“J’ai rencontré ce matin,
devant la haie de mon champ
Une troupe de marins
d’ouvriers, de paysans
Où aller vous camarades
avec vos fusils chargés?
Nous tendrons des embuscades,
vient rejoindre notre armée”
La Blanche Hermine – Gilles Servat
Un drappello di uomini, tutti volontari scelti tra i più esperti della valle, risale il vallone della Gura. E’ il novembre del 1944. Sono diretti al Col Girard, il ripido scivolo di ghiaccio che dà accesso al plateau superiore del Glacier des Sorces de L’Arc. Il passaggio è molto temuto dai valligiani, che però lo percorrono da secoli per commerciare e contrabbandare con l’alta Savoia. Il gruppo risale in silenzio la neve insidiosa, senza ramponi e con pendenze oltre i 45°. Circa mille metri più a valle vi è un fortino della Guardia Alpina di Frontiera che potrebbe scorgerli con un buon binocolo. Devono scendere prima che faccia buio a L’Ecot, uno dei più alti villaggi abitati d’Europa, riposarsi e l’indomani ripartire per valicare il Colle de l’Iseran dove incontraranno le truppe anglo-americane. Dovranno caricarsi di armi e rifornimenti, ripercorrere a ritroso il difficile itinerario e rientrare in valle. Il tutto senza incappare nelle pattuglie della Divisione Monte Rosa o nei Gebirgsjäger, i temuti “alpini tedeschi”. Ma “Dimitri”- questo è il suo nome di battaglia – è un passeur esperto, e pur essendosela vista brutta più volte con i tedeschi se l’è sempre cavata. Durante queste azioni rischiose, un pensiero è sempre andata a sua moglie e a sua figlia, laggiù in valle. La discesa verso la Valle dell’Arc è lunga e il giovane “Mini” (Domenico) soffre di congelamento alle dita dei piedi. A La Duis, 2145 metri di quota, va loro incontro la generosa guida Blanc di Bonneval.
«Comment ça va Dimitri?»
« Nous avons un homme qui souffre de gelures et nous avons besoin de dormir»
«Venez! Vous attend un repas chaud et un lit»
Il conforto di una minestra calda e di un pagliericcio li riporta alla vita.
L’indomani occorre ripartire presto e raggiungere gli alleati.
Il carico è pesante e senza l’aiuto del giovane e robusto “Mini” ciascuno dovrà gravarsi di un fardello maggiore.
La missione si compie tuttavia senza intoppi, anche se il ritorno a casa si prospetta lungo e insidioso. A l’Ecot il gruppo decide di lasciare “Mini” alle cure dei francesi – perderà alcune dita di un piede – promettendogli di tornare a prenderlo in primavera. Lì ormai non corre alcun pericolo. Inoltre è iniziato a nevicare e una marcia in quelle condizioni per lui sarebbe fatale. Il drappello affonda nella neve fino alla cintola e ogni passo, alienato dal pericolo delle valanghe, è una vera sofferenza con il pesante fardello di armi e vettovaglie. Ai 3034 metri del Col Girard delle gelide folate di vento risalgono dal canale est. La visibilità è quasi nulla. E’ difficile pensare a quella discesa ripidissima nella neve instabile, senza un’attrezzatura adeguata. Dimitri però non si fida del vicino Passo della Calletta, perché, talvolta, è addirittura presidiato dalla milizia. I valligiani, allora, scendono nella bufera sfidando l’insidiosa “talentchi” (in patois “ripido canale di ghiaccio”) su cui poggia oltre un metro di neve fresca. Alle 16 sono alla base del ripido canale e occorre far presto per raggiungere il rifugio Daviso che è poco più che una baracca. All’interno dell’edificio riescono a mettere in funzione una vecchia stufa e consumano gli ultimi viveri. La notte è tutt’altro che serena e ogni minimo rumore mette in allerta lo stanco e provato drappello. La sorte, questa volta, ha deciso che le cose filino lisce e che l’indomani possano tutti riabbracciare le loro famiglie. Passo spesso dal Col Girard al rientro dalle mie ascensioni. Seppure con la mia attrezzatura moderna e la mia esperienza, ridiscenderlo quando sono un po’ stanco non è sempre uno scherzo. Ogni volta, lassù, penso a mio nonno. Il suo nome di battaglia era “Dimitri”.