarrampicate. Poi, la mia condizione di forma e psicologica del momento e, infine, la difficoltà oggettiva della salita, sempre al di sotto di quelle che ritengo essere le mie capacità. Questo è il mio “rischio calcolato” o per meglio dire “accettabile”. La realtà è che il tutto continua a costituire una situazione estremamente pericolosa, perché un sacco di cose possono andare male, anche nell’ambito dei miei “calcoli” preventivi. Siccome questi “calcoli” delle volte mi fanno paura, arrivato sotto la cascata, rimetto gli attrezzi nello zaino e me ne vado a prendere il sole. La struttura è invitante, ma penso che in sette-dieci giorni le condizioni miglioreranno, tali da essere più “accettabili”. Io, però, decido per me. Non ho nessuno che mi fa pressione e non sono obbligato a farlo, né ora né mai. Ora, io credo che in altre situazioni il “rischio calcolato” deva basarsi, con tutte le dovute differenze, su valutazioni di questo genere, le migliori possibili. Se si parla di una situazione sanitaria, epidemica, queste valutazioni le possono fare i sanitari e quelli che sanno analizzare i “numeri”. Non le posso fare io che semmai m’intendo più di “ghiaccio”, non le può fare il buon verduriere, che mi consiglia i suoi prodotti ogni martedì mattina, e tanto meno le dovrebbero farle certi personaggi della politica che da tempo affermano tutto e il contrario di tutto. La scienza dovrebbe fornire delle prospettive in base ai “numeri” e delle linee guida per quelle che sono le sue competenze, senza per questo, in un paese progredito, essere svilita e attaccata continuamente. Lo dovrebbe fare in modo equidistante dal colore politico, senza essere strattonata da questo o da quello. La politica, invece, dovrebbe ascoltare e dare delle risposte chiare e immediate alla gente in difficoltà. I compromessi non funzionano, soprattutto se intrisi di propaganda spicciola. La politica, del resto, ha fatto almeno il triplo degli errori che vengono imputati alla scienza. Questa pandemia ha insegnato alcune cose comprensibili anche a noi “omini della strada” (e del “ghiaccio”): le misure di contenimento hanno azzerato completamente o quasi l’influenza stagionale, mentre il Covid-19 con relative varianti ha continuato a circolare, dunque è estremamente più contagioso . Che i luoghi più a “rischio”, indipendentemente dalla distanza, sono quelli al chiuso e dove si toglie la mascherina, specialmente ora che circolano le cosiddette varianti più aggressive. Che il vaccino, stando ai numeri, riduce la possibilità di sviluppare la malattia grave. Ecco, questo lo sappiamo anche noi “non scienziati”, sempre che non crediamo che sia tutto un complotto, che i vaccini siano uno strumento occulto con cui iniettarci dei microchip, che la terra sia piatta e che si guarisca bevendo l’acqua del Gange. Io, inutile dirlo ogni volta, sono uno di quelli che sta raschiando il fondo del barile, perché se il turismo alpino non riparte non mangio. Sono molto più in difficoltà di tanti altri che si riempiono la bocca di slogan ma che poi hanno altre fonti di sostentamento. Vorrei ripartire, dunque, ma quando il momento è davvero “accettabile”, per non rischiare di compromettere oltre una situazione già compromessa. Questo significa pensare davvero alla sopravvivenza. E la “paura”? Sì perché la “paura” è quella condizione che non permette di riprendere a vivere, dice qualcuno. Beh sulla “paura”, a dire il vero, avrei qualche argomento di discussione, ma grazie alla paura che ho, tantissime volte, ripongo gli attrezzi nello zaino e aspetto tempi migliori, magari solo un paio di settimane. Guardo ogni giorno l’evolvere delle condizioni della montagna, e poi decido. Allora e solo allora posso dire di aver fatto i migliori “calcoli” possibili.