“Voglio sogni duri come le pietre, perché la vita non me li possa distruggere”.
Jim Morrison
Non mi sono mai “tenuto” abbastanza da poter dire di essere un “boulderista”, neanche ai “tempi d’oro”.
Eppure i sassi sono stati il mio primo trampolino verso il cielo, quando, da bambino, mi divertivo a salire e scendere quelli disseminati nei prati della Val Veny e della Val Ferret. Guardavo le Jorasses e la Peuterey sopra di me e fantasticavo di averne scalato un piccolo pezzetto. Anche i giochi adolescenziali nel bosco ruotavano attorno ai sassi, e dovevamo salire su un masso per raggiungere il nostro rifugio segreto. La “banda del pietrone” ci aveno battezzato i nostri rivali.
Una volta intrapresi i rudimenti dell’arrampicata, fu sui massi che sperimentai per la prima volta i miei scarponi nuovi e poi le scarpette a suola liscia. Lì piantai il primo chiodo da roccia e conobbi alcuni dei miei “maestri”.
Passavo ore ed ore su quei grandi massi vicino a casa, a studiare i movimenti, a provare i materiali. Ma soprattutto amavo il contatto arcaico con quella roccia. Vi fu addirittura un arrampicatore che si riteneva di “quelli seri”, che per lungo tempo sostenne che mi vedeva sempre solo “appoggiato ai massi”. Sorrisi spesso, in seguito, guardando verso il fondovalle dalla cima di quelle alte montagne, che infine avevo raggiunto attraverso vie famose e vie nuove… pensandolo laggiù… mentre si “scavava” le prese giuste al posto giusto per ricavarsi il suo spazietto di gloria su qualche monotiro.
Ma accanto al gioco delle pareti e delle montagne, anche il gioco dei sassi è continuato e, negli anni, ho accolto con curiosità e con piacere la rinnovate fortune del bouldering. Oggi mi piace seguire le evoluzioni di tanti giovani amici specialisti dei “sassi”, ammirando la dedizione con cui passano interi week-end a spazzolare e provare nuovi passaggi.
Penso al buon Gian Carlo Grassi ed alla sua capacità di appassionarsi ad una grande parete alpina, tra seracchi sospesi, così come ad una giornata spesa alla ricerca di nuovi passaggi sui massi erratici della bassa Valle di Susa. Davvero, come lui sosteneva, il “sassimo è spazio per la fantasia”.
Anche per la cima di un masso può esistere un “sentimento della meta” se si sa vivere una piccola avventura scalandone un versante.
Ed è così che anch’io, sul far della sera o in una bella giornata di sole autunnale, amo ritrovarmi “appoggiato” ai miei massi.